478 no ad ACTA ma per Confindustria non basta

Goodbye ACTADopo la bocciatura del trattato anticontraffazione ACTA da parte del Parlamento europeo, oltre alle voci che hanno plaudito a tale decisione, si sono sollevate critiche decisamente pesanti nei confronti del legislatore europeo, reo di essersi fatto circuire da una diffusa disinformazione, al punto di recepire "istanze populistiche" mostrando così una "persistente incapacità a comprendere le dinamiche della comunicazione in rete". Questo è quanto si legge in un comunicato di Confindustria Cultura.
La decisione, inoltre, sarebbe paradossale in quanto le norme di ACTA sono già presenti negli ordinamenti dei singoli Stati europei, laddove il trattato serviva solo ad armonizzarle.

Se è giusto che Confindustria faccia il suo lavoro, tutelando gli interessi delle imprese, è però essenziale anche proporre un dibattito che non sia a senso unico, negando legittimazione a chi la pensa diversamente, specialmente quando quel qualcuno alla fine è l'unico organo davvero rappresentativo dell'Unione europea: il Parlamento.


Allora poniamo innanzitutto una premessa fondamentale per un corretto inquadramento della questione, chiarendo che quando si parla di diritto d'autore (o anche copyright) o in generale di proprietà intellettuale, non si parla di diritti assoluti ma solo di diritti relativi, cioè dei diritti economici dei titolari del diritto d'autore (l'autore, il produttore, l'editore). Per relativi si intende che essi sono tutelati fin quando non vanno in conflitto con altri diritti, nel qual caso occorre un terzo (in Italia un giudice) che stabilisca dove finisce l'uno e inizia l'altro, bilanciandoli tra loro.
Non si parla, chiariamolo a scanso di equivoci, di difendere la pirateria o la freelosophy, quanto piuttosto di specificare che non è possibile, anche sulla base dell'attuale normativa europea, ritenere che i diritti economici delle aziende abbiano una protezione assoluta al punto da comprimere sempre e comunque i diritti dei cittadini.

La semplificazione della lotta alla pirateria come lotta di civiltà contro la barbarie del furto ha lo scopo di indurci a credere che tutta la problematica si limiti alla fase dell'esecuzione dell'ordine di blocco del contenuto illecito, e l'industria si chiede, anzi ci chiede, per quale motivo dovrebbe attendere il tempo spesso eccessivo di un processo per una attività la cui giustificazione dovrebbe essere del tutto ovvia. Questo sviamento mira a nascondere il fatto che il problema sorge nella fase di valutazione dell'illecito, perché non è il file (immagine, video, musica) presunto piratato ad essere illecito in sé, bensì è l'uso del file che può eventualmente diventare illecito.
Gli esempi che si possono fare sono molteplici, ma per semplificare pensiamo ai file presenti in un cyberlocker (come Megaupload), laddove allo stesso file possono corrispondere diritti diversi. Potrebbe essere stato l'autore a caricare il file su un server dove sono presenti tanti altri file della stessa canzone, e tale uso è del tutto lecito, oppure semplicemente colui che carica il file potrebbe avere licenze ulteriori.
Nel momento in cui il titolare dei diritti va a verificare la presenza di file in rete, non è detto che sia a conoscenza dell'esistenza di ulteriori licenze o diritti sul file, per cui potrebbe ritenere tali file illeciti di per sé (perché ha il titolo di una canzone dei quali detiene i diritti), talvolta sbagliando.
Questo è il motivo per il quale i provider sono contrari ad assumere un ruolo di sceriffi della rete rimuovendo ciò che gli viene detto essere illecito, perché semplicemente non sono in grado di valutare correttamente eventuali diritti ulteriori che insistono sul contenuto online.

Inoltre, esistono numerose eccezioni al diritto d'autore che consentono l'uso di opere altrui anche se protette da diritti ed anche in assenza di autorizzazione da parte del titolare, si tratta delle utilizzazioni libere (o fair use all'inglese) presenti in moltissimi paesi compreso l'Italia. L'applicazione di tali eccezioni è complessa e necessita di un corretto contemperamento degli interessi in gioco, i diritti degli autori ed editori da un lato, e quelli dei cittadini alla diffusione della cultura e alla libera espressione del loro pensiero dall'altro, bilanciamento che può essere operato solo da soggetti dotati di competenze adeguate e che siano estranei alla contesa. In Italia data la complessità della valutazione, questa attività è deputata non genericamente alla magistratura, ma a sezioni specializzate della magistratura. Sono quelle stesse valutazioni che le multinazionali vorrebbero fossero demandate a loro!
È da notare che nel trattato ACTA non si fa alcuna menzione del fair use, anzi nel meeting di Bruxelles del gennaio 2011, dove si discusse di ACTA, Pedro Velasco Martin sostenne che il fair use non è concetto europeo e non è pratica rilevante per la UE.
Quando si parla di ACTA non si parte mai da queste doverose ed essenziali premesse, con ciò palesando l'ovvia intenzione di orientare la discussione in una certa direzione fin da subito, invece di far capire all'interlocutore di cosa stiamo parlando realmente.

Ritornando al comunicato di Confindustria, non possiamo non notare che non fa altro che riprendere quanto asserito da Karel De Gucht, membro della Commissione per il Commercio Internazionale (INTA), cioè quella stessa Commissione che appena pochi giorni fa ha raccomandato di bocciare ACTA. De Gucht, in una lettera inviata al Parlamento europeo, sosteneva che l'opposizione ad ACTA non era altro che il risultato di una campagna di disinformazione. Affermava, infatti, che ACTA non è una minaccia per la libertà in rete, non prevede il monitoraggio di smartphone, ipod e computer portatili, né di telefonate o email, non ha nulla a che fare con la censura dei siti web, né porta al blocco delle condivisioni su Facebook, non prevede regole per tagliare l'accesso alla rete dei cittadini, ma è solo un "mezzo per armonizzare le legislazioni nazionali al fine di proteggere la proprietà intellettuale".
Per essere precisi, però, De Gucht a sua volta riproponeva la posizione ufficiale della Commissione europea, risalente al suddetto meeting di Bruxelles. Precisiamo che la Commissione europea è l'organo esecutivo dell'Unione, laddove il Parlamento è quello legislativo.

In realtà le argomentazioni della Commissione sono già state ampiamente confutate in varie sedi, al punto che legittimamente il Parlamento ha dato una sonora bocciatura al trattato.
Il trattato ACTA non crea nuovi diritti, ma di fatto amplia la tutela dei detentori dei diritti, cioè l'industria del copyright, spostando l'ago della bilancia a loro favore, così di fatto comprimendo i diritti dei cittadini nell'ambito di quel bilanciamento di cui abbiamo detto sopra. Ciò viene ottenuto trasferendo parzialmente la valutazione degli illeciti da un soggetto terzo, come un giudice, alle stesse multinazionali che di fatto finiscono per farsi (quasi) giustizia da sole.
Quello che ACTA impone, in sintesi, è un obbligo di cooperazione tra multinazionali, escludendo del tutto il cittadino. Quindi l'industria del copyright di fatto può fare pressione sugli intermediari della comunicazione, sotto la minaccia di farli diventare corresponsabili penalmente e finanziariamente dei presunti pirati, al fine di ottenere la rimozione dei contenuti senza nemmeno passare per un giudice.
È ovvio che in tal modo non c'è alcun bisogno di modificare le leggi.

Al giudice al massimo viene lasciata la competenza residuale nel caso di eventuali opposizioni ai provvedimenti (il cui onere viene scaricato sui cittadini), oppure il mero compito di decidere il tipo di misura da applicare al caso, dopo che la valutazione sull'illiceità del contenuto è già stata compiuta secondo le modalità sopra riportate.
Ed è evidente che in un quadro di questo genere non solo vengono quasi certamente espunte le utilizzazioni libere, che notoriamente le multinazionali non vedono di buon occhio, ma è probabile che si determinino degli abusi da parte delle aziende medesime, le quali tenderanno, in assenza di un controllo da parte di un soggetto terzo alla contesa, a far prevalere i loro interessi anche oltre i limiti stabiliti dalle norme.

Quindi, asserire che le norme di ACTA sono già presenti nei nostri ordinamenti non è esatto, come non è esatto che ACTA non porterebbe modifiche alle normativa nazionali. Vero è che ACTA prevede delle procedure giudiziarie civili come punto di arrivo di indagini amministrative, con le quali si può ottenere un'ingiunzione, anche contro terze parti, per la cessazione della violazione di un diritto, e tali ingiunzioni sono già proprie di tutti gli ordinamenti nazionali, ma ACTA per la prima volta introduce una separazione tra la valutazione dell'illecito e la fase successiva di applicazione della sanzione, sottraendo al giudice terzo un ruolo assegnatogli da praticamente tutti gli ordinamenti nazionali, compreso quello dell'Unione.
Non solo, ACTA per la prima volta introduce la possibilità di applicare sanzioni calcolate su presunzioni, e quindi anche in assenza di prove effettive sul danno, recependo acriticamente le tesi delle multinazionali che continuano da anni a paventare perdite astronomiche, mai realmente dimostrate, a causa della pirateria. Tali sanzioni riprendono istituti presenti negli USA dove abbiamo visto una pensionata vedersi condannare ad una multa di 54mila dollari per 24 mp3 scaricati.

Principalmente, però, il contrasto di ACTA con le normative europee è dato dalla estrema genericità delle definizioni in esso comprese che hanno portato la Commissione INTA a concludere la raccomandazione al Parlamento sostenendo che sotto il regime di ACTA non si può garantire una adeguata protezione per i diritti dei cittadini.
L'esempio più eclatante è la genericissima definizione di "scala commerciale". I supporter del trattato asseriscono che ACTA non riguarderà altro che le violazioni su "scala commerciale", peccato che come tali ACTA intende le violazioni rivolte sia ad un vantaggio diretto che indiretto, facendoci rientrare anche la condivisione di un video su un blog con un banner da pochi euro l'anno. Tale anomalia fu rilevata anche dal Garante europeo, che appunto bocciò il trattato.

Sopratutto ACTA prevede che gli Stati contraenti debbano garantire la collaborazione tra aziende al fine di intraprendere efficaci e celeri misure di contrasto alle violazioni della proprietà intellettuale. Ciò vuol dire che dal punto di vista pratico ACTA costringerà i provider a stringere accordi con l'industria del copyright perché i primi rimuovano tutti i contenuti che i secondi ritengono, a loro insindacabile giudizio, illeciti, con buona pace delle utilizzazioni libere.

Ed infine si prevede che i dati degli utenti che hanno posto in essere delle presunte violazioni dei diritti, possano essere forniti direttamente alle aziende, con gravi ricadute sulla privacy dei cittadini, violata sulla base di un semplice sospetto. Proprio per questo motivo il Garante europeo per la protezione dei dati personali bocciò il trattato ACTA, rilevando che "si deve raggiungere un giusto equilibrio tra le richieste di chi intende tutelare i diritti di proprietà intellettuale ed i diritti alla privacy ed alla protezione dei dati".

Altro argomento tirato in ballo è il parere richiesto alla Corte europea, che i supporter di ACTA sperano faccia riprendere il senno al Parlamento, guardandosi bene dal riferire esattamente le cose come stanno.
Nel caso specifico è stata la Commissione europea a deferire ACTA alla Corte europea, ai sensi dell'art 218 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La qual cosa è lecita, ma anche un po' paradossale se consideriamo che la Commissione ha sempre asserito che ACTA sarebbe del tutto legittima.
In realtà la Commissione si mosse in tal senso dopo le forti proteste verso il trattato, che facevano presupporre un possibile risultato negativo in sede di votazione al Parlamento europeo, come poi è effettivamente accaduto. L'intenzione della Commissione era probabilmente di guadagnare tempo per far scemare le polemiche.
Fu proprio il commissario De Gucht che rispose in merito al deferimento alla Corte, chiarendo che la Commissione aveva intenzione di chiedere un parere sulla compatibilità di ACTA con le norme "primarie" del diritto europeo, cioè i trattati che istituiscono l'Unione europea, e quindi con i diritti fondamentali dell'Unione.
Per cui, anche se la decisione della Corte viene rappresentata come una valutazione onnicomprensiva del trattato, la Corte non ha alcuna competenza in tal senso, perché legalmente potrà affrontare solo la compatibilità di ACTA con i trattati istitutivi della UE e non con l'intero quadro normativo del diritto dell'Unione (compreso regolamenti e direttive), laddove il contrasto appare più con le direttive.

Premettendo che le risposte della Corte dipenderanno molto da come sono state poste le domande, c'è però anche da aggiungere che due recenti sentenze già danno l'idea di quale possibile conclusione si potrebbe avere. Stiamo parlando delle sentenze relative ai casi Sabam/Scarlet e Sabam/Netlog. In tali sentenze in realtà non si ricavano argomenti tali da ritenere sussistente un contrasto tra il trattato e le norme europee, però in esse la Corte ha chiarito che "nulla nella formulazione di tale disposizione o nella giurisprudenza della Corte suggerisce che tale diritto alla proprietà intellettuale sia inviolabile e deve pertanto essere assolutamente protetto", evidenziando che la tutela della proprietà intellettuale non può andare a scapito dei diritti fondamentali quali la libertà di comunicazione, protezione dei dati personali, e la libertà di impresa, che invece è uno dei presupposti di ACTA.

Ancora, ACTA non rispetta i provvedimenti del Parlamento europeo, che nella risoluzione del 2007 su TRIPS ha sostanzialmente escluso la possibilità per la Commissione di negoziare accordi TRIPS Plus con i paesi in via di sviluppo in materia di farmaci. Nella risoluzione del 2010, occupandosi specificamente di ACTA, il Parlamento stabilì che le misure volte a rafforzare i poteri per la cooperazione transfrontaliera non devono condizionare l'accesso globale a farmaci legittimi, convenienti e sicuri, compresi i prodotti generici, con il pretesto della lotta alla contraffazione.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma ci limitiamo ad osservare che ACTA così come è congegnata avrebbe scoraggiato anche l'innovazione, in quanto estendendo la portata delle sanzioni criminali fino a ricomprendere violazioni personali con vantaggio economico indiretto e il favoreggiamento, di fatto renderà dubbia anche la semplice condivisione sui social e la distribuzione di meri strumenti tecnologici utilizzabili anche per fini illeciti. Tutto ciò avrebbe creato un quadro di diffusa incertezza all'interno del quale le aziende che operano nel web avrebbero probabilmente preferito censurare il più possibile piuttosto che mettersi a rischio di dover rispondere in prima persona, a tutto vantaggio delle grandi imprese già presenti sul mercato.

Quello che, però, non si riesce davvero a comprendere è la strenua difesa di un settore che ormai con l'Europa ha ben poco a che fare, dato che i soggetti che controllano l'industria dei contenuti (pensiamo non solo ai soliti nomi ma anche a iTunes, Amazon, Netflix) sono pochi e tutti concentrati negli USA (a parte Universal/Emi che però ha la testa a Los Angeles). Non si vede come appiattirsi su una normativa di chiara ispirazione americana possa portare vantaggi all'Europa, anzi un eventuale accoglimento di ACTA genererebbe nuove barriere all'ingresso di questo settore a tutto ed esclusivo vantaggio per le multinazionali americane.