Nei giorni scorsi negli Usa è stato firmato un accordo antipirateria tra l’MPA, la RIAA e vari Isp, i fornitori di connessione alla rete (Verizon, AT&T, Comcast, Time Warner Cable), al quale avevamo già accennato. Dopo i 3 strikes della Hadopi francese, abbiamo i 6 strikes degli Usa, cioè si prevedono ben 6 avvertimenti (copyright alerts) da inviare agli utenti della rete pescati a scaricare contenuti protetti dal diritto d’autore.
Nella prima fase della procedura prevista dal suddetto accordo si pone l’accento sull’educazione alla legalità dell’utente, invitandolo prima a controllare la sua connessione, nel caso qualcun altro se ne sia servito per scaricare contenuti protetti, poi lo si informa delle strade per l’acquisto legale, indi gli si comunicano le possibile conseguenze del suo comportamento illecito, fino al quinto avvertimento quando possono scattare misure piuttosto stringenti, tipo rallentare la velocità della connessione, bloccare alcuni siti, direzionare l’utente su pagine informative sui rischi in caso di violazione del copyright, ecc….
Non vi sarebbe, quindi, una disconnessione dalla rete, a differenza di quanto accade in Francia, ma è evidente che le conseguenze sull’utente non sarebbero di poco conto.
In ogni caso l’utente avrebbe comunque la possibilità di impugnare tali provvedimenti limitativi, al costo di 35 dollari, o addirittura portare dinanzi ad un giudice il suo Isp.
Sembra, quindi, che si stia proseguendo sulla strada già intrapresa da qualche tempo un po’ in tutte le nazioni, cioè l’inversione dei costi, anche temporalmente parlando, delle dispute in materia di copyright. Se prima era il titolare dei diritti a dover accusare, e provare, casomai dinanzi ad un giudice, che un utente sta violando i suoi diritti, adesso la tendenza è a rimuovere i contenuti sulla base di una mera valutazione intercorsa tra titolare dei diritti ed intermediario, e poi sarà, eventualmente, l’utente ad impugnare il provvedimento e dimostrare di essere innocente.
È chiaro che negli accordi tra grandi aziende private, l’industria dell’intrattenimento e i provider, è possibile che l’utente rimanga schiacciato.
Del resto che le procedure di notice and take down, previste dal Digital Millennium Copyright Act, abbiano portato ad abusi da parte delle grandi aziende, è un fatto documentato dalla Electronic Frontier Foundation.
Risulta, però, poco comprensibile il mutamento di direzione degli Isp che negli anni passati si sono sempre opposti a tentativi di trasformarsi in una sorta di sceriffi della rete, anche per motivazioni puramente economiche, in quanto la procedura in sé comporta delle spese per mettere in piedi uno staff che se ne occupi.
Il portavoce della AT&T, infatti, solo l’anno scorso sosteneva che non era compito loro stabilire se si è in presenza di violazioni delle norme e punire i criminali, piuttosto è competenza dei giudici.
Il recente mutamento di prospettiva degli Isp potrebbe essere una conseguenza di pressioni dalla Casa Bianca, e delle posizioni espresse in Europa all’eG8 tenutosi in Francia, dove si è parlato espressamente della necessità di “civilizzare” internet.
Ma forse si tratta anche di una necessità dei grandi provider, i quali sempre più si stanno spostando dalla diffusione di contenuti generati dagli utenti (per i quali il guadagno è poco rilevante) a contenuti prodotti dai canali televisivi.
Se i grandi provider finiscono per avvicinare il loro modello di business a quello dei canali televisivi, è naturale che possano perdere il loro status di intermediari, quindi non responsabili, e in tale ottica per evitare rischi dovranno scendere a patti con i produttori e le major, e in tale abbraccio è facile ipotizzare la compressione dei diritti degli utenti, i quali si troveranno ad essere additati come pirati sulla base di una valutazione di parte, per poi pagare (35 dollari o il costo di un ricorso alla magistratura) al fine di poter dimostrare di essere innocenti.
Insomma, la tendenza è un po’ la medesima ovunque, anche in Italia con l’approvazione del regolamento AgCom per la tutela del diritto d’autore in rete, il quale sostanzialmente configura una prima fase nella quale la valutazione di un illecito è demandata ad un contraddittorio (si fa per dire) tra il titolare dei diritti e il gestore del sito (definizione generica per indicare l’Isp, ma non solo), senza coinvolgere l’utente. Sia negli Usa che in Europa esiste una legislazione che protegge gli Isp, ritenendoli non responsabili purché sussistano determinate condizioni, laddove tale irresponsabilità è anche una sorta di protezione dell’utente, perché finché sussiste l’utente non deve rendere conto al suo Isp di ciò che fa con la connessione, ma solo alla magistratura che agisce secondo determinate procedure poste a tutela di tutti.
Tale irresponsabilità è sempre più spesso messa in discussione, in modo da determinare una responsabilità dell’Isp per le azioni degli utenti, cosicché il provider finirà per doverne controllare le azioni, e in tal modo cadrà quella tutela prevista sia per i provider che per gli utenti, e in particolare per questi si potrebbe giungere ad una situazione nella quale saranno gli stessi utenti a dover dimostrare di essere innocenti, invece che, come è nella realtà, presumersi che lo siano fino a prova contraria.