La pirateria La notizia di questi giorni è la rivolta che interessa alcuni paesi africani, e che in particolare ha costretto alla fuga il premier egiziano. Nel tentativo di impedire le comunicazioni tra i cittadini, che protestavano, e l’estero, in Egitto si è giunti al punto di spegnere l’intera rete internet, bloccando ogni comunicazione online, provvedimento pesantemente stigmatizzato dalle istituzioni di altri paesi, UE e Stati Uniti compresi, in quanto ritenuto gravemente lesivo per i diritti dei cittadini.
Stupisce in realtà la reazione degli altri paesi, non perché sia possibile giustificare in qualche modo il comportamento antidemocratico del premier egiziano, quanto piuttosto perché una tale forma di censura è non molto dissimile da quelle misure di controllo della rete che si stanno progressivamente attuando, negli ultimi anni, in molti paesi, compreso l’Italia, per proteggere gli interessi dell’industria dei contenuti. Per quale motivo, dovremmo chiederci, una censura delle rete è ritenuta giustamente illecita se compiuta da un dittatore contestato dai suoi cittadini, mentre invece è considerata lecita quando si tratta di proteggere gli interessi nemmeno di un governo bensì dell’industria dell’intrattenimento?
È da anni che in tutte le nazioni si stanno introducendo normative sempre più stringenti e repressive al fine di combattere la pirateria che viene additata come la piaga dell’era di internet, quest’ultima rea di aver, appunto, permesso il “furto” delle proprietà intellettuali altrui, e quindi colpevole di affossare un’intera industria. Peccato che dalle asserzioni non si è mai passato ad una dimostrazione seria e puntuale dei danni che la pirateria avrebbe reso all’industria dell’intrattenimento, quanto piuttosto tutto si lega all’equazione, del tutto sfornita di prova, anzi difficile da avvalorare da un punto di vista logico, che ogni file piratato equivalga ad un dvd o un cd non comprato. Addirittura uno studio dell’AgCom di febbraio 2010 ipotizza che “la diffusione della banda larga in Italia, dando impulso allo sviluppo del mercato legale dei contenuti digitali audiovisivi, potrebbe anche agire da deterrente rispetto al P2P”!
È ovvio che nessuno è in grado di dimostrare che chi scarica film piratati, in assenza di questa possibilità, avrebbe comprato un dvd, ma tutto l’impianto giustificativo delle azioni delle major è sostanzialmente basato su questa dogma che porterebbe ad un calcolo presuntivo dei danni arrecati all’industria della proprietà intellettuale, per cifre elevatissime.
Perfino dai cablo di Wikileaks abbiamo potuto apprendere che ci sarebbero state, e probabilmente continuano tutt’oggi, delle pressioni enormi da parte dell’industria dell’intrattenimento verso i governi, in special modo dei paesi europei, colpevoli, secondo le major, di fare ben poco in questa direzione.
Ma, se in altri paesi il dibattito procede comunque nelle sedi opportune, come ad esempio in Spagna dove la proposta di legge Sinde, fortemente voluta dall’amministrazione americana, come ci ha raccontato sempre Wikileaks, è stata respinta per il momento dalla apposita commissione del Congresso, stranamente in Italia tale tipo di dibattito politico, che è di notevole rilevanza in quanto la normativa che da esso dovrebbe nascere è in grado di incidere pesantemente sui diritti dei cittadini, principalmente il diritto alla privacy e la libertà di espressione, non si svolge in Parlamento bensì presso il garante delle comunicazioni, l’AgCom.
Studio sul diritto d’autore
In verità le premesse erano state anche positive, visto che qualche mese fa proprio l’AgCom ha pubblicato quell’equilibrato studio sul diritto d’autore in rete citato più sopra, nel quale si evidenzia che le misure preventive devono rispettare severi vincoli tecnici e giuridici, devono essere rispettose delle direttive comunitarie che, in particolare, escludono la possibilità di imporre obblighi di monitoraggio agli Isp, che devono comunque essere rispettate le norme a tutela della privacy, il diritto di accesso alla rete, il principio di una rete neutrale e il diritto alla libertà di espressione degli individui.
In tal modo il diritto degli autori di ricevere una remunerazione per le loro opere trova limitazioni in tutti quei diritti e libertà, tra l’altro di rango superiore rispetto ad un mero interesse economico, garantiti da direttive europee e norme costituzionali.
Tale studio opportunamente conclude che è da escludere la possibilità da parte dell’AgCom di infliggere una sanzione amministrativa in capo all’autore della violazione del diritto d’autore.
Regolamento AgCom
Questo studio, purtroppo, sembra non sia stato tenuto presente, nel momento in cui, sulla base dell’articolo 6 del decreto Romani, l’AgCom è stata delegata ad emanare un regolamento in materia, denominato “Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, con lo scopo di dettare la linea su come combattere la pirateria in rete, e col quale l’autorità si investe di un ruolo di intermediario nella gestione del diritto d’autore in rete, coinvolgendo gli Isp.
La prima stesura in verità ha ottenuto fin troppe critiche, per la previsione di un monitoraggio preventivo dei flussi in rete da parte degli Isp, attività tra l’altro non permessa dall’attuale normativa in materia di privacy. La seconda stesura è stata approvata e pubblicata a fine dicembre, e da allora sono partiti i 60 giorni per la consultazione pubblica (scadono il 20 febbraio).
Qualunque sia il testo definitivo di tale regolamento, è da evidenziare che esso deriva da un decreto legislativo, il decreto Romani, che dovrebbe essere l’attuazione di una direttiva europea che si occupa di ben altre cose, insomma il futuro della rete si discuterà nelle chiuse stanze dell’AgCom e non invece, come avrebbe dovuto essere ed è in altri paesi, all’interno del Parlamento. Tutto ciò è estremamente sintomatico!
Contenuto del regolamento
Il primo problema che affronta l’AgCom è la sua legittimazione ad agire al fine di accertare e prevenire le violazioni in materia di diritto d’autore, la quale è rinvenuta nell’art. 182 bis della legge 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore) che attribuisce all’autorità “al fine di prevenire ed accertare” violazioni delle prescrizioni in materia di diritto d’autore, la vigilanza sulle attività di riproduzione e duplicazione con qualsiasi procedimento, su supporto audiovisivo, fonografico e qualsiasi altro supporto nonché su impianti di utilizzazione in pubblico, via etere e via cavo, nonché sull'attività di diffusione radiotelevisiva con qualsiasi mezzo effettuata. Inoltre, secondo l’AgCom, soccorrerebbe anche il decreto legislativo 70 del 2003, nel quale sono tracciati contenuti e limiti della responsabilità dei provider, in particolare prevedendo la possibilità per l’autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza, al pari di quella giudiziaria, di esigere che il prestatore di servizi “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse” tramite i suoi servizi.
L’AgCom precisa altresì che, anche se la delega all’emanazione di tale regolamento viene dall’art. 6 del decreto Romani, il quale però ha applicazione solo nei confronti dei fornitori di contenuti audiovisivi, “per i siti gestiti da privati, ma intesi a favorire l’accesso non autorizzato di materiale protetto da copyright, soccorre la generale competenza dell’Autorità in fatto di prevenzione ed accertamento delle violazioni posta dall’art. 182 bis della legge n. 633/41, e ciò anche a prescindere dal possesso del titolo autorizzatorio per la fornitura di servizi di media audiovisivi”.
Di seguito la bozza di regolamento si occupa di alcune premesse metodologiche, come l’ovvia chiosa che “l’assenza di un’offerta legale sul mercato favorisce la domanda di contenuti audiovisivi che viene soddisfatta dal mercato pirata”. A questo proposito l’AgCom ritiene utile che gli Isp, nelle loro condizioni di contratto, si occupino di rendere edotti gli utenti delle “conseguenze tecniche cui potrebbero andare incontro in caso di un utilizzo non corretto del servizio (appunto la disabilitazione dell’accesso al sito web su disposizione dell’Autorità)”.
In questo invito al provider ad educare paternalisticamente il proprio utente, eufemisticamente si parla di conseguenze tecniche laddove si scorgono vere e proprie conseguenze giuridiche, in quanto la disabilitazione dell’accesso alla rete, come dicevamo sopra, ha implicazioni su diritti del cittadino, anche di rango costituzionale.
Ed infine si giunge alle misure applicative, con esplicito riferimento al meccanismo di “notice and take down” disciplinato negli Usa dal Digital Millenium Copyright Act, il quale prevede che il soggetto titolare del copyright possa segnalare al gestore del sito la pubblicazione di un contenuto in violazione dei propri diritti chiedendone la rimozione. Il gestore del sito, reso edotto della presenza di una violazione del diritto d’autore, può rimuovere il contenuto, mentre il soggetto che lo ha caricato, se ritiene che il contenuto non violi alcuna norma, può presentare un ricorso e, in caso di controversia, si rimette la questione ad un giudice.
Tale meccanismo, non previsto dalle normative europee se non a seguito di richiesta dell’autorità giudiziaria (e non quindi del soggetto presunto leso), è comunque applicato su base volontaria dai principali siti internet che diffondono contenuti caricati dagli utenti, e l’AgCom ritiene che potrebbe essere introdotto in Italia con apposito regolamento, integrandolo con “un’azione di vigilanza e garanzia svolta dall’Autorità”.
Per la precisione l’AgCom dettaglia in questo modo la procedura di notice and take down all’italiana.
1. Segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo.
Il gestore del sito o fornitore di media audiovisivo ha quindi l’obbligo di fonire un contatto per la ricezione di tali richieste, e la segnalazione va effettuata seguendo un modello predisposto dall’AgCom. Il gestore o fornitore, se la richiesta appare fondata, deve rimuovere il contenuto nel termine di 48 ore dalla richiesta, eventualmente (sic!!) contattando l’utente che ha caricato il contenuto che può presentare un ricorso.
2. In caso di mancata rimozione del materiale, segnalazione all’AgCom.
Decorse 48 ore senza che il contenuto sia stato rimosso il titolare del diritto può rivolgersi all’AgCom.
3. Verifica dell’Autorità in contraddittorio con le parti.
L’AgCom, ricevuta la richiesta di rimozione, effettua una breve (sic!!) verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro 5 giorni, comunicando l’avvio del procedimento al gestore del sito oppure, se non è possibile individuarlo, al fornitore del servizio di hosting.
4. Adozione da parte dell’AgCom del provvedimento di ordine alla rimozione.
Se l’AgCom ritiene violata la normativa in tema di diritto d’autore, ordina al gestore del sito o fornitore di media audiovisivo l’immediata rimozione del contenuto.
5. Monitoraggio successivo del rispetto dell’ordine e applicazione di sanzioni in caso di reiterata inottemperanza.
L’AgCom controlla l’ottemperamento dell’ordine ed eventualmente applica sanzioni in caso di reiterata inottemperanza. Le sanzioni sono quelle previste dall’articolo 1, comma 31 della legge 249/97, cioè sanzione amministrativa pecuniaria da lire venti milioni a lire cinquecento milioni.
Questa procedura riguarda i siti nei quali sono presenti contenuti illeciti solo occasionalmente, mentre “nei casi in cui il solo fine del sito sia la diffusione di contenuti illeciti sotto il profilo del rispetto del diritto d’autore, o i cui server siano localizzati al di fuori dei confini nazionali” (in questo secondo caso sembrerebbe riferirsi, quindi, anche a siti che presentano contenuti illeciti solo occasionalmente, per cui potrebbe rientrarci anche YouTube la cui sede è in Irlanda), l’AgCom, previa segnalazione alle parti interessate, “potrebbe avviare un procedimento in contraddittorio, affinché tutti i contenuti illeciti siano cancellati”, ipotizzandosi due possibili strade: la predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione degli Isp, o l’inibizione del sito web o dell’indirizzo Ip del sito, alla stregua di quanto già avviene per i casi di siti di scommesse online in assenza di autorizzazione o di pedopornografia.
Commento
Questo è quanto prevede l’attuale testo del regolamento AgCom, il quale, se analizzato approfonditamente, non è così aperto come si può ritenere e di sicuro non si può dire che gli utenti siano in salvo, come pure qualche giornale ha titolato. Anche se l’AgCom si è rifatta alle best practices americane invece che alla famigerata Hadopi francese, molti dubbi sorgono sulla sua legittimità, applicabilità ed utilità.
È vero che in questa versione non è previsto alcun controllo preventivo dell’attività degli utenti della rete, anche perché tale monitoraggio sarebbe in contrasto con la normativa in materia, ma di contro si apre la strada alla privatizzazione delle tutela degli interessi dei grandi gruppi industriali.
Come si può vedere, infatti, sono i titolari dei diritti che inoltreranno le richieste di rimozione ai gestori dei siti, cioè gli hosting provider in ultima analisi, i quali hanno solo 48 ore per rimuovere il contenuto. Se immaginiamo che in tali siti sono presenti numerosissimi contenuti, sarà difficile che possano analizzare in così poco tempo se la richiesta è fondata o meno, anche perché per una valutazione del genere occorrerebbe predisporre un apposito ufficio legale. È abbastanza ovvio ritenere che i gestori rimuoveranno i contenuti quasi sempre, per evitare di entrare in contrasto con soggetti, i grandi gruppi industriali, che possono creare loro notevoli problemi, mentre il singolo utente ha un peso decisamente inferiore.
Ma anche supponendo che per qualche motivo il gestore non rimuova il contenuto, la fase successiva è demandata alla stessa AgCom che in soli 5 giorni dovrà svolgere un’istruttoria per verificare, in contraddittorio con le parti, se violazione c’è stata. Le considerazioni sono sempre le stesse, in così poco tempo è difficile che si possa realizzare un contraddittorio effettivo ed una istruttoria adeguata, e questo senza pensare che l’AgCom potrebbe anche dimostrarsi non del tutto indipendente nelle sue valutazioni, visto che alcuni suoi membri hanno fatto parte dei grandi gruppi industriali dell’intrattenimento.
La cosa che balza subito all’occhio è che, nonostante quanto detto dal presidente dell’AgCom, cioè di essersi rifatti alle best practices Usa, nella nostra procedura manca la possibilità di ricorrere ad un giudice in caso di controversia, cioè se la decisione dell’AgCom è ritenuta ingiusta. Cioè, se l’utente ritiene di non aver violato nulla, si troverà a subire prima una valutazione del titolare del diritto presunto violato, e poi la valutazione dell’AgCom, e non avrà nessuna ulteriore possibilità di ricorso.
Insomma, si è di fatto sottratto alla magistratura un suo compito specifico, la valutazione sull’esistenza degli illeciti, demandandolo ai soggetti privati e ad un processo amministrativo estremamente sommario, così che velocemente potranno chiudere un sito celando il fatto agli occhi dei cittadini (così nessuno potrà protestare), insomma ritorna la vecchia idea che il più forte si fa la ragione da solo.
E per di più, in relazione a siti hostati su server esteri, si potrà giungere all’inserimento in liste che saranno poi girate ai provider nostrani perché li oscurino, i quali provider non potranno rifiutarsi pena un concorso nell’illecito, e tutto nella più assoluta assenza di trasparenza. Non si capisce a chi potrà rivolgersi il gestore di uno di questi siti se il provvedimento dell’AgCom fosse ritenuto eccessivo. Appare un ovvio svantaggio competitivo per i siti esteri, ma soprattutto in tal caso la valutazione dell’illiceità di un contenuto è demandata esclusivamente all’autorità amministrativa, e quindi a maggior ragione si deve temere che la strada imboccata sia quella della privatizzazione della giustizia, ma solo limitatamente agli interessi dell’industria dei contenuti, la quale finalmente si sarà liberata delle lunghe procedure giudiziarie, pensate per tutelare i cittadini.
Dal punto di vista della legittimazione vi è un problema di non poco conto, nonostante quanto sostiene l’AgCom. La legge sul diritto d’autore, infatti, assegna all’autorità poteri di vigilanza, ma con il regolamento in questione l’AgCom si assegna un potere che va molto oltre la vigilanza, spingendosi a realizzare un procedimento amministrativo, sommario tra l’altro, parallelo al procedimento giudiziario di competenza del magistrato ordinario. Non dimentichiamo che le violazioni in materia di diritto d’autore sono veri e propri reati, per l’accertamento dei quali la competenza esclusiva è del magistrato ordinario, e non sussiste, invece, alcuna competenza concorrente assegnata ad un’autorità amministrativa.
La normativa richiamata dall’AgCom nel regolamento prevede che, in caso di violazione, l’autorità (oppure la Siae) possono compilare apposito verbale da trasmettere all’autorità giudiziaria per i provvedimenti di sua competenza, per cui non si comprende in quale modo possa l’AgCom assegnarsi un potere di accertare violazioni e infliggere sanzioni in questa materia, potere che non è previsto da nessuna norma.
Fino a quando le violazioni del diritto d’autore saranno punite penalmente, l’AgCom non potrà spingersi all’accertamento delle stesse o addirittura alla applicazione di sanzioni in materia, e non ci sono spazi nemmeno per accordi privati, e questo nonostante il decreto 70 del 2003, che recepisce la direttiva ecommerce, si riferisca anche ad “autorità amministrative”, in quanto tali soggetti possono intervenire, ma solo nei limiti della riserva di legge penale.
L’errore di base sta nell’aver preso a riferimento la normativa Usa, dove l’azione penale non è obbligatoria, consentendo accordi privati o il ricorso ad azioni da parte dell’autorità amministrativa, ma in Italia vige il principio della riserva di legge, e tali violazioni sono di competenza esclusiva della magistratura, penale o civile. Per poter agire come prevede il regolamento AgCom si dovrebbe innanzitutto depenalizzare questi reati.
Ed infine il decreto Romani prevede espressamente che la sua applicazione è limitata ai fornitori di media audiovisivi, mentre il regolamento AgCom prevede l’applicazione di provvedimenti inibitori anche a siti che non sono assoggettati al decreto Romani, con conseguente ovvio “eccesso di delega”.
Ma, per tornare al discorso generale, il punto è che non servono nuove norme per impedire le violazioni in materia di diritto d’autore, quelle ci sono e sono buone, casomai servono più controlli, ma tali controlli per scovare i pirati, quelli che distribuiscono grandi quantità di file, sono lunghi e costosi, e alla fine non conviene nemmeno tanto farli.
Per risolvere il problema occorre ben altro, la gente ama le comodità, ma l’industria dei media si interessa solo ai propri guadagni, non cerca di andare incontro al cliente (una volta i negozi online non erano autorizzati, poi i software erano difficili da utilizzare, poi i lettori erano incompatibili, i file erano leggibili solo da un lettore e non da altri…..), perché ciò vorrebbe dire investire soldi, ed ecco che per anni ha perso terreno e i suoi ricavi sono diminuiti.
Pensiamo a Blockbuster, un’azienda florida che vendeva videocassette e che ha dovuto portare i libri contabili in tribunale, e non certo per la pirateria, ma solo perché è entrato un nuovo concorrente nel mercato, Netflix, che porta a casa dell’utente, tramite internet, i film, con una comodità massima. Netflix non è affatto in difficoltà per la pirateria, anzi i sui guadagni aumentano di anno in anno, a testimoniare che se si tiene il passo con la tecnologia non c’è pirateria che tenga.
Per risolvere il problema della pirateria è sufficiente aumentare l’offerta di contenuti via internet, a prezzo equo e scaricabili ed usufruibili in maniera semplice, cioè andare incontro all’utente, invece di criminalizzarlo.
La criminalizzazione della rete ottiene, invece, l’effetto opposto, di allontanare l’utente. Allora si dovrebbe comprendere che tutto questo apparato repressivo in realtà è inutile, perché porterebbe gli utenti della rete ad utilizzare client serverless, cioè dei sistemi che non si appoggiano a server online ma mettono in comunicazione i singoli utenti con un collegamento da computer a computer, così non ci sarà nessun server da chiudere, nessun sito da oscurare. E non è fantascienza, perché qualcosa del genere già c’è, come Tribler, progetto peraltro finanziato con 15 milioni di euro dall’Unione Europea.
Ma, forse, tutto questo è solo un ennesimo tentativo di testare tecniche di censura saltando completamente le procedure giudiziarie.
Per il momento quello che possiamo rilevare è che per l’ennesima volta si considera la rete come fosse una grande televisione, del resto questo regolamento nasce dal decreto Romani. In quest’ottica è abbastanza ovvio che ad essa si applichino gli stessi obblighi della televisione, e ciò probabilmente fa comodo a molti, in un paese dove esiste da decenni un duopolio televisivo.
Invece la rete dovrebbe essere vista come uno strumento, allo stesso modo del telefono per comprenderci, per cui sarebbe molto più logico applicare alla rete le stesse norme che si applicano alla telefonia. Questo è proprio ciò che si è realizzato a livello comunitario, con la direttiva ecommerce, purtroppo negli ultimi tempi ci si sta sempre di più incamminando verso il sentiero opposto.

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Per questi motivi un gruppo di associazioni ha scritto una lettera al Parlamento, lettera che evidenzia il rischio che possa nascere un “un sistema di controllo e censura pervasivo”, e che denuncia come “anticostituzionale” il regolamento dell’AgCom.