È sempre un momento di alta democrazia quando un rappresentante di una istituzione risponde, nel merito, alle argomentazione e alle critiche dei cittadini.
La storia della regolamentazione AgCom relativa al diritto d’autore in rete è già nota, in particolare la circostanza che invece di porre regole non condivise si è voluto realizzare una consultazione pubblica su una bozza di regolamento, in modo che chiunque avesse potuto partecipare dicendo la sua. Un momento molto democratico, quindi.
Proprio per partecipare a questo momento democratico, dopo interventi di vario respiro, qualche giorno fa è stato presentato, nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, il “Libro bianco su Diritti d’autore e Diritti fondamentali nella rete internet”, un testo coordinato da Fulvio Sarzana e realizzato da autori appartenenti al mondo del giornalismo, delle imprese, della ricerca universitaria, delle libere professioni, del consumerismo, tra i quali si segnalano Marco Scialdone, Paolo Brini, Luca Nicotra, Marco Pierani, Mauro Vergari, Stefano Quintarelli, Luca Annunziata, Gaia Bottà, Mauro Alovisio, Dino Bortolotto, Giovan Battista Frontera, Giulia Aranguena de la Paz, Centro Studi Informatica Giuridica Torino, Fabrizio Ventriglia.
Il libro in questione affronta il tema del copyright da un punto di vista diverso dal solito, invece di partire dalla prospettiva dei produttori che vedono la rete come un immenso crogiolo di file illeciti e i suoi utenti come potenziali pirati, sbandierando cifre enormi sulle presunte perdite derivate da tale scandalosa situazione, si è cercato di partire per una volta da studi internazionali sul copyright, sulla libertà di espressione, da ricerche indipendenti e dati concreti, per compiere una analisi un po’ più oggettiva.
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Come lo stesso commissario dell’AgCom D’Angelo ha avuto occasione di precisare in merito alla presentazione del libro, non si è trattato di “una riunione di gente che giustifica l'illegalità, sebbene certa stampa e certi poteri forti provino a far passare un messaggio sbagliato”, cioè il punto non è cancellare il principio che a un contenuto possa essere riconosciuto un valore, bensì quello di accogliere la modernità e la rivoluzione culturale della Rete per individuare nuove forme in cui questa logica possa esprimersi.
Quello che si è compreso dall’evento è che da un lato i numeri dell’industria dell’intrattenimento sono spesso non giustificati, nel senso che non si chiarisce da dove vengono e come sono ricavati, mentre dall’altro lato gli studi indipendenti ci raccontano una realtà ben diversa, e cioè che spesso chi scarica diventa legittimo acquirente di contenuti.
Piuttosto interessante sotto questo profilo un recente studio Bascap/Tera che mira a quantificare l’impatto della pirateria sulla perdita di posti di lavoro in Europa, studio fortemente criticato dal Social Science Research Council in quanto condizionato da mancanza di dati e valutazioni errate.
Purtroppo questi studi indipendenti non vengono mai presi in considerazione dalle amministrazioni che si occupano del problema.
La verità è che l’equazione che sta alla base delle presunte perdite dell’industria, cioè che un download illegale equivale ad una perdita per l’industria, non è affatto vera, nel senso che nella maggior parte si tratta di persone che non avrebbero mai acquistato quel contenuto, mentre talvolta accade l’opposto, che chi scarica un contenuto illecito poi, dopo averlo provato, finisce per diventare acquirente legittimo. Questo ci dice che un contenuto valido trova sempre acquirenti, tanto che nel campo dei videogame, per fare un esempio, i giochi più scaricati illecitamente dalla rete sono spessissimo anche i più venduti, con guadagni elevatissimi.
Stiamo parlando, inoltre, della favoletta delle perdite dell’industria dell’intrattenimento, che invece da anni aumenta costantemente i suoi profitti.
Per questi motivi è stato scritto il Libro bianco, perché esso sia non tanto una critica quanto piuttosto una proposta, un invito ad evitare repressioni inutili e punizioni sproporzionate, e procedere invece verso nuove forme di remunerazione che tengano conto davvero dei desideri degli utenti, invece di utilizzare i vecchi metodi imponendoli con sistemi che limitano i diritti dei cittadini. Imporre il vecchio sistema di distribuzione e di remunerazione, e farlo con metodi repressivi, negli ultimi decenni non ha ottenuto altro effetto che alimentare la pirateria, laddove in quei rari casi nei quali si è voluto davvero andare incontro agli utenti, si è vista nettamente la differenza.
Ebbene, dopo queste argomentazioni si è avuta piuttosto celermente la risposta dei commissari dell’AgCom Mannoni e Martusciello, i quali hanno affidato alle pagine di MilanoFinanza del 16 giugno la loro replica. Oltre alla interessante scelta del quotidiano, più letto dai manager aziendali, alcune frasi sono davvero molto illuminanti:
“in una sbornia di demagogia e pressapochismo che lascia di stucco gli addetti ai lavori. Accademici e non, troppi arruffapopolo indulgono in tirate di propaganda e disinformazione, nella malcelata speranza di raccogliere facili consensi presso un pubblico della rete pronto a drizzare le orecchie ogni qualvolta si paventino minacce alla propria autonomia. Gli argomenti farebbero arrossire uno studente del secondo anno di giurisprudenza”.
Poi di seguito si ricorda il pericolo della perdita di posti di lavoro dei tanti videonoleggiatori, a causa della “scandalosa tolleranza della pirateria online”, si stigmatizza “l’elogio del furto e dell’anarchia digitale: ecco un numero che ancora mancava nel repertorio del varietà mediatico! Verrebbe da ridere se la cosa non fosse così seria”. Ed infine si afferma che l’AgCom avrebbe il potere regolamentare di intervenire e che “abbia atteso fin troppo per decidersi ad esercitarlo” (bontà loro!), e “crediamo che la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all’autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficaci, con tutte le garanzie procedurali di un pieno contraddittorio”, e così via.
Ecco, proprio in considerazione del fatto che la principale critica mossa al regolamento AgCom si basa sulla circostanza che tale normativa negli altri paesi europei viene discussa nelle opportune sedi, mentre qui da noi si delega il tutto ad un’autorità amministrativa così saltando il momento del dibattito democratico nelle aule parlamentari, leggendo le “pacate” argomentazioni dei due commissari viene da credere che forse le critiche non erano così tanto campate in aria, e che innanzitutto esiste un problema di metodo.
E questo senza nemmeno entrare nel merito delle argomentazioni tecniche, delle quali poi si discute anche da mesi, e anche noi abbiamo avuto occasione di riferirne.
Ci dispiace, piuttosto, dover notare che l’AgCom ha ormai preso da tempo le distanze da un suo studio in materia nel quale si mostrava ben diversa apertura alle soluzioni, addirittura citando Lessing il quale ricorda come il file sharing intercetta la domanda di persone poco propense all’acquisto: “attraverso la condivisione dei file musicali e attraverso la discussione nelle chat room, il consumatore” viene “a conoscenza di musica che altrimenti non avrebbe conosciuto”.
Si tratta, quindi, di distinguere la pirateria intesa come fenomeno di contraffazione di massa e commerciale da quella che è un semplice fenomeno di condivisione di file, se la repressione ha un senso nel primo caso, nel secondo porta, alla lunga, solo effetti negativi.
Ed ovviamente si tratta anche, come ben evidenziato nel corso della conferenza, di prendere atto dei mutamenti della società, basti pensare a Blockbuster, un’azienda florida che vendeva o noleggiava videocassette e che ha dovuto portare i libri contabili in tribunale, e non certo per la pirateria, ma solo perché è entrato un nuovo concorrente nel mercato, Netflix, che tramite internet porta i film a casa con la massima comodità per l’utente. Netflix non è affatto in difficoltà per la pirateria, anzi i sui guadagni aumentano di anno in anno, a testimoniare che se si tiene il passo con la tecnologia, se si va incontro agli utenti (invece di ridurre i loro diritti) non c’è pirateria che tenga. Quindi la soluzione è semplice, rendere più fruibile, comodo ed economico il download legale.
Ma, se pensiamo che da quando l’industria dell’intrattenimento si è inserita nel nuovo mercato della rete, si è avuta solo una proliferazione di drm, protezioni, limitazioni, al punto che un file comprato dalla tale azienda poteva essere letto solo dai lettori di quell’azienda…
In conclusione, come ci ricorda Luca Nicotra, pare più che evidente a questo punto che quella normativa non può essere discussa nel ristretto ambito di una autorità amministrativa priva di legittimazione democratica. È il metodo innanzitutto che è sbagliato, perché nonostante le belle parole (la consultazione pubblica) appare lampante, dalle gratuite affermazioni dei commissari, il fastidio nei confronti di critiche e argomentazioni di merito, alle quali non si replica con adeguate argomentazioni tecniche, quanto, piuttosto, con frasi di dileggio verso i cittadini che si mobilitano per i loro diritti.