L’ultimo servizio proposto da Amazon sta facendo molto discutere. Si tratta di Amazon Cloud Drive, che permette di comprare musica e salvarla online, in uno spazio web fornito direttamente da Amazon. La musica regolarmente acquistata da Amazon, con licenze dai produttori, può essere così conservata anche sui server di Amazon in modo da consentire all’acquirente di ascoltarla da qualsiasi computer tramite il browser, oppure eventualmente di scaricarla per ascoltarla dal proprio computer o da dispositivi mobili. Si tratta, quindi, di una libreria personale di file musicali che invece di essere posti nel computer di casa vengono posizionati online.
Ebbene i produttori musicali hanno avuto da ridire in merito a questo nuovo servizio fornito da Amazon, in quanto ritengono che occorra una ulteriore licenza, rispetto a quella d’acquisto, per consentire agli utenti di archiviare online la propria musica.
Il lancio di questo nuovo servizio ha ottenuto grande attenzione principalmente per il fatto che Amazon è riuscita a battere sul tempo competitori di peso come Apple e Google, i quali si sono preoccupati maggiormente di scandagliare le eventuali reazioni delle major, e avrebbero anche avviato trattative per ottenere ulteriori licenze. Secondo alcuni Amazon ci avrebbe “provato”, in modo da ottenere un certo vantaggio temporale sui concorrenti, anche correndo qualche rischio in più, lanciando il Cloud Drive senza nemmeno avvertire le major.
Però, dopo le prime rimostranze delle major, i legali di Amazon hanno fatto sapere di non essere intenzionati a richiedere licenze ulteriori in quanto ritengono che non ve ne sia alcun bisogno.
A leggere attentamente le condizioni d’uso del servizio di Cloud, si può verificare che ciò che fa Amazon non è altro che mettere a disposizione dei propri utenti uno spazio web accessibile solo all’utente medesimo, nel quale vengono caricati eventualmente i file musicali acquistati. Si tratterebbe, quindi, di una normale modalità di conservazione dei file acquistati, così come un utente può caricare sul suo spazio web, o su un server personale, degli ebook, delle immagini, dei video, ecc… Niente di diverso, quindi, da Microsoft SkyDrive e GoogleDocs, che non necessitano di licenze.
La comodità sarebbe nella possibilità di ascoltare la musica utilizzando svariati dispositivi, anche eventualmente mobili, in modo da migliorare sensibilmente la fruibilità della musica rispetto a quando si scaricava il file sul proprio computer dal quale era poi necessario riversarlo su un cd per ascoltarlo altrove, questo ovviamente senza considerare la possibilità che il file fosse protetto da drm, che ne impedirebbe la masterizzazione costringendo l’utente ad ascoltarlo solo dal computer. Ed è anche un modo per ovviare a possibili danni al computer, che potrebbero comportare la perdita irrimediabile della propria collezione musicale, pur regolarmente acquistata. Insomma, con questo servizio Amazon pare voglia seriamente andare incontro agli utenti.
Non esisterebbe, quindi, una differenza percepibile tra le modalità di fruizione tramite Cloud Drive oppure tramite un proprio hard disk personale, o un dispositivo esterno, e la circostanza che la musica in questione non sia in alcun modo condivisibile con terzi, cosa che differenzia tale servizio da quelli di condivisione spesso sotto accusa per violazione di copyright, renderebbe del tutto lecito il servizio in oggetto.
Infatti, non è Amazon che fornisce una copia del file, né presta un servizio di registrazione, bensì si limita a fornire lo spazio web, a pagamento, dove l’utente può decidere di collocare i file regolarmente acquistati, mettendo a disposizione uno speciale lettore software per l’ascolto della musica.
Si tratterebbe, in fin dei conti, di una normale applicazione dell’istituto della copia privata previsto sia dalla normativa italiana che quella statunitense, laddove è l’utente, non Amazon, che esercita il proprio diritto alla copia privata, diritto legittimamente ottenuto al momento dell’acquisto del file musicale.
Negli Stati Uniti d'America, paese al quale per il momento è limitato il servizio di Cloud, si disciplina la copia privata nell’Audio Home Recording Act del 1992, che permette la copia privata in cambio di un compenso corrisposto alla RIAA, e nel Digital Millennium Copyright Act del 1998, che regolamenta la musica in formato compresso.
Per quanto riguarda la normativa italiana la copia privata, o copia per uso personale, è prevista nell’art. 71 sexies della legge sul diritto d’autore: “È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all'articolo 102-quater”.
Quindi la copia privata è possibile purché sia realizzata direttamente dall’acquirente, a soli fini personali, senza alcun scopo di lucro, e senza violare misure di protezione del file.
Nel caso specifico, da quanto si può apprendere dalla guida al servizio, tutte queste caratteristiche sono presenti, in particolare Amazon fornisce il file ed è l’utente a scegliere se scaricarlo sul suo computer o inserirlo nel Cloud Drive, ed è solo l’utente a poter accedere allo spazio web online, e non vi è alcuna possibilità di condivisione del file con terzi.
Sembrerebbe, quindi, che sussistano tutti gli estremi per poter qualificare il servizio come legittimo esercizio della copia privata, a meno che le major non vogliano sostenere che è illegale configurare un server online per conservare i propri file personali, o peggio che è illegale un hard disk esterno.
Nonostante la situazione appaia piuttosto chiara, i grandi produttori hanno iniziato a lamentarsi paventando l’esigenza di ulteriori licenze per il servizio, ponendo in essere un comportamento piuttosto paradossale. In verità l’industria dell’intrattenimento non ha mai gradito fornire musica che possa essere riprodotta su più periferiche, cercando di infarcire i file musicali con protezioni di vario tipo, rendendo sempre più complicata la vita agli utenti, quelli onesti, che pagavano regolarmente la tracce audio e che talvolta si vedevano addirittura danneggiati i loro computer per colpa di queste protezioni. Questo modo di fare delle major ha provocato l’effetto opposto, rendendo più appetibile l’elusione delle misure di protezione o il download illegale che l’acquisto di musica digitale, per cui l’industria è passata alla seconda fase, quella di chiamare in causa i provider, i motori di ricerca, insomma un po’ tutti chiedendo loro risarcimenti milionari. Le major insomma si lamentano sempre delle perdite dovute alla pirateria, ma in questo caso, come fa notare Amazon, le vendite sarebbero aumentate proprio grazie al nuovo servizio di Cloud, e nonostante il fatto che Amazon renda appetibile e comodo il download legale, le major si lamentano ugualmente!
Forse ha ragione Amazon quando, in un’apposita lettera, suggerisce loro: “stop whining about licensing deals and start thanking us for making you more money”, cioè “smettetela di lamentarvi delle licenze e iniziate a ringraziarci perché vi facciamo ottenere più soldi!”.