Il 18 maggio il Parlamento europeo ha approvato una proposta dalla Commissione europea per eliminare parzialmente le barriere territoriali all'interno dell'Unione. La proposta dovrà poi passare all’esame del Consiglio dei Ministri dell’Unione, per poi essere recepita dai singoli Stati. Se approvata consentirà una parziale eliminazione delle barriere territoriali (geoblocking), in quanto il titolare di un abbonamento di servizi (audio, video) in streaming (es. Netflix, Amazon Prime Video, Spotify, TimVisione, Sky Now, Steam, ecc...) potrà continuare ad usufruire dei contenuti acquistati anche nel caso in cui si sposti temporaneamente (es. per vacanza) in uno Stato dell’Unione differente rispetto a quello di residenza (e di acquisto del servizio).
Alcune limitazioni comunque rimangono. Non sarà possibile acquistare all'estero abbonamenti di servizi in streaming per poi poterne usufruire nel proprio paese di origine, né cambiare residenza continuando ad utilizzare un abbonamento sottoscritto in un altro Stato.
In realtà la norma in questione è quanto rimane di una proposta dell’eurodeputato Julia Reda, che invitava a rimuovere del tutto le barriere geografiche (geoblocking) all’interno dei confini europei. Le modifiche al parere hanno snaturato la proposta originaria, al punto che la stessa Reda ha ritirato la firma al provvedimento.
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Paradossalmente nell’Europa dove il cittadino può spostarsi liberamente e senza restrizioni, i contenuti digitali non hanno tale libertà, poiché l’accesso ai contenuti, pur regolarmente acquistati, è limitato territorialmente, in genere al solo paese nel quale il servizio è acquistato. Tali limitazioni territoriali hanno determinato ritardi nell’espansione dei servizi online come Spotify (4 anni per raggiungere 13 paesi europei) e Netflix. Questo stato di cose va in conflitto con lo stesso Digital Single Market (mercato unico europeo) che a parole dovrebbe consentire ai cittadini di acquistare prodotti e usufruire di servizi da ogni Stato europeo, senza limitazioni, ma nei fatti continua a limitare l’accesso ai contenuti.
Il modello tradizionale del diritto d’autore prevede che il titolare dei diritti dell’opera (che non sempre, anzi quasi mai è l’autore) possa “licenziare” i diritti a terzi. Ovviamente ha interesse a moltiplicare le rendite derivanti da queste licenze, per cui si sono inventati la “licenza territoriale”, cioè realizzano una frammentazione artificiale del territorio dell’Unione licenziando i contenuti Stato per Stato. Non solo, i titolari impongono all’emittente o distributore di non vendere il prodotto in altri Stati (limitazione alle vendite attive) e di non accettare offerte da consumatori di altri Stati (limitazione alle vendite passive). In tal modo i titolari dei diritti possono moltiplicare le vendite dello stesso prodotto aumentando artificialmente i profitti. In alcuni casi si hanno anche prezzi diversi a seconda dello Stato (price discrimination). Ovviamente ciò accade solo per i prodotti o servizi digitali, esistendo specifiche norme che vietano tali pratiche protezionistiche in relazione alla vendita dei beni fisici.
Infine, il lobbismo ha determinato l’introduzione di sanzioni (anche penali) per chi “salta” le barriere territoriali (così ad esempio, è illecito utilizzare una VPN per vedere i contenuti riservati agli Usa).
Tali pratiche finiscono per danneggiare i consumatori, che non possono accedere a determinati contenuti se non distribuiti in quel paese (pensiamo ai contenuti specificamente rivolti a minoranze), e non possono acquistarli in un differente Stato. Le minoranze linguistiche, gli studenti, ma anche i migranti che non possono accedere ai contenuti della madre-patria, si trovano a subire una palese discriminazione.
Le barriere territoriali, inoltre, finiscono per favorire le grandi aziende (Apple, Amazon, Netflix), le quali sono perfettamente in grado di dialogare con numerosi distributori in diversi Stati, laddove le piccole aziende hanno grossi problemi nel gestire una distribuzione così frammentata.
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L'industria del copyright afferma che è l’unico modo per poter sostenere gli ingenti costi della produzione di determinati contenuti (es. film), ma occorre notare che tali barriere territoriali limitano numerosi possibili acquirenti che, ovviamente, potrebbero finire per essere tentati da soluzioni illegali.
Alla fine ciò che rimane di una proposta che andava incontro alle esigenze dei consumatori è la riduzione delle barriere territoriali relativamente ai soli servizi in streaming (audio e video online). L’attuale proposta della Commissione si incentra, infatti, sulla portabilità dei contenuti attraverso le frontiere, rinunciando a liberalizzare le vendite passive. Nei fatti la proposta della Commissione favorisce semplicemente la circolazione dei contenuti del medesimo operatore, purché il trasferimento sia solo temporaneo. La norma, infatti, è limitata ai soli servizi in streaming, e limita anche temporalmente la possibilità di usufruire dei contenuti a pochi giorni al massimo, dopo di ché si applicheranno comunque le limitazioni territoriali.
In conclusione, non si tratta di una eliminazione del geoblocking, in quanto le barriere all’accesso dei servizi non offerti in un determinato paese rimangono (es. un cittadino italiano non potrà acquistare contenuti venduti in Irlanda), ma più che altro di una sorta di roaming temporalmente limitato.
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