ARTICLE 19: il regolamento Agcom non rispetta la libertà di espressione

article19ARTICLE 19 è un'organizzazione non governativa fondata nel 1987 che si occupa specificamente delle minacce alla libertà di espressione e fornisce analisi giuridiche delle leggi in materia e consulenza legale a singoli o gruppi ai quali sia stato negato tale fondamentale diritto. Prende il suo nome dall'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo che, appunto, tutela la libertà di opinione e di espressione.

Di recente ARTICLE 19 ha divulgato l'analisi giuridica della delibera predisposta dall'italiana Agcom al fine di regolamentare il diritto d'autore in rete.
Il regolamento Agcom, pubblicato a luglio di quest'anno, introduce una fase propedeutica basata su delle policy di autoregolamentazione derivanti da accordi tra le aziende (in pratica le policy che troviamo sui social network). Solo nel caso in cui tali regole non siano presenti sul sito che pubblica il contenuto in violazione del diritto d'autore, oppure nel caso in cui a seguito dell'attivazione della procedura di segnalazione interna al sito non si ottiene la rimozione del contenuto, il titolare dei diritti può rivolgersi all'Agcom chiedendo il suo intervento.

La delibera Agcom prevede due distinte procedure. Una ordinaria con termini più lunghi, ed una abbreviata, da applicarsi in casi di gravi lesioni dei diritti, che sostanzialmente riduce i termini a pochi giorni.

Nella sua analisi giuridica ARTICLE 19 ricorda che la precedente delibera fu accantonata per le discussioni sulla legittimazione dell'Agcom a legiferare in tale materia. Nonostante il dubbio non sia ancora stato risolto, l'Agcom propone una nuova delibera.
In maniera abbastanza lapidaria ARTICLE 19 ritiene che lo schema di regolamento non rispetti gli standard internazionali sulla libertà di espressione, appuntando i suoi dubbi specificamente, ma non solo, sulla possibilità di ordinare il blocco di interi siti o di indirizzi IP.

Lo studio di ARTICLE 19 premette che la libertà di espressione è tutelata in maniera diretta da tutti gli ordinamenti statali e dalle convenzioni internazionali. Di contro, la proprietà intellettuale è protetta solo indirettamente, tranne che nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dove è citata all'articolo 17.
Come ribadito più volte dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, le restrizioni alla libertà di espressione sono legittime solo se si realizzano in presenza di specifiche condizioni: devono essere previste da una norma legislativa, devono perseguire uno scopo legittimo (tutela della reputazione o altri diritti, sicurezza nazionale, ordine pubblico, sanità o morale comune), devono risultare necessarie per la tutela del diritto contrapposto, e infine devono essere proporzionate allo scopo legittimo perseguito.

Studi ONU e OSCE
L'analisi giuridica di ARTICLE 19 si avvale di una serie di studi proposti dall'ONU e dall'OSCE.

Il rapporto sulla libertà di espressione dell'ONU del 16 maggio 2011, si occupa specificamente del blocco dei siti web, una delle misure frequentemente utilizzate per impedire l'accesso a materiali in violazione del diritto d'autore.
Secondo il rapporto ONU tale misura tecnica frequentemente comprime la libertà di espressione, e questo accade perché:
- le condizioni che giustificano il blocco non sono indicate in una norma, oppure lo sono in maniera vaga ed imprecisa;
- il blocco non è giustificato per raggiungere uno scopo legittimo tra quelli indicati nell'articolo 19 della Convenzione dei diritti dell'Uomo;
- la lista dei siti bloccati non è resa pubblica, impedendo quindi un controllo successivo sulla legittimità del blocco stesso;
- le misure di blocco sono generalmente un mezzo sproporzionato rispetto allo scopo che si prefiggono (es. la tutela del copyright);
- il blocco non è generalmente indirizzato sui soli contenuti illeciti, ma comporta frequentemente l'inaccessibilità anche di contenuti ulteriori del tutto leciti;
- il blocco spesso non è deciso da un giudice o comunque non è previsto l'intervento di un giudice per un riesame del provvedimento di blocco.

Secondo questo rapporto, il blocco dei siti, o degli IP o dei profili sui social è, quindi, una misura estrema, paragonabile al sequestro di un giornale, che può essere giustificata solo in accordo agli standard internazionali (ad esempio per la protezione dei bambini contro gli abusi sessuali). Il filtraggio dei contenuti online, inoltre, se imposto da un governo o una azienda privata, è una forma di censura non giustificabile in quanto limita la libertà di espressione.

Alle medesime conclusioni è pervenuto l'OSCE con un rapporto del 2011.

Sulla base di tali rapporti, ARTICLE 19 ha sviluppato una serie di regole per bilanciare correttamente la libertà di espressione e la tutela del copyright online:
- il blocco di un sito web deve essere previsto per legge;
- la misura dovrebbe essere imposta dalla magistratura o da un'autorità indipendente.
Nell'applicare tale misura la magistratura, o l'autorità, deve tenere presente questi principi:
- il blocco deve essere indirizzato nella maniera più precisa possibile verso il contenuto illecito;
- nessun blocco può essere autorizzato se prima il titolare dei contenuto non ha dimostrato i suoi diritti;
- le ingiunzioni devono essere relative alle sole opere per le quali è stato dimostrato il diritto dei titolari;
- l'ordine di blocco deve essere una misura estrema, da utilizzare solo in assenza di altre possibilità;
- in linea di massima l'ordine di blocco non deve impedire l'accesso a materiale lecito;
- l'ordine di blocco deve avere durata limitata;
- il blocco di un sito al fine di prevenire ulteriori e future violazioni del copyright è una forma di censura preventiva e quindi una restrizione della libertà di espressione non proporzionata.

ARTICLE 19 ritiene, inoltre, che debba essere prevista una procedura che consenta agli utenti che hanno immesso i contenuti presunti illeciti di intervenire nelle procedure di rimozione dei contenuti.
Infine, una falsa richiesta di blocco di contenuti consapevolmente inviata da un soggetto dovrebbe essere punita, e dovrebbe essere anche previsto un risarcimento per i danni causati all'utente.

Notice and takedown
Il rapporto dell'ONU esamina anche le procedure di notice and takedown, cioè quelle procedure che portano alla rimozione (takedown) di un contenuto a seguito della segnalazione (notice) da parte del titolare del diritto. Secondo il rapporto le procedure di notice and takedown sono frequentemente soggette ad abuso sia da parte dei governi che delle aziende perivate. Infatti, tali procedure non prevedono adeguati mezzi per opporsi al blocco dei contenuti, e tendono a portare alla rimozione di più contenuti di quanto necessario, con effetti di censura sui contenuti leciti. Il processo decisionale svolto dall'intermediario, inoltre, non è mai trasparente e comunque i provider, come aziende private, non sono i soggetti più adatti a prendere decisioni su cosa è illegale e cosa non lo è.
Il rapporto conclude raccomandando che nessuno dovrebbe essere ritenuto responsabile di contenuti prodotti da altri nel momento in cui si limita a fornire accesso, hosting o caching al contenuto medesimo, ma la responsabilità dell'intermediario dovrebbe sorgere solo nel momento in cui interviene attivamente sul contenuto pubblicato. Inoltre, le richieste di takedown agli intermediari dovrebbero venire solo dalla magistratura, e comunque dovrebbe essere sempre prevista la possibilità di ricorrere ad un giudice contro tali provvedimenti di rimozione, e le misure di blocco o censura di contenuti non dovrebbero mai essere delegate a soggetti privati.

Basandosi su tali principi ARTICLE 19 raccomanda di seguire alcune semplici regole:
- non dovrebbe essere richiesto agli intermediari di monitorare i loro servizi per prevenire violazioni del copyright;
- i provvedimenti di rimozione dovrebbero essere emessi dalla magistratura oppure da un'autorità indipendente, ed essere sempre previsti per legge.
Poiché i provvedimenti di notice and takedonw incoraggiano la rimozione di contenuti anche in assenza di prove certe di illiceità, e quindi limitano la libertà di espressione, dovrebbero essere interpretati in maniera restrittiva. In particolare, solo i titolari dei diritti o i loro rappresentanti dovrebbero essere autorizzati ad inviare richieste di rimozione. La titolarità del diritto dovrebbe essere provata. La richiesta di rimozione deve essere specifica con indicazione della url e della data della violazione. L'uploader del contenuto illecito dovrebbe essere informato, e dovrebbe avere il diritto ed il tempo sufficiente per un controricorso. Le notifiche false o negligenti dovrebbero essere punite con risarcimenti a seguito della rimozione di contenuti leciti. Le richieste di takedown dovrebbero essere trasparenti e pubbliche al fine di sottoporle alla verifica dell'opinione pubblica.

Notice and notice
Sulla base di queste considerazioni, in particolare dei forti rischi di conseguenze negative verso la libertà di espressione a seguito dell'applicazione di procedure di notice and takedown, ARTICLE 19 propone un modello alternativo, cioè il notice and notice caratterizzato dal fatto che il provider rimane un mero intermediario tra le parti in causa, il titolare del diritto e l'utente, e quindi non è costretto ad una valutazione sulla liceità del contenuto immesso sui suoi server.
Tale procedura sarebbe davvero rispettosa degli standard internazionali sulla libertà di espressione.
Essa prevede che il titolare del diritto paghi una cauzione per poter inviare la richiesta di rimozione del contenuto presunto illecito, e che vi sia l'obbligo di precisare i motivi dell'illiceità del contenuto. L'intermediario gira la richiesta all'uploader, il quale può rimuovere personalmente il contenuto oppure decidere di proporre una contro notifica, in un tempo ragionevole. In quest'ultimo caso il titolare dei contenuti può rinunciare oppure è obbligato a portare il caso in un tribunale.
Se invece l'uploader non risponde nel tempo previsto, l'intermediario può decidere se rimuovere il contenuto oppure tenerlo online, nel qual caso ne sarà corresponsabile nell'eventuale giudizio dinanzi alla magistratura.

Analisi del regolamento Agcom
Dopo queste necessarie premesse metodologiche, ARTICLE 19 si occupa di analizzare il nuovo regolamento Agcom. ARTICLE 19 ritiene positivo che non si applichi agli utenti individuali e alle reti P2P, anche perché una disconnessione o sanzioni criminali a fronte della violazione dei meri diritti economi di un'azienda sarebbe comunque, osserva ARTICLE 19, un'interferenza sulla libertà di espressione sproporzionata rispetto allo scopo da raggiungere (la tutela del diritto d'autore).
Ugualmente positiva è la promozione dei contenuti legali.

Per quanto riguarda la procedura prevista per la tutela del diritto d'autore in rete, l'aspetto più controverso è il ruolo principale assegnato (in realtà autoassegnato) all'Agcom. Anche se, infatti, si tratta comunque di un'autorità indipendente, sarebbe preferibile che l'autorità amministrativa deputata alla valutazione delle violazioni non fosse l'Agcom, che non presenta una indipendenza adeguata. Infatti osserva ARTICLE 19 che i regolatori della comunicazione spesso si trovano troppo vicini all'industria che regolano, e non prestano sufficiente attenzione ai diritti fondamentali del cittadino, oltre a non avere competenze adeguate per il bilanciamento dei diritti in gioco.
Considerato che gli ordini di blocco devono sempre rispettare il criterio di proporzionalità, e in particolare il blocco di un sito per la violazione del diritto d'autore non può essere legittimo ma si presenta come una restrizione eccessiva della libertà di espressione, per il rischio di blocco di contenuti ulteriori e leciti, ARTICLE 19 propone che gli ordini di blocco di interi siti, domini e indirizzi IP, siano eliminati dal regolamento. In alternativa raccomanda che la competenza sia assegnata alla magistratura, come accade in altri paesi (Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania), oppure ad un'autorità differente dall'Agcom.

ARTICLE 19 ritiene, inoltre, che sia da espungere dal regolamento la norma che consente all'Agcom di ottenere informazioni private sugli utenti dell'intermediario. Tali informazioni dovrebbero essere richieste solamente dalla magistratura, maggiormente equipaggiata per contemperare i diritti in contrasto, o da altra autorità indipendente.

ARTICLE 19 raccomanda l'uso della procedura notice and notice, più rispettosa dei diritti degli utenti rispetto alla notice and takedown che può frequentemente portare a conseguenze negative sulla libertà di repressione.
Secondo ARTICLE 19 la procedura prevista dall'Agcom presenta termini temporali troppo brevi, insufficienti in particolare a consentire una contro notifica e un'adeguata difesa al soggetto che ha immesso online il presunto contenuto illecito. Termini troppo brevi possono facilmente portare alla rimozione di contenuti senza una valutazione adeguata. Propone quindi una estensione a 14 giorni del termine per presentare la contronotifica.

Anche il termine per adempiere all'ordine dell'autorità da parte degli intermediari è ritenuto troppo breve, e dovrebbe essere esteso consentendo così alle parti di impugnare l'ordine dinanzi alla magistratura.
La delibera dovrebbe menzionare espressamente la possibilità di impugnare l'ordine dinanzi alla magistratura.

Ancora, si dovrebbe prevedere la pubblicazione delle liste dei siti bloccati in modo da poter verificare la legittimità degli ordini di blocco.

Anche la multa da 10mila a 250mila euro è ritenuta eccessivamente alta, ed infine la delibera dovrebbe espressamente prevedere delle sanzioni per le richieste abusive di rimozione di contenuto ed adeguati risarcimenti in caso di rimozione di contenuti che non dovevano essere rimossi.

L'analisi giuridica di ARTICLE 19 si presenta complessa e completa, e a tutti gli effetti si può considerare quasi una bocciatura del regolamento nella sua attuale formulazione perché va a sconfessare proprio gli aspetti più importanti della delibera stessa, cioè la legittimità dell'Agcom e gli ordini di blocco verso gli intermediari.
È da notare che ARTICLE 19 enfatizza la necessità di trasparenza verso l'opinione pubblica, in particolare ritiene necessaria la pubblicazione delle liste dei siti bloccati, nel caso in cui tali misure non siano espunte dal regolamento. Si tratta di una forma di trasparenza essenziale in una società democratica, al fine di consentire il controllo da parte dell'opinione pubblica dell'operato delle autorità amministrative, specie in considerazione del fatto che tali autorità non rispondono generalmente ai cittadini ma solo al governo e i loro membri sono di nomina politica.
Fondamentale appare anche la previsione di sanzioni per quei soggetti che presentino una falsa richiesta di rimozione di contenuti, ad esempio nel caso in cui sostengano falsamente di avere diritti su un contenuto. Si tratta di forme di abuso che sono avvenute in passato nei paesi (Usa) dove vigono procedure di notice and takedown, e le sanzioni appaiono essenziali al fine di prevenire o quanto meno limitare tali abusi. In assenza di sanzioni sarebbe fin troppo facile per l'industria del copyright chiedere la rimozione di quanti più contenuti possibili fidando nei termini troppo brevi per una corretta disamina di tali richieste.