Dove non arriva lo Stato forse arrivano le Regioni. L’innovazione delle infrastrutture per il web, in una parola la banda larga, è palesemente fuori dalle priorità del governo, in considerazione del fatto che gli 800 milioni dell’ormai famoso piano Romani, pur già stanziati, ancora non si vedono, e saranno sbloccati, dicono dal governo, solo quando usciremo dalla crisi. Ma non solo, il governo non si è ancora mosso nemmeno per le attività a costi bassi, come la realizzazione di un catasto della banda larga fissa e mobile. Insomma, nel settore dell’innovazione tecnologica il governo ritiene poco importante lo sviluppo della banda larga e la riduzione del digital divide che stringe l’Italia, piuttosto preferisce incentivare l’uso del digitale terrestre, addirittura dei frigoriferi, ma ben poco va alla banda larga. E questo nonostante le numerose richieste degli scarni incentivi dedicati ad internet.

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Nel resto d’Europa, invece, si cominciano a muovere un po’ tutti, visto che si sono resi conto che tra le maggiori aziende che operano sulla rete la quasi totalità non sono europee. Per risolvere il gap tecnologico l’Unione Europea a giorni presenterà il suo piano per rilanciare lo sviluppo della rete, al fine di dare agli europei una internet veloce (30 Mbps) entro il 2020 e sbloccare un potenziale di un milione di posti di lavoro. Ovviamente la Commissione Europea chiederà ai vati Stati di fare la loro parte. Gli USA, invece, hanno già l’ambizioso piano Connecting America, mentre in Italia tutto tace a livello nazionale, a parte alcune iniziative del tutto contraddittorie, come la fornitura gratuita (si fa per dire) di Pec a tutti gli italiani, peccato che poi molti italiani non hanno nemmeno un accesso decente alla rete.
A livello locale, invece, qualcosa finalmente si muove. Dapprima si è mossa Confindustria, e il presidente di Assinform ha sostenuto che “la sottovalutazione del ruolo decisivo che l'It gioca nel processi di crescita della competitività, produttività e sviluppo del Paese è il primo digital divide da superare”.
La Federazione dei Servizi Innovativi ha, quindi, realizzato uno studio che evidenzia il ritardo tecnologico dell’Italia, analizzando in profondità la quantità ma anche la qualità delle connessioni internet. Il progetto, chiamato “Italia Digitale”, ha l’obiettivo di realizzare uno studio completo al fine di presentare, dopo l’estate, un piano completo ed articolato per l’innovazione.
Da questo lavoro già escono fuori i primi risultati, in particolare le interessanti cifre che si potrebbero risparmiare con una digitalizzazione del paese. Secondo questo studio i vantaggi sarebbero enormi anche solo come risparmio, si parla, infatti, di circa 30 miliardi di risparmio per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, e poi vantaggi ulteriori per i vari settori. 400 milioni sarebbe il risparmio conseguente alla digitalizzazione delle scuole, 500 milioni per quella della Giustizia, e così via, fino a valutare un aumento di occupati di almeno 150mila persone per la riqualificazione degli edifici pubblici, oltre ad un notevole risparmio energetico.
Secondo tale studio è fattibile in tempi brevi una digitalizzazione del paese, entro il 2012 si potrebbero avere le connessioni veloci, poi man mano la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione per il 2014, e di seguito gli ulteriori miglioramenti. Già in tempi brevi, si prevede che giungeranno i primi obiettivi economici.
Ma non basta. Ad una Confindustria ormai insofferente alla latitanza dello Stato nell’innovazione tecnologia, si aggiungono ulteriori elementi di non poco contro. In primis ci sono le Regioni che sembrano decise a far decollare la banda larga, a cominciare dalla Lombardia che annuncia un piano per portare la banda larga a 20 mega al secondo al 50% del territorio regionale, ed anche altre Regioni che si stanno incamminando sulla stessa strada.
Gli enti locali fin’ora erano stati restii ad investire in questo settore, in considerazione del piano del governo di creare una società che avrebbe dovuto gestire una rete unica nazionale nella quale sarebbe confluita la rete Telecom ed eventuali reti di enti locali, le quali sarebbero state espropriate. Con questo rischio nessuno si è preso la briga di investire nel settore.
Poi c’è il progetto Ngn (New Generation Network), cioè di una rete di nuova generazione alternativa a quella Telecom, al quale stanno lavorando da tempo Fastweb, Wind e Vodafone, progetto che sembrava arrestato dalle recenti inchieste Sparkle-Fastweb, ma che invece é ancora in corsa, ed è stato presentato al governo in questi giorni. La Ngn dovrebbe coprire le prime 15 città italiane, quindi circa 10 milioni di abitanti, con 5 anni di lavori e un investimento di 2,5 miliardi. I tre principali concorrenti di Telecom auspicano comunque accordi per una infrastruttura che si rivelerà fondamentale per i prossimi anni, ed aprono anche alla Telecom, nel caso volesse partecipare.
Con tutti questi possibili soggetti in azione, in particolar modo i soggetti privati, verrebbe meno anche il pericolo di una Rete Unica, per cui potrebbero finalmente partire gli investimenti nel settore senza attende il governo.
Il punto è che ci si è resi conto dell’importanza della connessione alla rete, che la banda larga è l’infrastruttura base per la modernizzazione del paese e per lo sviluppo dell’economia, la rete e l’economia viaggiano di pari passo. Attendere ulteriormente potrebbe portare un gap tecnologico col resto del mondo sempre più difficile da colmare in futuro.