CEDU

Articoli su sentenze e provvedimenti della CEDU, Corte europea dei diritti dell'uomo, di Strasburgo

  • Corte europea dei diritti dell’uomo: immunità parlamentare e diritto alla giustizia

    Con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 30 settembre 2011, n. 19985 si chiude una vicenda che offre vari spunti di riflessione in relazione alle prerogative dei parlamentari e alla rilevanza delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sulle pronunce della magistratura interna.

    A seguito di dichiarazioni di un senatore della Repubblica, rese nel corso di un’intervista al quotidiano Il Messaggero, un candidato alle elezioni, ritenendo dette dichiarazioni ingiuriose, avvia un’azione civile e penale per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del senatore. 
    In primo grado la richiesta di risarcimento del danno viene respinta, in quanto il tribunale, pur ritenendo che le dichiarazioni erano espressione del diritto di critica, conferma la delibera del Senato (11 marzo 1998) secondo la quale le dichiarazioni del senatore erano state fatte nell’ambito delle sue funzioni di parlamentare.

  • CEDU su perquisizioni e sequestri al giornalista

    Con la sentenza del 12 aprile 2012, ricorso 30002/08, la Corte dei diritti dell'uomo torna a discutere di libertà di stampa.
    Giornalisti francesi del quotidiano Midi Libre pubblicano documentazione soggetta a segreto professionale, e quindi subiscono una perquisizione da parte dell'autorità giudiziaria, al fine di rinvenire elementi per scoprire l'identità di chi aveva dato quei documenti ai giornalisti. La perquisizione, ed il conseguente sequestro di supporti informatici ed agendine, non porta però i risultati sperati, e i responsabili della fuga di notizie rimangono ignoti.
    I giornalisti impugnano il provvedimento, chiedendo la restituzione degli strumenti di lavoro, ma ottengono un secco rifiuto nei tre gradi di giudizio, per cui ricorrono alla Corte europea.

  • La Corte dei diritti dell'uomo tra obbligo di rettifica e libertà di espressione

    Nei mesi passati ha fatto molto discutere la proposta di riforma delle intercettazioni, che conteneva al suo interno anche un articolo che estendeva l'obbligo di rettifica previsto per la stampa a tutti i siti internet. Anche se il relativo dibattito appare temporaneamente sopito, una recente pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la sentenza n. 43206/07 pubblicata il 3 aprile 2012 risulta in netta controtendenza ponendo la necessità di una riflessione su tale istituto e la sua applicazione in Italia.

    Riassumiamo la vicenda. Un giornalista polacco pubblica un articolo decisamente critico nei confronti di una amministrazione comunale e del suo sindaco. Quest'ultimo risponde con una lettera al giornalista, chiedendone la pubblicazione quale rettifica all'articolo. Il giornalista si rifiuta di pubblicare la rettifica e non risponde al sindaco precisando i motivi della mancata pubblicazione, adempimento che è previsto obbligatoriamente dalla legislazione polacca. Il sindaco si rivolge al tribunale competente, dove il giornalista si difende sostenendo che la lettera non aveva le caratteristiche di una rettifica essendo sprovvista di carattere di oggettività, quanto piuttosto conteneva insinuazioni. Il tribunale però, sulla base della normativa nazionale che prevede la rettifica come obbligatoria, condanna il giornalista alla pena di 4 mesi da scontare a mezzo di servizi sociali e sospende il giornalista per 2 anni dalla professione. La sentenza comminata viene confermata anche in appello, e a quel punto il giornalista impugna la decisione al Tribunale di Strasburgo.

  • Corte dei diritti dell'uomo e atti coperti da segreto

    Una recente sentenza della Corte di Strasburgo, ci consente di fare il punto sulla questione dei limiti al giornalismo, in base a quanto previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

  • Il controllo dei dipendenti senza informarli viola la privacy

    La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ribalta una precedente pronuncia, sostenendo che il controllo dell'utilizzo di account professionali viola il diritto alla privacy se non si informano preventivamente i lavoratori e se il controllo non è necessario.