CGUE

Corte di Giustizia dell'Unione europea

  • Linking e diritto d’autore

    Il linking(da link, cioè “catena” o “collegamento” in inglese) è quella funzione che consente al gestore di un sito web di rinviare a risorse esterne al sito stesso, cioè un comando che, se attivato cliccando col mouse su una specifica parola (hotword), apre la pagina corrispondente di un altro sito. Ovviamente in questa sede ci limitiamo alla problematica dei link esterni, che possono porre problemi legali, in particolare in relazione al diritto d’autore e alla tutela degli interessi del titolare del sito linkato.

  • DDL Intercettazioni contrario a sentenze Corte europea

    Procede a tappe forzate l’iter per l’approvazione al Senato del disegno di legge sulle intercettazioni che, nonostante alcune modifiche più formali che sostanziali, mantiene tutto il suo contenuto dirompente per le indagini giudiziarie, ma anche gli aspetti negativi in materia di stampa, incidendo pesantemente sulla libertà di stampa e il diritto di informazione della pubblica opinione, nonché il comma 28 che ha un impatto devastante sui blog e siti informatici, introducendo l’obbligo della rettifica anche per il web.

    Al testo iniziale, già approvato alla Camera lo scorso anno, sono state approntate alcune modifiche che, però, non mitigano l’impatto dell’impianto normativo. In particolare osserviamo che è stata ripristinata la dizione “gravi indizi di reato” invece della dizione “gravi indizi di colpevolezza”, ma collegando i “gravi indizi di reato” all’articolo 192 del c.p.p. che serve per valutare la colpevolezza a carico dell’imputato. Tale ancoraggio comporta che i “gravi indizi di reato” debbano essere intesi secondo i canoni dell’art. 192, cioè sostanzialmente dovranno essere sempre indizi di colpevolezza, riferiti alla persona, non al reato. Rientra per la finestra ciò che era uscito dalla porta!

  • La Corte europea boccia di nuovo il filtraggio generalizzato, ma ACTA non c’entra

    Corte Europea di GiustiziaLa recente sentenza della Corte di Giustizia europea, del 16 febbraio 2012, si aggiunge alla sentenza che riguardava la disputa tra Sabam e Scarlet, rafforzando i principi esposti in quella sede.

    Anche in questo caso c’entra la Sabam, la società che rappresenta gli autori, compositori ed editori di opere musicali in Belgio, in pratica l’equivalente della nostrana Siae. Contraddittore è Netlog, un social network con circa 2 milioni di iscritti, citato in giudizio perché la Sabam pretendeva che predisponesse dei filtri generalizzati per impedire le diffusione di opere protette dal diritto d’autore senza il consenso dei titolari. La richiesta era, quindi, di una azione inibitoria, alla quale il social network ha risposto negativamente, sostenendo che l’ingiunzione in questione avrebbe portato alla predisposizione di un sistema di filtraggio dei contenuti, preventivo, illimitato nel tempo ed eccessivamente costoso.

  • Corte UE: no al copyright sul calendario delle partite di calcio

    Calcio calendarioLa Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 1 marzo 2012, nella causa C-604/10 proposta dall'inglese Footbal Dataco, statuisce che "un calendario di incontri di calcio non può essere tutelato attraverso il diritto d'autore quando la sua costituzione sia dettata da regole o vincoli che non lasciano alcun margine alla libertà creativa".

    La vicenda è piuttosto interessante, anche perché avrà delle ricadute all'interno dell'Unione europea, in particolare per la vendita dei calendari e la pubblicazione degli elenchi delle partite.

    Per comprenderla adeguatamente dobbiamo premettere che in Europa la legislazione sul diritto d'autore protegge anche le basi di dati (database).

  • Corte europea e diffusione di musica in sala d'aspetto: il dentista non paga i diritti d'autore, l'albergo sì

    musicaForse si avvia verso una soluzione l'epopea del pagamento dei diritti d'autore da parte dei professionisti per la musica in sala d'aspetto. In Italia fin dal 2005 si è posto il problema con la SCF che ha citato molti professionisti chiedendo loro il pagamento dei diritti d'autore per la musica diffusa in sala d'attesa, con risultati alterni. Alcuni di questi procedimenti sono approdati alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, insieme ad altri procedimenti nati in altri Stati dell'Unione, e si sono avute anche delle pronunce in materia. In merito ad uno di questi procedimenti italiani avevamo dato conto del parere dell'Avvocato Generale della Corte.

    Due recenti pronunce della Corte di Giustizia forse pongono finalmente un punto fermo, anche se probabilmente non tutti i dubbi sono chiariti. Ci riferiamo alle sentenze della Corte di Giustizia sezione III, entrambe del 15 marzo 2012, causa C-135/10 e C-162/10.

  • Corte Europea e Data Retention: no alla sorveglianza digitale di massa

    Corte di Giustizia dell'Unione Europea

    La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE), con la sentenza dell'8 aprile 2014 (cause riunite C-293/12 e C-593/12) ha dichiarato l'invalidità della direttiva europea n. 2006/24/CE, e quindi l'inefficacia fin dalla sua entrata in vigore.

  • Corte di Giustizia: le funzionalità del software non sono soggette a copyright

    SoftwareCon la sentenza del 2 maggio 2012, causa C-406/10, la Corte di Giustizia Europea interviene sulla problematica della tutela del software quale opera d'ingegno.

    Il SAS Institute, realizzatore di programmi per elaboratore ed in particolare del linguaggio SAS per l'analisi di dati, contesta alla World Programming di aver copiato il codice del sistema SAS creando il WPL, un programma alternativo in grado di eseguire applicazioni SAS, in tal modo violando i diritti d'autore su tali applicativi.
    La High Court of Justice dell'Inghilterra precisa che non risulta dimostrato che per realizzare la WPL l'azienda abbia avuto accesso al codice sorgente dei moduli SAS, per cui decide di sospendere la pronuncia e di sottoporre alla Corte di Giustizia europea la questione se le funzionalità di un programma per elaboratore nonché il linguaggio di programmazione e il formato dei file di dati utilizzati nell'ambito di un programma per sfruttare determinate sue funzioni costituiscono una forma di espressione di detto programma e possono, a tale titolo, essere protetti dal diritto d'autore sui programmi per elaboratore ai sensi della direttiva europea 91/250.

  • Diritto all'oblio tra Corte Europea e Google

    diritto all'oblioConsiglio di leggere anche l'articolo di Carlo Blengino: La Corte di Giustizia e i motori di ricerca: una sentenza sbagliata
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    Con la sentenza del 13 maggio 2014 (causa C-131/12), la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) riapre il dibattito sul diritto all'oblio intervenendo direttamente sui motori di ricerca online, in particolare Google.

    I fatti
    Il caso è classico. Lo spagnolo Costeja Gonzalez proponeva reclamo dinanzi all'AEPD (Agencia Espanola de Proteccion de Datos, il Garante Privacy spagnolo) contro La Vanguardia, Google Spain e Google Inc., lamentando che nell'indice del motore di ricerca di Google erano presenti link verso il quotidiano La Vanguardia, nelle cui pagine (risalenti al 1998) figurava un annuncio (che menzionava il nome, quindi dati personali) per la vendita all'asta di immobili in relazione ad un pignoramento per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.
    Costeja Gonzalez premetteva che il pignoramento era stato definito da anni e il debito pagato, per cui chiedeva di ordinare al quotidiano di eliminare le pagine o a Google di rimuovere i suoi dati affinché non figurassero più sul motore di ricerca.

  • Corte di Giustizia: principio di esaurimento e software usato

    Principio di esaurimentoCon la sentenza del 3 luglio 2012, caso C-128/11, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea chiarisce indubitabilmente come sia del tutto legittimo il mercato del software di seconda mano, anche se distribuito tramite download in rete.

    La Oracle è una azienda che sviluppa programmi per computer, e li distribuisce mediante download in rete. Il cliente scarica una copia del software e lo può usare acquistando una licenza che include il diritto di memorizzare in modo permanente la copia del programma sul proprio computer, oltre ovviamente al diritto di utilizzazione di durata indeterminata. Nella licenza si precisa, però, che essa non è trasferibile.
    UsedSoft è un'azienda tedesca che rivende licenze di clienti della Oracle, così che i suoi clienti scaricano il software direttamente dai server Oracle, e sono legittimati ad usarlo grazie alla licenza "usata".
    Secondo Oracle tale attività deve ritenersi in contrasto con le normative vigenti, in particolare le direttive europee in materia di diritto d'autore, nello specifico la direttiva 2001/29/CE e la direttiva 2009/24/CE. La magistratura tedesca, dinanzi alla quale è stata incardinata la procedura, si è rivolta alla Corte di Giustizia per l'interpretazione delle norme da applicare al caso concreto.

  • Corte europea e responsabilità da link

    La sentenza della Corte di Giustizia europea sul caso GS Media non si discosta dalle precedenti pronunce e quindi non risolve in alcun modo i tanti problemi che stanno sorgendo nell'ecosistema digitale. Linkare contenuti illeciti è illecito in presenza di consapevolezza o fini di lucro. 

  • Caso Telekabel: l'Avvocato Generale della Corte Europea sul web blocking

    web-blockingIl 26 novembre 2013 l'avvocato generale Villalon ha presentato le sue conclusioni nel procedimento C-314-12 dinanzi alla Corte di Giustizia Europea. È piuttosto interessante notare che vari articoli, su giornali e online, di commento al documento si sono soffermati su un aspetto tutto sommato marginale, sostenendo che l'Europa fosse, quindi, favorevole al blocco dei siti web. Come a sottintendere che, finalmente, c'è il "via libera" dell'Europa!
    In realtà anche se questo è il primo caso nel quale la Corte europea si occupa specificamente di web blocking (prima andavano di moda i 3 strikes, poi si è scoperto che sono del tutto inefficaci), bisogna ricordare che i provvedimenti di blocco di siti web sono ormai pratica comune in vari paesi europei, tra i quali l'Italia si mostra, purtroppo, particolarmente attiva, insieme alla Gran Bretagna. In molti paesi (es. in Svizzera su pressioni dell'USTR americano) si stanno avviando riforme per introdurre tali tipi di provvedimenti. La vera novità delle conclusioni dell'avvocato generale è data piuttosto, come sottolineato da Marco Bellezza e Innocenzo Genna, dai paletti che Villalon pone a questo tipo di provvedimenti inibitori.

    Prima di analizzare le argomentazioni dell'avvocato generale occorre, però, premettere che pur trattandosi di un parere importante, e che in genere le conclusioni dell'avvocato generale vengono riprese in sentenza, si tratta comunque di conclusioni che la Corte potrebbe non accogliere o farlo parzialmente, anche se nel caso specifico risulta difficile poiché si rifanno ampiamente a precedenti decisioni della medesima Corte.

  • Il diritto all'oblio torna alla Corte europea

    Non c’è pace per il diritto all’oblio, un diritto giovane che però non trova ancora una definizione condivisa, tanto che nel nuovo Regolamento generale per la protezione dei dati personali si parla di diritto alla cancellazione. Il Consiglio di Stato francese (qui il comunicato in inglese), infatti, rimanda il diritto all’oblio alla massima Corte dell’Unione europea, chiedendo di precisare alcuni aspetti non secondari dell’applicazione di tale diritto.

  • Corte europea: per linkare non occorre il permesso dei titolari dei diritti

    linkIl link è la tecnica di navigazione principale del web, ecco perché la recente sentenza (caso C-466/12) della Corte di Giustizia dell'Unione europea è importante per il futuro di internet.

    I giornalisti del Goteborg Posten, un quotidiano online svedese, si sono lamentati del fatto che il sito Retriever Sverige pubblicava i collegamenti ipertestuali diretti ad articoli presenti sulla testata giornalistica online. I giudici nazionali hanno investito della questione l'alta corte europea, chiedendo se l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 ("Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente") debba essere interpretato nel senso che un link presente su un sito e diretto verso opere protette disponibili su un altro sito costituisce atto di comunicazione al pubblico. Il quesito è importante, perché qualsiasi comunicazione al pubblico di un'opera, sulla base della medesima direttiva deve essere autorizzata dal titolare del diritto d'autore.
    È fondamentale tenere presente che le opere presenti sul giornale svedese sono liberamente accessibili.

    Nella sua decisione la Corte europea precisa che si ha comunicazione al pubblico quando l'opera viene messa a disposizione di un pubblico, cioè un numero indeterminato e considerevole di destinatari potenziali. Inserire dei link diretti a opere presenti su altro sito pone in essere un'attività definibile come messa a disposizione, quindi siamo in presenza di una comunicazione al pubblico.
    Però, la giurisprudenza nel tempo ha precisato che per ricadere nella nozione di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29, la comunicazione deve essere rivolta ad un pubblico nuovo, rispetto a quello dell'opera originale. Poiché nel caso specifico il sito del giornale svedese era liberamente accessibile a tutti, quindi anche ai soggetti ai quali si rivolgeva il Retriever Sverige, non siamo un presenza di una nuova comunicazione al pubblico, e l'attività in questione non rientra nel caso previsto dall'art. 3 della direttiva citata. Quindi non è necessaria l'autorizzazione dei titolari del diritto d'autore.

  • CJEU: Pirate Bay e la comunicazione al pubblico

    Con la sentenza nel caso Stichting Brein contro Ziggo, la Corte di Giustizia europea afferma che il sito The Pirate Bay pone in essere una comunicazione al pubblico ai sensi della normativa europea, e quindi viola il copyright, nonostante i contenuti siano immessi dagli utenti. 

  • Corte Europea: i Drm possono essere elusi se non sono proporzionati

    DRMUna fondamentale sentenza interpretativa della Corte di Giustizia europea è quella emanata nella causa C-355/12 (Nintendo contro PC Box) e che si occupa di misure tecnologiche.

    Nintendo commercializza console per videogiochi con un codice criptato che ha l'effetto di impedire l'utilizzo di copie illegali dei videogiochi. La tecnologia di protezione (DRM) impedisce l'avvio di un gioco se il codice non è corretto, e in tal modo Nintendo si assicura che sui suoi dispositivi giri solo software autorizzato. Questo sistema di protezione in realtà impedisce non solo l'utilizzo di giochi piratati, ma anche di tutto il restante software non autorizzato da Nintendo, sia esso un videogame sia esso software multimediale, anche se detto software è stato regolarmente acquistato dall'acquirente della console Nintendo.
    La società PC Box vende un applicativo che elude il sistema di protezione Nintendo consentendo di far girare sulle console anche software non di produzione Nintendo. Ovviamente Nintendo non ha apprezzato il fatto è ha portato in giudizio PC Box, affermando che commercializza software che elude le misure tecnologiche di protezione poste a tutela del proprio copyright, e quindi dei propri giochi, permettendo l'uso di copie piratate dei giochi Nintendo . Si tratta sostanzialmente di "cracking", che PC Box non ha nemmeno negato.
    PC Box, però, si è difesa sostenendo che il suo scopo non è violare il copyright di Nintendo, quanto piuttosto di consentire l'utilizzo di software acquistato lecitamente da terzi, software che normalmente non potrebbe essere utilizzato sulle console Nintendo. PC Box ha sostenuto che lo scopo delle misure di protezione Nintendo è di impedire l'uso di software non Nintendo, anche se acquistato legalmente.

  • La nuova responsabilità degli intermediari in Europa

    Nell'ottica del Digital Single Market si nota un avvicinamento tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e le riforme in materia di copyright proposte dalla Commissione europea, in particolare sulla modifica della responsabilità degli internet service provider. 

  • La Corte Europea impone limiti al web blocking

    web-blockingIl 27 marzo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha pronunciato la sentenza relativa al caso Telekabel (C-314/12), avente ad oggetto la richiesta di blocco da parte di Constantin Film e Wega Filmproduktionsgesellschaft nei confronti dell'intermediario della comunicazione Telekabel per i contenuti presenti sul sito Kino.to. Analizzando le conclusioni dell'avvocato generale della Corte abbiamo già riferito del perché la decisione fosse molto importante, anche in vista della prossima entrata in vigore del regolamento Agcom in materia di tutela del diritto d'autore online.

    Come c'era da aspettarsi, la decisione è stata immediatamente presentata come un via libera al blocco dei siti, e sicuramente verrà percepita dall'industria del copyright come una sorta di vittoria in tale prospettiva. In realtà sotto questo aspetto non c'è una reale novità in quanto è pacifico che sulla base dell'attuale normativa europea un paese membro può consentire (non è un obbligo) ai titolari dei diritti di ottenere provvedimenti inibitori nei confronti degli intermediari della comunicazione (come Telekabel in questo caso), che sono una pratica comune in molti paesi europei tra i quali l'Italia. La novità di rilievo è data, invece, dai limiti entro i quali un provvedimento inibitorio può essere emanato che risultano, a seguito di questa decisione, piuttosto stringenti.

  • La Corte di Giustizia europea sul consenso per i cookie

    Con la sentenza nella causa C-673/17 (qui il comunicato stampa) la Corte di Giustizia dell’Unione europea interviene sulle problematiche relative all'implementazione dei cookie nei siti web

  • Corte UE, caso Meltwater: copie cache non soggette a consenso

    corte-giustizia-ueLa sentenza della Corte di Giustizia europea del 5 giugno 2014 (C-360/13) chiude il caso Meltwater, stabilendo che le copie cache dei contenuti visualizzati nel browser non sono soggette ad autorizzazioni o pagamenti. Si tratta di un principio logico, ma non ancora formalizzato dalla giurisprudenza europea. In breve la sentenza stabilisce che la consultazione di una pagina web è libera, non soggetta a pagamenti od autorizzazioni dei titolari dei diritti.

    La controversia nasce nel 2009, tra Newspaper Licensing Agency (NLA), gruppo fondato dagli otto maggiori editori di giornali britannici e che si occupa di fornire licenze collettive per i contenuti dei quotidiani online, e Public Relations Consultant Association (PRCA) che rappresenta i professionisti delle pubbliche relazioni.
    I membri di PRCA utilizzano i servizi di rassegna stampa personalizzata offerti da Meltwater, ottenuti tramite scansione dei contenuti online, in sostanza è un aggregatore di news (come Google News) personalizzato, che però paga una licenza per organizzare i link alle fonti in un database.
    NLA ritiene che Meltwater e i suoi clienti debbano pagare una licenza per fornire e ricevere il servizio di monitoraggio dei media.
    Meltwater ha acconsentito al pagamento per la fornitura del servizio (quindi per visualizzare estratti degli articoli con link alla fonte), ma continua a sostenere che la ricezione online del servizio da parte dei clienti non necessiti di una ulteriore licenza. Quindi NLA ha portato in giudizio PRCA, ottenendo una vittoria sia in primo che in secondo grado.

    La Corte Suprema britannica, però, decidendo sul ricorso di PRCA, ha inviato gli atti alla Corte di Giustizia Europea.

  • Corte Europea: anche per l'embed non occorre consenso

    embed
    Con l'ordinanza nel procedimento C 348/13 del 21 ottobre scorso, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea torna nuovamente sul rapporto tra diritto d'autore e forme di comunicazione al pubblico di contenuti protetti. 

    Con la sentenza C 466/12, caso Svensson contro Retriever Sverige, infatti, la Corte aveva già stabilito che per ricadere nella nozione di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29, la comunicazione deve essere rivolta ad un pubblico nuovo rispetto a quello dell'opera originale. Ciò vuol dire che se un contenuto è liberamente accessibile al pubblico su un sito web, col consenso del titolare, la ripubblicazione tramite link alla pagina fonte non determina una nuova comunicazione al pubblico e quindi non sorge l'obbligo di richiedere il consenso al titolare dei diritti.
    Già in questa decisione la Corte aveva accennato al problema dell'embedding (o framing), cioè quando l'opera viene incorporata nel sito linkante dando l'impressione di essere direttamente a disposizione su quel server, mentre in realtà si trova solo sul sito fonte. Anche in questo caso non occorre l'autorizzazione del titolare non trattandosi di nuova comunicazione al pubblico.