Contro il processo breve

tribunaleIl 20 gennaio è stato approvato al Senato il disegno di legge sul cosiddetto processo breve. Adesso dovrà passare alla Camera per la definitiva approvazione.
In sostanza, il disegno di legge prevede per la prima volta in Italia (e anche in Europa) un tempo massimo per la celebrazione dei processi penali. Secondo la legge, per i reati la cui pena è inferiore ai 10 anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria, il processo di primo grado è estinto se dura oltre 3 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. Il processo d’appello deve durare 2 anni e quello in Cassazione 1 anno e mezzo. Per i reati la cui pena è pari o superiore nel massimo a 10 anni di reclusione, i processi si estinguono dopo 4 anni se sono in primo grado, 2 anni e 1 anno e mezzo se sono rispettivamente in Appello o in Cassazione.
Per processi di mafia o terrorismo, invece, i termini diventano rispettivamente di 5 anni, 3 anni
e 2 anni e il giudice può, con ordinanza prorogare tali termini fino a un terzo ove rilevi una
particolare complessità del processo o vi sia un numero elevato di imputati.
Inoltre “Il pm deve assumere le proprie determinazioni in ordine all’azione penale entro e non oltre tre mesi dal termine delle indagini preliminari”, cioè deve chiedere il rinvio a giudizio entro 3 mesi dalla scadenza delle indagini, altrimenti al 91° giorno parte comunque il conteggio dei 3 anni concessi per il primo grado.

La normativa prevede, infine, che il corso dei termini è sospeso in caso di autorizzazione a procedere, se c'é impedimento dell’imputato o del difensore o per conseguire la presenza dell’imputato che deve essere estradato. Dal giorno in cui cessa la causa di sospensione i termini tornano a decorrere. Se si estingue il processo la parte civile trasferisce l’azione in sede civile e la sua azione dovrà avere priorità. L’imputato, ovviamente, può anche non avvalersi del cosiddetto processo breve.

La legge prevede anche un regime transitorio. Generalmente una legge non può che essere applicata per il futuro, in questo caso si è previsto l’applicabilità della normativa anche ai processi pendenti, purché commessi fino al 2 maggio 2006, con pene nel massimo inferiori ai 10 anni, se non c’è stata la sentenza di primo grado dopo due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio.   Il disegno di legge si applica anche alle società, le persone giuridiche che in base alla legge 231 del 2001 sono perseguibili penalmente.

Il disegno di legge prevede dei limiti di tempo anche per i procedimenti dinanzi alla Corte dei Conti. I processi si estingueranno se la sentenza di primo grado è stata emessa dopo più di 3 anni dal deposito dell'atto di citazione in giudizio, due anni se il danno non supera i 300mila euro. La norma si applica anche in questo caso ai processi contabili in corso, ma solo se sono trascorsi almeno cinque anni dall'atto di citazione in giudizio. I processi contabili in appello, anche quelli in corso, decadranno se trascorrono più di due anni dalla notifica della sentenza di primo grado.

Il cosiddetto “processo breve”, secondo il governo, sarebbe imposto dall’art. 111 della Costituzione secondo il quale la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo che non deve attardarsi “più del dovuto nell’affermazione della verità giudiziale”.
La ragionevole durata del processo, però, dovrebbe essere raggiunta eliminando le difficoltà che attanagliano l’amministrazione della giustizia, rimpinguando l’organico dei magistrati, che è carente, per non parlare di quello delle forze dell’ordine. Si rende necessario, inoltre, aumentare l’organico del personale di cancelleria, realizzare una riforma adeguata del processo penale, rimuovendo i troppi intoppi burocratici che impediscono l’avanzare del processo, e depenalizzare i reati minori.
Invece si è scelto di fissare un tetto massimo alla durata del processo, compreso i processi già avviati, che non porterà alcuna velocizzazione del processo, bensì l’estinzione dello stesso, con vanificazione della funzione cui il processo è destinato. Ovviamente ciò comporterà la distruzione di tutto il lavoro svolto, energie e risorse, anche economiche, che andranno sprecate.
Considerando che, secondo quanto ha sostenuto il ministro della Giustizia, in media i processi in Italia durano circa 7 anni e mezzo, possiamo dire che tale disegno di legge non inciderà su tutti i processi di facile accertamento, come i furti, le rapine, reati per droga, mentre invece riguarderà tutti i reati più difficili da accertare, che richiedono, quindi, una attività dibattimentale particolarmente complessa e lunga, come le rogatorie, ad esempio. Questi ultimi non si faranno mai, ed è facile verificare che si tratta di processi per corruzione, concussione, peculato, falsa testimonianza, falso in bilancio, frode fiscale, insomma i reati dei colletti bianchi, che già di per sé hanno subito, negli anni scorsi, riduzioni di pene. Si pensi che il falso in bilancio di una società quotata in borsa è punito al massimo con 4 anni, mentre l’utilizzo di un contrassegno contraffatto per il parcheggio con 5 anni.
In sintesi sono i processi più gravi per l’economia italiana, quelli che arrecano gravi danni, economici e non, alle parti offese, i reati commessi da imputati che occupano cariche pubbliche rilevanti, quelli che saranno difficilmente portati a termine.

Si può anche fare qualche esempio di processi già in corso che probabilmente si estingueranno: come il processo per il crac Parmalat, relativamente ad alcuni reati con pene inferiori ai dieci anni, come la bancarotta preferenziale; il processo Cirio, dove invece si estinguono tutte le accuse; a rischio è il processo Antonveneta, poiché l’aggiotaggio contestato all’ex governatore della banca d’Italia al 2005 era punito con meno di 10 anni; a rischio il processo per la strage di Viareggio; il processo per le consulenze d’oro della giunta Moratti; il processo per i derivati venduti al Comune di Milano; il processo per i fatti della clinica Santa Rita; il processo al presidente del consiglio regionale della Campania, Sandra Lonardo; i processi di Calciopoli in corso a Napoli; le inchieste sui rifiuti in Campania, e anche il processo per le intercettazioni illegali realizzate dalla security Telecom. Infatti, come detto sopra, il disegno di legge si applica anche nei confronti delle società, un vantaggio per Telecom e anche Impregilo, coinvolta quest’ultima nel processo per lo smaltimenti illecito dei rifiuti in Campania.

La Corte costituzionale ha sancito che ogni intervento legislativo deve tener conto del corretto bilanciamento tra tutti gli interessi costituzionalmente garantiti, e questo vale soprattutto nel processo penale, dato gli interessi in gioco che toccano le libertà personali. Il sacrosanto principio della ragionevole durata del processo deve essere contemperato con quello dell’accertamento della verità (e quindi della certezza della pena) e della tutela delle parti offese, perché non esiste solo l’imputato nel processo penale, ma anche i danneggiati dal reato, cosa che spesso si dimentica. Praticamente in ogni processo penale esiste una parte lesa, laddove spesso è proprio lo Stato la prima parte lesa, che quindi dovrebbe, a condanna avvenuta, recuperare il danno subito. La legge in questione sembra considerare solo la posizione dell’imputato, e si occupa esclusivamente del rispetto della rapidità formale senza curarsi di accertare la verità dei fatti. Considerare il processo penale come sede di un accertamento puramente formale della verità, senza tener presente l’aspetto di giustizia sostanziale e il rispetto dovuto alla parte lesa, anch’essa cittadino italiano con pari diritti dell’imputato, potrebbe rendere il disegno di legge in questione incostituzionale.

Inoltre, la ragionevole durata viene perseguita anche per il giudizio di responsabilità contabile dinanzi alla Corte dei Conti. Decorsi i tempi fissati il processo è estinto, cosa che non si può definire certo un deterrente per i disonesti. Si stabilisce che i processi contabili di primo grado devono durare tre anni, ma spesso questi processi sono sospesi in attesa dell’esito del procedimento penale. Sembrerebbe quindi impossibile concludere un processo contabile nei tre anni, e sarà sempre più difficile per le pubbliche amministrazioni essere risarcite per il danno erariale subito.

La Corte Costituzionale ha chiarito il concetto di ragionevolezza delle leggi proprio nella sentenza n. 262 del 2009 che la dichiarato l’incostituzionalità del lodo Alfano, dove si legge che, se la finalità della sospensione dei processi per le Alte cariche fosse quella di tutelare il diritto di difesa degli imputati, la previsione di una presunzione assoluta di legittimo impedimento derivante dal solo fatto della titolarità della carica, senza la possibilità di verificare se davvero l’impedimento sussista, “sarebbe intrinsecamente irragionevole e sproporzionata”. Questo vuol dire che vi è sempre una esigenza di base di contemperare i diversi interessi delle parti in causa, cosa che non appare nel DDL in questione.

In realtà è pacifico che l’aspirazione di tutti sarebbe quella di avere un processo celere col quale raggiungere dei risultati, ma non a discapito della giustizia sostanziale. Però si dovrebbe prima di tutto stabilire quali sono i motivi reali che impediscono alla macchina giudiziaria di raggiungere questi risultati.
Secondo il rapporto della Commissione europea per l’efficienza della Giustizia (Cepej), rapporto stilato nel 2008 sulla base dei dati forniti da 40 paesi, la lunghezza dei processi italiani non dipende dai magistrati. Dal rapporto in questione si evince che il numero dei magistrati rapportato al numero di abitati è più basso in Italia rispetto ad altri paesi come la Germania o la Francia, e di sicuro rispetto alla media europea. Tale rapporto è invero maggiore rispetto alla Gran Bretagna, ma lì l’azione penale non è obbligatoria, quindi si fanno meno processi. Invece, il nostro paese ha il record per quanto riguarda il numero di processi che raggiungono le aule di tribunale ogni anno. Considerato che il Cepej valuta solo il numero dei processi per reati gravi, verifichiamo che il numero dei processi che deve trattare ogni giudice italiano è per lo meno 2 volte superiore alla Francia, 5 volte superiore alla Germania. Se fossero stati considerati tutti i reati, visto che in Italia ci sono tantissimi reati “minori”, le cifre sarebbero state ovviamente molto più alte. Ed infine, il rapporto ci dice che un giudice italiano definisce ogni anno un numero di processi civili e penali doppio dei giudici francesi, spagnoli e portoghesi, e 5 volte superiore al numero dei processi definiti dai giudici tedeschi.
Il risultato finale è che i giudici italiani sono pochi (l’organico è incompleto da anni), sono oberati di lavoro, ma nonostante ciò producono molte sentenze.
Appare ovvio che il problema della giustizia italiana, quindi, è un problema di strutture, cioè le leggi e le strutture non consentono il rispetto di tempi brevi nello svolgimento dei processi, ed è in quel punto che si dovrebbero concentrare gli sforzi del governo, invece di pensare di risolvere la questione tagliando i tempi.

Oltretutto il problema della giustizia in Italia è percepito, ma secondo ben altra prospettiva, anche a livello europeo. Infatti, il Greco, l’organismo anticorruzione del Consiglio d’Europa, il 2 luglio del 2009 ha pubblicato un rapporto di valutazione in materia di corruzione , rapporto che non è stato reso pubblico per parecchio tempo, finché un noto giornale non se ne è accorto. Con la pubblicazione, infatti, ci si è resi conto del giudizio ben poco lusinghiero nei confronti dell’Italia, dove “la corruzione è un fenomeno generalizzato che tocca la società italiana nel suo insieme”. L’Italia, continua il rapporto, ha conosciuto un numero elevato di casi di corruzione che ha coinvolto personaggi politici di primo piano, alti dirigenti e uomini del business. Il rapporto in questione è interessante per l’argomento che trattiamo proprio perché si sofferma sulla prescrizione: “il gruppo di valutazione è profondamente preoccupato nell’apprendere dai suoi interlocutori che una inquietante proporzione delle inchieste sulla corruzione non arrivi a conclusione a causa della prescrizione”. La conclusione è una raccomandazione formale a rimuovere gli ostacoli che portano alla prescrizione dei reati di corruzione, e integrare la legge 124/2008 (il lodo Alfano) con delle norme per assicurare che la sospensione dei processi delle alte cariche dello Stato non si di ostacolo alle inchieste sulla corruzione. Per il secondo punto ci ha pensato la Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità del lodo, per il primo direi che non ci siamo, adesso invece di prescrivere i reati di corruzione, abbiamo la prescrizione direttamente dei processi!

La giustizia funzionerà  quando i tribunali saranno dotati di uomini e mezzi adeguati, un intervento del tipo proposto, invece, appare solo propagandistico, non agisce affatto sulle cause della lentezza dei processi. E un po’ come se si dicesse, per risolvere il problema delle liste di attesa per le Tac, che se entro sei mesi non viene effettuata la visita al paziente, questo deve intendersi guarito!