Forse si avvia verso una soluzione l'epopea del pagamento dei diritti d'autore da parte dei professionisti per la musica in sala d'aspetto. In Italia fin dal 2005 si è posto il problema con la SCF che ha citato molti professionisti chiedendo loro il pagamento dei diritti d'autore per la musica diffusa in sala d'attesa, con risultati alterni. Alcuni di questi procedimenti sono approdati alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, insieme ad altri procedimenti nati in altri Stati dell'Unione, e si sono avute anche delle pronunce in materia. In merito ad uno di questi procedimenti italiani avevamo dato conto del parere dell'Avvocato Generale della Corte.
Due recenti pronunce della Corte di Giustizia forse pongono finalmente un punto fermo, anche se probabilmente non tutti i dubbi sono chiariti. Ci riferiamo alle sentenze della Corte di Giustizia sezione III, entrambe del 15 marzo 2012, causa C-135/10 e C-162/10.
La prima sentenza è relativa proprio alla pronuncia del tribunale di Torino del 2008, nella quale i giudici avevano deciso che il medico non è tenuto al versamento dei compensi in favore del produttore di fonogrammi, poiché la riproduzione musicale in uno studio odontoiatrico non è effettuata a scopo di lucro, visto che il professionista ascolta la musica mentre lavora soltanto per diletto e il paziente è indifferente al fatto che nello studio venga trasmessa della musica, né è indotto a scegliere un dentista piuttosto che un altro in base al fatto che nello studio si ascolti della musica. Secondo il tribunale, infatti, il presupposto per il versamento del compenso è quello della riproduzione musicale in un luogo pubblico o aperto al pubblico, laddove lo studio di un dentista è un luogo privato dove non accede un pubblico indifferenziato.
È da tenere presente che la sentenza del tribunale si rifaceva ampiamente ad una precedente pronuncia proprio della Corte di Giustizia europea, causa C-306/05, che riteneva atto di comunicazione al pubblico la diffusione di musica nei locali di un albergo, ed anche nella stanze private, in quanto abitualmente i clienti di un albergo si succedono rapidamente e quindi si possono qualificare come pubblico.
La Società Consortile Fonografici (SCF) aveva appellato la sentenza, e la Corte d'appello ha girato la questione alla Corte Europea. La sentenza del 15 marzo 2012, C-135/10, chiarisce che la nozione di comunicazione al pubblico di cui alla direttiva 92/100 deve essere interpretata nel senso che non include la diffusione di fonogrammi effettuata in modo gratuito in uno studio odontoiatrico privato, a beneficio della clientela, che è comunque esigua, clientela che usufruisce del servizio di diffusione indipendentemente della propria volontà. Quindi l'assenza di un fine di lucro e l'impossibilità di qualificare i clienti come pubblico comporta l'esclusione dell'obbligo di versare l'equo compenso ai produttori fonografici.
La seconda sentenza, C-162/10, prende il via da un rinvio pregiudiziale dell'Alta Corte irlandese in relazione ad un procedimento che riguarda l'equo compenso per la diffusione di musica coperta dal diritto d'autore, ma stavolta in un albergo.
In questo caso la Corte di Giustizia ha sancito che i clienti di un albergo costituiscono pubblico in quanto in numero indeterminato, e sono destinatari potenziali della comunicazione. In particolare sono soggetti ricettivi della comunicazione in quanto la diffusione di musica può incidere quale servizio supplementare rispetto a quello dell'albergo sugli introiti del gestore, per cui l'attività ha carattere lucrativo. In conclusione la diffusione di musica in questo caso è soggetta al versamento dell'equo compenso.
Queste in sintesi i pronunciamenti della Corte. Al di là delle apparenze le conclusioni sembrano coerenti e tali da poter formulare un quadro definito relativamente alla comunicazione al pubblico dei fonogrammi ai sensi della direttiva 92/100/CE, abrogata dalla direttiva 2006/115/CE, a sua volta modificata dalla direttiva 2011/77/UE.
Gli elementi valutati dai giudici sono sostanzialmente due. Innanzitutto la Corte si sofferma sul concetto di "pubblico", rilevando che i pazienti di uno studio dentistico, e quindi in genere di uno studio professionale, sono in numero esiguo e determinato, e destinati ad avvicendarsi velocemente, cioè un gruppo di individui specifici. Perché la comunicazione al pubblico determini l'obbligo del versamento dei diritti, dovrebbe invece essere diretta ad una pluralità di individui indeterminata e consistente. Nell'albergo, invece, si è in presenza di un consistente gruppo di persone indeterminate, quindi non appartenenti ad uno specifico gruppo privato, gruppo non intercettato casualmente dalla diffusione di musica tramite gli apparecchi posti a disposizione dal gestore.
Altro elemento di rilievo è il carattere "lucrativo" della comunicazione. È evidente, infatti, che se nel caso dello studio professionale la diffusione di musica non ha alcuna incidenza sui guadagni del professionista, in quanto i clienti si recano da lui non certo per la musica in sala d'aspetto, nel caso dell'albergo la diffusione di musica incide senz'altro come servizio supplementare sulle caratteristiche dell'albergo (la categoria) e quindi sugli introiti del medesimo (costo delle camere), così attirando più clientela.
Queste pronunce fissano una soluzione opposta a quella raggiunta dall'Avvocato generale della Corte, il quale poneva rilievo sul carattere di pubblico più ampio, rispetto al singolo privato che ascolta la radio, presente nello studio dentistico, dando minore importanza al concetto di lucro, ritenuto rilevante solo per eventualmente diminuire gli importi da corrispondere come equo compenso in caso di assenza di fine di lucro.