Infuria la polemica sulla delibera AgCom che avrà il compito di disciplinare il diritto d’autore in rete, accendendo anche la discussione fuori dal web, dove finalmente stampa e politici cominciano ad interessarsi seriamente al problema.
Purtroppo, a leggere articoli e commenti in tema, l’impressione è che non vi sia una adeguata comprensione della questione sottesa alla delibera.
Cominciamo da una premessa, questa normativa che sta predisponendo l’AgCom non è una novità in Europa e nei paesi occidentali, visto che già negli Usa è presente qualcosa di simile, esiste in Francia (Hadopi), è stata introdotta in Australia, ed è in corso di approvazione anche in Gran Bretagna (Digital Economy Act).
Vi è, però, una differenza sostanziale tra la nostra normativa e quelle degli altri paesi data dal fatto che altrove la discussione in merito si è posta nelle sedi opportune, cioè l’equivalente del nostro Parlamento, unico luogo deputato e legittimato, in una democrazia, a discutere di leggi che incidono pesantemente sui diritti del cittadino, in particolare il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero.
Nel nostro caso, invece, si è di fatto delegata una autorità amministrativa, quindi priva di legittimazione popolare, a redigere queste regole. La differenza sostanziale sta nel fatto che un Parlamento, anche se controllato pesantemente dai partiti, non può permettersi di ignorare le critiche dell’opinione pubblica, come abbiamo potuto verificare noi italiani lo scorso anno nell’occasione della proposta di legge sulla riforma delle intercettazioni, di contro, invece, l’autorità amministrativa ben può non prendere in considerazione le argomentazioni dell’opinione pubblica e degli esperti della materia, in quanto non risponde a loro. Il problema, quindi, è innanzitutto di metodo, e solo successivamente di contenuti della delibera.
Molti rispondono a questa argomentazione con un’alzata di spalle, lasciando ad intendere che il problema reale sarebbe, invece, solo il contenuto della delibera e quanto essa incide concretamente sui cittadini. Su questo piano si sono svolti numerosi ragionamenti.
Si è sostenuto, ad esempio, che in fin dei conti regolamentazioni di questo tipo non funzionano in rete, e che alla fine un modo per scavalcarle si trova sempre, con un invito finale a diventare tutti hacker.
È evidente che non è un argomento valido perché se esiste un problema di diritti non lo si può accantonare solo perché la repressione non funzionerebbe in concreto. Inoltre, come ci ricorda la nostra Costituzione, il compito della Repubblica è di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, non certo di porne di nuovi.
Per quanto riguarda l’argomento che sarebbe sufficiente spostare il proprio blog su server esteri, la risposta può essere dello stesso tenore della precedente. Inoltre si dimentica che la delibera prevede espressamente la possibilità di bloccare l’accesso ad interi siti presenti su server esteri, in caso di violazioni. Per cui un italiano comunque si troverebbe espulso dalla comunità internettiana dell’Italia.
Ma il problema riguarda più che i siti di proprietà, i social network, che oggi sono i principali strumenti di condivisione di contenuti ed opinioni. Qui entra in gioco la questione che affrontiamo più avanti.
Altro argomento speso in questa materia riguarda la concreta possibilità che l’AgCom possa essere travolta da un nugolo di segnalazioni di presunte violazioni. Secondo alcuni basterebbero qualche decina di migliaia di segnalazioni per far capire all’AgCom e a chi ha voluto questo sistema che il tutto non può concretamente funzionare.
In realtà questo argomento difetta in vari punti. A prescindere dal fatto che la segnalazione deve venire dal soggetto titolare (o presunto tale) del diritto d’autore, e non da chiunque, non è affatto detto che l’AgCom, che poi è solo lo strumento per realizzare questa regolamentazione, abbia concreto interesse a controllare tutte le segnalazioni, a loro basterà, probabilmente, verificare quelle provenienti da soggetti che abbiano un certo peso nella società. Di contro è piuttosto probabile, proprio a causa dell’impossibilità di controllarle tutte, che le verifiche non si facciano e che l’AgCom finisca, oltre ad interessarsi solo dei casi principali, per chiedere le rimozioni senza alcun controllo effettivo sull’esistenza di una violazione, così eliminando un contenuto di fatto sulla sola base di una valutazione di parte del presunto leso.
Se ci basiamo su ciò che è accaduto all’estero, potremmo dire che l’industria punta proprio ad avere migliaia di segnalazioni al giorno. In Francia per Hadopi si sono lamentati che le segnalazioni erano troppo poche, e si puntava a 150mila segnalazioni quotidiane!
L’errore sta nell’aver verificato che in passato le segnalazioni dell’industria discografica (avvenute sulla base delle regole contrattuali dei siti) talvolta sono assolutamente prive di qualsiasi fondamento, per cui alcuni commentatori ritengono che potrebbe avvenire lo stesso per i privati cittadini, ma si sa che in certi paesi il privato “grande azienda” conta sempre di più del privato cittadino.
E qui torniamo al punto centrale del problema, cioè la riduzione ai minimi termini, se non addirittura l’eliminazione, di una valutazione del presunto illecito in contraddittorio tra le parti.
Se andiamo ad analizzare la procedura proposta dall’AgCom possiamo notare che il contraddittorio è spesso eventuale e comunque eccessivamente compresso.
Infatti, la prima fase prevede la segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al fornitore del servizio, che sono soggetti diversi da chi immette il contenuto presunto illecito. “Il gestore del sito, se la richiesta appare fondata, deve rimuovere il contenuto entro il termine di 48 ore dalla ricezione della richiesta, eventualmente contattando il soggetto che ha caricato il video, il quale può a sua volta effettuare una contro notifica”.
Quindi nella prima fase il contraddittorio con colui il quale ha immesso il contenuto che si presuppone illecito, è solo eventuale. Considerati i termini temporali strettissimi che il gestore del sito ha per contattarlo, è abbastanza evidente che in questa fase il contraddittorio con l’unico soggetto che può far valere i suoi diritti, molto probabilmente non si realizzerà mai.
Solo se il gestore del sito non rimuove il contenuto si avvia una seconda fase nella quale l’AgCom “effettua una breve verifica in contraddittorio con le parti (titolare del diritto, gestore del sito, soggetto che ha effettuato la contro notifica) da concludere entro cinque giorni, comunicando l’avvio del procedimento al gestore del sito (o, nel caso non fosse possibile individuarlo, al fornitore del relativo servizio di hosting), all’operatore di telecomunicazione o a quello televisivo, alla cui sfera risulti oggettivamente ascrivibile la violazione della normativa rilevante”.
In questa fase possiamo notare che se non c’è alcun soggetto che ha effettuato una contro notifica (cioè se colui che ha immesso il contenuto non si è opposto, ma in quel caso vuol dire che il contenuto è già stato rimosso), non è nemmeno previsto un contraddittorio con chi immette il contenuto, ma solo con il gestore del sito o, in alternativa, il fornitore di hosting. E comunque il tutto deve avvenire nel breve termine di 5 giorni. Ritenuto che l’AgCom sarà probabilmente subissata di segnalazioni da parte dei titolari dei diritti appare piuttosto evidente che l’unico soggetto che ha interesse ad una verifica seria o non sarà mai ascoltato, o comunque il contraddittorio con tale soggetto sarà breve e quindi decisamente poco approfondito.
Il contraddittorio con l’utente è invece fondamentale, perché un editore che si lamenta della pubblicazione di una sua opera, riconoscendola in base a stringhe di testo oppure a spezzoni video, potrebbe anche non sapere dell’esistenza di una edizione che l’autore ha licenziato prima di chiudere il contratto con l’editore, oppure di licenze separate per la pubblicazione online.
E queste cose le può sapere solo l’utente, non certo il gestore del sito o il fornitore di hosting, per cui non si comprende che senso ha un contraddittorio con questi ultimi due soggetti, i quali al massimo hanno l’interesse a subire meno seccature possibili, e non inimicarsi i produttori di contenuti.
Sembra abbastanza ovvio che lo pseudo contraddittorio ordito dall’AgCom non è altro che un modo per sviare l’attenzione. Il problema non è solo che il titolare del diritto dovrà dimostrare di avere effettivamente i diritti sull’opera, ma di verificare se esistono altri diritti concorrenti.
Queste osservazioni sono l’ovvia conclusione della lettura della delibera AgCom e delle dichiarazioni di membri dell’Autorità. Infatti, di recente il commissario Agcom relatore della delibera, in una intervista ha sostenuto: “non stiamo pensando ad un provvedimento contro gli utenti sul modello francese; destinatari dei nostri ordini di rimozione saranno gli intermediari della comunicazione”.
Quindi chiarisce egli stesso che il contraddittorio non esiste, se non con i soli soggetti che nulla sanno del contenuto presunto illecito, e che nulla potranno mai dire. Da questa procedura amministrativa che, lo ripetiamo ancora una volta, finisce per incidere sul diritto alla libera manifestazione del pensiero, viene pretermesso proprio l’unico soggetto che può subirne dei danni!
È palese, quindi, che per garantire un’adeguata tutela dei diritti del cittadino, utente che immette un contenuto casomai su un social network, l’unica possibilità concreta è rivolgersi al giudice. Una verifica puntuale sulla titolarità dei diritti di un’opera, oggi necessita di giorni o settimane ad un giudice, data la complessità degli accordi in materia che devono essere necessariamente plurimi, visto lo spezzettamento dei vari mercati (pensiamo al calcio), operazione utilizzata dai produttori per massimizzare i loro profitti. Ed è per questo che all’estero normative simili non prescindono mai dall’intervento di un giudice, mentre in Italia tale intervento è solo eventuale e residuale.
È vero che in teoria un privato cittadino che si vede rimuovere un contenuto può rivolgersi ad un giudice, ma a quel punto il contenuto è già stato rimosso. Che lo possa fare prima della rimozione è piuttosto difficile, probabilmente per i tempi stretti, forse semplicemente perché non viene a conoscenza nemmeno dell’esistenza di una segnalazione verso il suo contenuto, rivolta al gestore del sito.
E non dimentichiamo che, nel caso in cui il contenuto sia già stato rimosso, il cittadino si dovrebbe fare carico di iniziare una procedura giudiziaria costosa e lunga per vedersi riconosciuto un suo diritto ad anni di distanza.
È anche giusto che i produttori facciano presente che non è possibile attendere le lungaggini della giustizia italiana per vedersi tutelati i propri diritti, ma ricordiamo che esistono anche procedure giudiziarie più celeri, che consentono l’oscuramento di un contenuto in pochi giorni, in via cautelare. Poi di seguito si avvia la procedura ordinaria per stabilire, in un contraddittorio effettivo e completo, chi ha ragione e chi torto.
Quello che si vuole realizzare con la delibera AgCom è una tutela privilegiata per il soggetto più forte, una prima fase nella quale il cittadino è sostanzialmente assente o poco tutelato, addossando quindi solo su di lui il costo di una eventuale procedura giudiziaria successiva, invece che porlo a carico del produttore. È evidente che la stragrande maggioranza dei cittadini non procederà mai a cercare una tutela per ragioni di costi o di tempo.
Insomma, prima si condanna e poi, ma solo se il cittadino protesta con forza, si verifica se casomai è innocente!
Ed è la stessa ONU che ha dichiarato potenzialmente pericoloso per le libertà individuali espresse dalla Convenzione dei diritti dell’uomo il cosiddetto notice and take down. Le Nazioni Unite vedono con sospetto sia la normativa francese (Hadopi), sia quella americana (Digital Millennium Copyright Act), sia quella britannica (Digital Economy Act): “Tuttavia, mentre un sistema di notice and take down è un modo per impedire agli intermediari di impegnarsi attivamente nelle o incoraggiare comportamenti illeciti dei loro servizi, il sistema è soggetto ad abusi da parte sia dello Stato e soggetti privati. Gli utenti che vengono avvertiti dal fornitore del servizio che il loro contenuto è stato segnalato come illegale spesso ricorrono poco o hanno poche risorse per contestare la rimozione. Inoltre, dato che gli intermediari possono essere considerati responsabili o in alcuni casi essere oggetto di responsabilità penale se non rimuovono il contenuto al momento del ricevimento della notifica da parte degli utenti per quanto riguarda i contenuti illegali, sono inclini a censurare comunque i contenuti potenzialmente illegali”.
Quindi è la stessa ONU che ci ricorda come tale sistema possa dare adito ad abusi, e generalmente gli abusi vengono dalla parte più forte, che di sicuro non è il singolo cittadino, il quale avrebbe, lo dice l’ONU, poche risorse per contestare la rimozione.
E, per tornare all’argomento del contraddittorio che si realizzerebbe solo con il gestore o il fornitore di hosting, cioè gli intermediari, l’ONU evidenzia come essi siano inclini a censurare più che ad opporsi alle segnalazioni.
Giustamente molti commentatori hanno fatto presente che l’intermediario non ha alcun obbligo di rimuovere il contenuto segnalato se non lo ritiene illecito. Il problema, come chiarito sopra, è che l’intermediario non può sapere se il contenuto è illecito, né si può pretendere che allestisca un ufficio legale per una valutazione eminentemente giuridica. In tal caso, infatti, i costi sarebbero enormi, per rispondere alle richieste dell’AgCom, per valutare i contenuti, per rispondere di eventuali violazioni in concorso se non li rimuovono subito. Non converrebbe più avviare una attività economica di questo tipo in Italia, anche in considerazione che molti utenti trasferirebbero i loro siti su provider esteri.
Insomma, dopo la fuga dei cervelli, avremo anche la fuga dei siti dall’Italia.
Allora è evidente che il problema non è cosa è obbligato a fare l’intermediario, piuttosto cosa presumibilmente farà per minimizzare i suoi possibili danni (e costi), e cioè si appiattirà sulle segnalazioni decidendo di rimuovere ben più di quello che effettivamente andrebbe rimosso.
E anche qui non parliamo per mere supposizioni, in quanto esempi di ciò ne abbiamo visti tantissimi in passato.
Premettendo che una regolamentazione simile a quella dell’AgCom è attualmente applicata su base volontaristica e contrattuale da molti siti social, proprio per evitare conseguenze in sede penale e civile, possiamo ricordare il caso dei 5 video ospitati da Vimeo, rimossi a seguito di richiesta della GVU (società che rappresenta in Germania i detentori del copyright), nonostante i due autori dei video fossero i legittimi detentori dei diritti.
Oppure il caso di Paolo Attivissimo che si vede cancellare alcuni video che per lo più riprendevano il cielo, quindi nonostante non abbia violato alcun copyright.
Ed anche Lawrence Lessig, che di fair use americano sicuramente ne capisce, è incappato nello stesso problema, a seguito di segnalazione da parte della Warner.
Oppure il recente caso dell’Unione Nazionale Consumatori che si è vista chiudere l’intero canale YouTube a seguito di richiesta di RTI Mediaset, perché 2 video erano estratti da trasmissioni televisive (contenevano stralci della trasmissione con interviste al segretario dell’UNP su temi di pubblica utilità). Specialmente approfondendo quest'ultimo caso si può comprendere la complessità del problema, che esige necessariamente l’intervento di un giudice per dirimere la controversia.
Questi sono alcuni dei casi che ci rappresentano come potrebbe essere la rete internet italiana dopo l’approvazione della delibera AgCom. E, soprattutto, si comprende che è decisamente semplicistico sostenere che chi non viola il diritto d’autore non corre alcun rischio. Esistono numerose eccezioni al diritto d’autore, che consentono la libera utilizzazione delle opere protette, purché ciò accada entro determinati limiti, ma l’introduzione della regolamentazione AgCom potrebbe di fatto limitare pesantemente tali libere utilizzazioni che, come è ovvio, non hanno mai incontrato il favore dei detentori dei diritti.
Purtroppo l’informazione, il diritto di critica, il diritto di cronaca, il diritto di insegnamento, il diritto di ricerca scientifica, la libertà di esprimere il proprio pensiero, si basano principalmente su queste eccezioni, e se parliamo di argomenti di cronaca, si deve comunque in qualche modo attingere ad informazioni che sono passate sui giornali, sui canali televisivi, e quindi si ha quasi sempre, in tali casi, l’utilizzo di opere protette senza il consenso dei titolari, utilizzo però consentito dalla legge per fini sociali ritenuti superiori rispetto alle esigenze puramente economiche dei titolari dei diritti. La valenza di queste eccezioni è tale da essere inserite in pressoché tutti gli ordinamenti giuridici, ed è riconosciuta dai trattati internazionali, nonché dall’art. 9 della nostra Costituzione dove si prevede che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, nonché dall’art. 33, “l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”, e dall’art. 21, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Il problema è, adesso appare ovvio, molto più complesso di una questione di non violare i diritti altrui, è un problema di tutelare il diritto dei cittadini, come collettività, di prendere parte alla comunità sociale, di esercitare la sua sovranità, casomai criticando l’operato dei politici, ed anche di godere della cultura, delle arti, delle scienze e del progresso scientifico, il problema è di fare della conoscenza non un privilegio, con i ricchi che sanno tutto e determinano cosa possono sapere gli altri, quanto piuttosto un diritto.
E cancellare un video nel quale si parla di problemi di interesse pubblico, solo perché quel video è parte di una trasmissione televisiva, non sembra andare nella medesima direzione.
In conclusione, quindi, parliamo di un provvedimento che può rivelarsi pesantemente limitativo per la collettività, che probabilmente nasce da una convergenza di interessi, da una parte un’industria legata al passato che manca di una visione per il futuro e cerca di aggrapparsi a vecchi sistemi di remunerazione, finendo così per bloccare addirittura il progresso tecnologico dell’intero paese. In fondo quello che a loro interessa è eliminare o ridurre la possibilità per la gente comune di distribuire le loro produzioni, così innescando il classico meccanismo di “scarsità” delle risorse che crea monopoli e rende semplice aumentare i prezzi.
E dall’altro un governo il cui interesse è di poter controllare la tecnologia emergente, internet, a fini di censura, in modo da impedire la diffusione delle notizie scomode.
Chi detiene il potere, almeno in Italia, non trae alcun beneficio dallo sviluppo della rete, perché non è controllabile come avviene per la televisione, dove la comunicazione è unidirezionale. Una rete libera e diffusa determina uno scambio di informazioni e una diffusione delle notizie senz’altro più ampia.
Per questo motivo si cerca insistentemente di imbrigliare la rete tramite diverse iniziative, della quale la delibera AgCom è solo una tra le tante. In questa prospettiva è utile notare che i contenuti illeciti sono solo il mezzo per giungere al risultato, basti pensare che identico problema non si pone per i contenuti sugli altri mass media. Insomma si cerca di realizzare una regolamentazione per la rete differente rispetto agli altri media, dimenticando che internet non è altro che uno strumento, come la televisione, i giornali, ecc…
Sotto questo profilo è illuminante una recente sentenza della Corte Suprema americana che boccia i divieti per i minori sui videogiochi proprio in considerazione del fatto che il videogame non è altro che un media, per cui una restrizione normativa imposta solo ad un media e non ad altri non avrebbe alcun senso.