Dopo Megaupload tocca a Hotfile: per un vecchio modello di distribuzione...

MPAA vs HotfileDopo la chiusura di Megaupload, pare che l'industria americana del copyright abbia intenzione di procedere sulla medesima strada, e punta Hotfile come prossimo obiettivo, una società con sede a Panama che svolge funzioni di hosting file.

A fine febbraio, infatti, l'MPAA, rappresentante di numerose aziende americane che operano nel settore dell'intrattenimento, ha citato in giudizio Hotfile per favoreggiamento nella violazione del copyright e per aver tratto profitto da tale attività. Questa azione in realtà non è nuova, visto che già in passato Hotfile si era vista portare in giudizio con tali accuse, ma Hotfile si è sempre distinta, un po' come Megaupload, per la sua strenua difesa, sostenendo di essere coperta nella sua attività dal safe harbor garantito dal DMCA (Section 512), spingendosi fino al punto di agire in giudizio contro la stessa Warner Bros, membro della MPAA, per aver abusato degli strumenti messi a disposizione da Hotfile.

In breve, come previsto dal DMCA Hotfile ha messo a disposizione degli strumenti affinché i titolari dei diritti potessero eliminare direttamente dai server contenuti protetti dal copyright, pare però che Warner Bros avesse l'abitudine di cancellare contenuti dei quali non detenesse i diritti oppure addirittura opere di pubblico dominio. La Warner in giudizio ha dovuto ammettere l'abuso, giustificandosi sostenendo che fosse colpa di un bug dello script che utilizzavano per ripulire i server di Hotfile.

E qui il parallelismo con Megaupload si fa più stringente, visto che Megaupload aveva citato in giudizio la Universal, membro della RIAA, per aver eliminato un contenuto (un video su YouTube realizzato da artisti internazionali che elogiavano Megaupload come strumento per promuovere le loro opere) del quale non detenesse i diritti. Sappiamo poi come è finito Megaupload, e che la chiusura del sito ha portato come prima conseguenza la cessazione di quell'azione legale.

Le corrispondenze, poi, si fanno senz'altro più evidenti con la lettura delle accuse a Hotfile, a seguito della quale, pur senza voler entrare nel merito, alcuni dubbi sorgono.

Hotfile viene descritto come un servizio costruito sulla violazione del copyright, specificamente realizzato per tale tipo di attività, al punto che numerosi suoi strumenti la facilitano. Il modello di business, quindi, sarebbe indistinguibile da quello di Megaupload.

Hotfile sarebbe responsabile per il favoreggiamento della violazioni di miliardi di opere protette, per un totale di oltre il 90% dei file scaricati dal servizio (secondo una ricerca dell'Università della Pennsylvania). Caricare file su Hotfile sarebbe fin troppo facile, e gli utenti sono incoraggiati a caricare e promuovere in blog e forum contenuti "popolari" ed "interessanti", e scoraggiati invece dal caricare file che non sono scaricati frequentemente. Molti dei siti sui quali sono citati contenuti presenti in Hotfile sono, secondo l'accusa, dal loro stesso nome chiaramente dediti alla violazione del copyright ("From their names alone, it is clear that a great many of link sites are devoted to copyright infringement"), come: currentmoviesnowplaying, free-albums, copymovie, amazingtv, ecc...

Il servizio, inoltre, non offre un motore di ricerca interno, cosa che, come per Megaupload, è ritenuto un modo per far apparire pulito il sito.

Hotfile, inoltre, non identifica gli utenti che compiono violazioni, e non si adopera per impedire l'accesso a tali utenti, non applica quindi nessuna policy di eliminazione degli utenti a seguito di "strikes". Gli accusatori hanno richiesto espressamente a Hotfile di applicare una policy basata sull'eliminazione dell'utente dopo "three strikes", ma senza successo. Hotfile si è rifiutata di eliminare gli account degli utenti che violavano il copyright, e in alcuni casi ha addirittura aiutato a scaricare materiale protetto.

Infine Hotfile non avrebbe implementato un sistema di filtri per identificare contenuti in violazione del copyright.

Secondo l'accusa, infine, Hotfile non può nemmeno invocare il safe harbor del DMCA, poiché la protezione del DMCA è prevista solo per i service provider innocenti ("innocent"), cioè quelli che non hanno consapevolezza delle violazioni e i cui sistemi prevengono le violazioni, cosa che invece, sempre secondo l'accusa, non accade con Hotfile.

In sintesi le accuse non sono molto dissimili da quelle mosse nei confronti di Megaupload, solo che in questo caso c'è una richiesta di giudizio civile, sommario, mentre per il sito di Kim Dotcom l'azione è penale.

Quindi, anche in questo caso c'è da rimarcare che molte delle accuse appaiono essere delle normali strategie d'affari, oppure riguardano circostanze che possono essere lette in duplice prospettiva. Ad esempio, il fatto che Hotfile guadagnasse dagli account premium a pagamento non è certo indice di violazione della legge, come del resto l'assenza di un motore di ricerca interno, anzi la sua presenza in passato è stata vista al contrario come un elemento ulteriore dal quale ricavare la colpevolezza del sito, proprio perché faciliterebbe la ricerca di contenuti.

Per l'assenza di una policy di terminazione degli utenti, addirittura basata su "tre" avvertimenti (strikes), non si comprende da dove sarebbe ricavabile un tale obbligo visto che il DMCA parla di rimozione di contenuti in violazione, non certo di eliminazione degli utenti. Poi il numero di strikes è del tutto destituito di ogni fondamento giuridico, a parte riferimenti estemporanei alla Hadopi francese. Che poi in realtà Hotfile ha una sua policy di eliminazione degli account degli utenti, però basata sul "suo" insindacabile giudizio; forse ad Hollywood non va giù che l'eliminazione degli utenti non possa essere decisa direttamente dalle aziende (come invece possono fare per i singoli contenuti grazie agli strumenti messi a disposizione da Hotfile).

Per le mail con le quali si aiutavano gli utenti a scaricare contenuto protetto, apparentemente sembra che non fossero altro che delle spiegazioni tecniche relativamente all'uso dei servizi (il supporto!), a parte il fatto che in alcuni casi vi erano, forse, nomi di file, laddove, però, non è che un nome di un file fa del file medesimo qualcosa di illegale, casomai è l'uso del contenuto che determina la violazione.

Per quanto riguarda l'implementazione del sistema di filtraggio atto ad identificare i file in violazione, anche qui c'è da precisare che un sistema del genere è innanzitutto molto costoso, e non si capisce per quale motivo dovrebbe implementarlo l'hosting per proteggere gli interessi economici delle multinazionali. Se risulterà colpevole allora ne pagherà le conseguenze, ma non ha senso che la tutela dei diritti dell'industria del copyright sia posta a carico dei servizi di hosting online (tra l'altro in Europa un tale tipo di filtraggio è in contrasto con le direttive comunitarie). Ma, rimane fondamentale il problema dell'identificazione dei contenuti illeciti, perché come è ovvio nell'ambito del copyright non è mai il file in sé ad essere illecito, ma il suo uso, perché ben potrebbe qualcuno avere dei diritti concorrenti su un contenuto protetto, e quindi essere autorizzato a diffonderlo. E, infine, il DMCA non prevede affatto un sistema di filtraggio.

Quindi, in estrema sintesi anche in questo caso ciò che sarà essenziale, al di là delle tante, troppe parole usate nell'accusa, è solo la prova della consapevolezza dell'uso illecito dei file che potrà portare ad una condanna dei responsabili di Hotfile.

Al di là di come finirà la vicenda in questione, anche se appare sempre più plausibile in che direzione ci stiamo incamminando, quello che ci appare importante è, però, la prospettiva nella quale queste vicende, Megaupload, Hotfile ed altri, vengono inquadrate.

Ad esempio, la richiesta di un sistema di filtraggio dei contenuti è indicativa, come del resto l'indicazione che Hotfile fosse illegale perché incoraggiava la distribuzione di contenuti "popolari" ed "interessanti", e scoraggiava il caricamento di file "poco scaricati". Od ancora il fatto che, secondo l'accusa, l'illiceità dei contenuti dovrebbe essere ricavabile semplicemente dai nomi: i nomi dei siti dove venivano promossi i file, o dei file stessi. In un passo si recita: "il Congresso ha definito tali siti 'pirata' in quanto ovviamente in violazione perché usano tipicamente parole come 'pirate', 'bootleg', o termini gergali".

Del resto gli enti di rappresentanza americani non sono nuovi a "semplificazioni" di tal fatta, come quando la RIAA accusava Google di non fare a sufficienza contro la pirateria, e si lamentava del fatto che, ad esempio, nel digitare la ricerca "Lady Gaga mp3" viene (provate!) suggerito il termine "free" ("gratis" per l'italiano). Secondo il rapporto della RIAA, infatti, "lady gaga mp3 free" e "lady gaga mp3 download" porterebbe a siti illegali ("lead to illegal sites")!

Insomma, a leggere l'atto di accusa pare proprio che la semplice condivisione di contenuti popolari ed interessanti sia di per sé una prova di attività illecita. Hotfile, quindi, sarebbe illegale perché strutturato per incoraggiare l'uso e la condivisione, come del resto Magaupload, e questo è sufficiente per determinare l'illiceità del servizio.

Non si fa, o comunque non appare, alcuna distinzione tra contenuti, illeciti o leciti, non c'è alcun riferimento a possibili fair use o utilizzazioni libere.

La prova della colpevolezza sarebbe nello studio dell'Università della Pennsylvania, che stabilisce la percentuale di file illegali nel sito, ma questo non prova nulla se non che una parte degli utenti usa illecitamente il servizio. Non è prova della consapevolezza dei titolari, altrimenti dovremmo chiudere tutti i servizi che sono utilizzati anche per commettere illeciti: gran parte delle pistole sono utilizzare per uccidere, chiudiamo le aziende produttrici di armi; alcuni servizi finanziari sono usati per portare soldi frutto di evasione all'estero, chiudiamoli, e così via. E in tutti questi casi c'è il profitto tratto dall'attività illecita!

In conclusione appare sempre più ovvio che l'industria del copyright non vuole affatto difendere i propri diritti, tutelare gli interessi degli autori, e colpire gli illeciti, quello che vuole è che in rete non si diffondano contenuti "popolari ed interessanti", in maniera facile, perché ciò è in contrasto con i propri specifici interessi economici che constano nel realizzare una scarsità indotta, e quindi consentire loro di guadagnare di più. L'industria del copyright, insomma, non vuole altro che si impedisca a tutti, eccetto loro stessi, di diffondere contenuti, che sia reso impossibile che gli artisti saltino gli editori intermediari, appunto l'industria del copyright, e quindi sia reso impossibile che gli artisti, quelli che dovrebbero difendere, distribuiscano contenuti direttamente al pubblico, come aveva annunciato di voler fare Kim Dotcom con Megabox, il suo nuovo sito in preparazione. Poi, si sa, c'è stato l'arresto...