La Corte di Giustizia UE con la sentenza dell’8 settembre 2010 interviene nuovamente sulla possibilità da parte degli Stati di limitare l’attività degli operatori di altri paesi membri nell’ambito delle scommesse sportive e di accentrare tutto nelle mani dello Stato. Secondo la Corte lo Stato membro deve comunque adottare una politica coerente in materia di giochi d’azzardo, per cui se da un lato impone restrizioni e limitazioni, vietando ad aziende che hanno ottenuto l’autorizzazione in altri Stati membri di operare nel proprio Stato, non possono poi porre in essere comportamenti incoerenti con tali restrizioni realizzando provvedimenti o campagne pubblicitarie per lotterie o altri giochi.
La sentenza in questione si occupa delle autorità tedesche che avevano precluso ogni attività in assenza di un’autorizzazione da parte del Land competente. In base alla legislazione nazionale, infatti, il Land ha il monopolio nell’organizzazione delle scommesse. Tale procedimento dinanzi alla Corte europea è stato ritenuto di notevole importanza, al punto che ben 13 governi vi hanno partecipato, incluso l’Italia. In particolare il governo italiano ha un forte interesse alla decisione in merito, poiché vi sono numerosi procedimenti che riguardano l’Italia pendenti dinanzi alla Corte europea, in relazione alla medesima questione. La Corte di Cassazione italiana, infatti, ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se un sistema di scommesse come quello italiano sia compatibile con le norme del trattato sulla libera prestazione di servizi. Il sistema italiano, analogamente a quello tedesco, accentra il potere di autorizzazione in capo allo Stato, non consentendo ad aziende che abbiano avuto comunque autorizzazione in altri Stati membri della comunità europea di gestire scommesse nel territorio italiano in assenza delle autorizzazioni nazionali.
Già in passato la Corte di Giustizia europea è intervenuta in materia con alcune sentenze, si è occupata ad esempio della situazione portoghese riconoscendo l’opportunità di ricorrere al blocco di un sito straniero per motivi di ordine pubblico, ritenendo che le autorizzazioni ottenute in altro paese possano non essere di per sé garanzia sufficiente di protezione dei consumatori nazionali contro i rischi di criminalità, con ciò dando il via libera a restrizioni e creazione di forme di monopoli in materia, ma nel contempo ha chiarito che le autorità nazionali sono tenute a rispettare il principio di proporzionalità e ad adottare misure che si inseriscano in un piano generale dello Stato finalizzato a raggiungere gli obiettivi che giustificano i provvedimenti restrittivi, pertanto se “le autorità di uno Stato membro inducono ed incoraggiano i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di gioco per giustificare provvedimenti come quello oggetto della causa principale”.
Infatti, l’esigenza di prevenire la contrazione del gettito fiscale non rientra tra i motivi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione alle libertà sancite dal trattato UE, per cui in presenza di una situazione di agevolazione e diffusione di giochi, le politiche restrittive dello Stato membro devono comunque ritenersi in violazione del trattato della Comunità europea.
Tale orientamento, ormai costante e ribadito in più sentenze, che a prima vista potrebbe sembrare utile a giustificare anche le limitazioni che sono poste in Italia in relazione ai siti di scommesse online autorizzati in paesi esteri, in realtà mostra come la Corte di Giustizia europea continui a censurare il nostro regime restrittivo in quanto esso è ritenuto dovuto a ragioni esclusivamente fiscali che non possono comprimere il principio della libera prestazione di servizi. L’incoerenza in materia dell’ordinamento italiano è evidente se solo si pone attenzione ad uno degli emendamenti alla legge di stabilità attualmente in discussione alla Camera nel quale si prevedono nuove iniziative per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di “ludopatia” conseguente al gioco compulsivo, ma nel contempo si progettano nuovi giochi che dovrebbero portare soldi freschi alle casse pubbliche, e dai quali si attende un giro d’affari annuo complessivo di oltre 6 miliardi di euro. Secondo gli stessi monopoli di Stato mentre nel 2006 gli introiti del gioco erano di circa 15 miliardi, nel 2009 hanno superato i 54 miliardi con un aumento quasi del 400%. Ma se guardiamo le stime della Guardia di Finanza, che comprendono anche l’abusivismo, le cifre sono senz’altro da raddoppiare. Statisticamente si può dire che ogni italiano, neonati compresi, giochi ogni anno circa 2mila euro. La cifra pro capite è davvero enorme e questo spiega l’infiltrazione della delinquenza organizzata in questo settore, e fenomeni in ampia diffusione come l’usura e la distruzione di famiglie intere.
Appare quindi evidente che lo Stato italiano non ha tanto l’interesse alla tutela dei consumatori da fenomeni distorsivi o di infiltrazione mafiosa nell’ambito dei giochi e delle scommesse online, quanto piuttosto l’esigenza di fare cassa e recuperare introiti fiscali che, se le aziende fossero autorizzate solo all’estero, non otterrebbe.
A questo proposito si può ricordare come mentre in Italia la gestione delle slot machine può essere affidata da una società controllata da un trust off-shore, come capita per una nota azienda che controlla da sola circa il 30% delle slot machine in Italia, e che di recente sta entrando con la stessa quota nel settore delle video lotterie di nuova generazione, negli Usa invece, uno dei paesi dove maggiormente sono diffusi i giochi online, i controlli per entrare nell’industria del gioco sono rigorosissimi. In America se si vuole inaugurare un’attività legata al gioco d’azzardo e guadagnare con i poker online si deve acconsentire all’apertura di un’indagine su se stessi e addirittura pagarla di tasca propria, con controlli suoi conti correnti, sui manager e familiari, che possono essere interrogati, e con l’obbligo di dichiarare quanti soldi si hanno, depositati in ogni parte del mondo. Tutto questo in Italia non avviene. Pertanto risulta palese che l’orientamento della Comunità europea in materia di restrizioni e limitazioni per i giochi online, i quali possono ritenersi giustificati per esigenze di tutela del consumatore e della collettività, non è in alcun modo applicabile all’Italia, e quindi appare probabile che le procedure pendenti dinanzi alla Corte della Comunità europea si concluderanno con un’ulteriore condanna dell’Italia per violazione del trattato UE ed in particolare delle norme sul diritto di stabilimento, sulla libera prestazione di servizi nonché per violazione dei principi di libera concorrenza.