Con la sentenza 5107 del 3 febbraio 2014 la terza sezione penale della Corte di Cassazione mette la parola fine alla vicenda iniziata nel 2006. In primo grado 3 dirigenti di Google Italia erano stati condannati, poi in appello la riforma della sentenza con assoluzione, che adesso viene confermata in Cassazione.
La Cassazione chiarisce che Google Video è un fornitore di hosting, quindi un intermediario della comunicazione che svolge un ruolo meramente tecnico e passivo. In tal senso non ha alcun controllo sui dati memorizzati sui server dai suoi utenti e non contribuisce in alcun modo alla loro scelta, alla loro ricerca o alla formazione del file che li contiene, "essendo tali dati interamente ascrivibili all'utente destinatario del servizio che li carica sulla piattaforma messa a sua disposizione".
Precisa ulteriormente che il titolare del trattamento non è Google, che quindi non ha alcun obbligo di sorveglianza dei dati immessi sul sito dai suoi utenti, ed è tenuto solo a fornire l'informativa all'utente. Il titolare del trattamento, cioè colui al quale competono le decisioni in relazione alle finalità e modalità di trattamento dei dati personali, è il soggetto che provvede materialmente alla raccolta dei dati e li immette in rete. Nel caso specifico è l'utente (uploader) che ha filmato il video e che quindi avrebbe dovuto ottenere dal disabile il consenso al trattamento dei suoi dati personali (sensibili in quanto inerenti la salute).
Infine non sussiste in capo al provider alcun obbligo sanzionato penalmente di informare il soggetto che ha immesso i dati della necessità di fare applicazione della normativa sul trattamento dei dati.
Nel confermare la sentenza di appello, la Suprema Corte fa riferimento ai pareri del Gruppo Articolo 29 e le decisioni della Corte di Giustizia europea.