Quello che manca davvero in Italia è la memoria e il senso del ridicolo. Infatti le voci della politica che si accavallano affannate per suggerire soluzioni alle violenze di piazza non differiscono più di tanto dalle medesime voci che abbiamo visto subito dopo ogni manifestazione di piazza caratterizzata dalla violenza. E, purtroppo, negli ultimi anni ne abbiamo viste molte.
Dalla manifestazione del 15 ottobre sono conseguite: una richiesta di una legge Reale bis, la riproposizione del Daspo per le manifestazioni, l’estensione del fermo preventivo di polizia, la flagranza differita ed infine la fideiussione per le manifestazioni. Una serie di iniziative normative spesso slegate tra loro e con logiche del tutto diverse, in un crescendo di approssimazione ed improvvisazione.
Alcune di queste iniziative vengono direttamente dal ministro degli interni, diretto responsabile dell’ordine pubblico, il quale, tanto per dire, è stato criticato dalle stesse forze dell’ordine per i tagli che hanno azzoppato le capacità di intelligence e di prevenzione dei reati. Detto così sembrerebbe l’ennesimo tentativo di scaricare su altri le proprie colpe, ma non è questo il punto.
Secondo il titolare del Viminale le attuali norme non consentono azioni preventive, sostenendo che oggi non è possibile “procedere a fermi e arresti di chi è solo sospettato di volere partecipare a violenze di piazza”.
Per fortuna il ministro ha rifiutato il ricorso a leggi speciali, ma in considerazione della nuova (?) “entità da combattere: gli anarco-insurrezionalisti”, ritiene che siano necessarie norme specifiche, del tipo di quelle indicate più sopra.
Fermo restando che un dibattito sulle manifestazioni che sfociano nella violenza è sempre buona cosa che avvenga, forse però sarebbe il caso di partire da premesse condivise e non fuorvianti.
Ad esempio, per tornare alle norme che non consentono i fermi di chi è solo sospettato di voler partecipare a violenze di piazza, forse sarebbe il caso di chiarire che stiamo parlando di persone che non hanno (ancora) commesso nessun reato, per cui un eventuale fermo non è in alcun modo giustificato. Caso diverso riguarda coloro che vengono fermati con armi in prossimità di luogo e di tempo di una manifestazione di piazza, ma se si tratta di armi la legge consente già il fermo e l’arresto. Purché si tratti di armi. Basta fare una ricerca su Google per verificare che gli arresti per detenzioni di armi avvengono. Allora il problema è stabilire se siamo in presenza di armi o meno, ma non occorrono nuove norme. Poi si può discutere sul concetto di arma, ma una estensione eccessiva del concetto può essere decisamente pericolosa, perché si finirebbe per fermare anche chi si sta semplicemente recando a casa dopo aver comprato un set di coltelli da cucina oppure due mensole per la libreria, avendo l’unica colpa di abitare in una zona dove è stata organizzata una manifestazione, cosa evidentemente non dipendente da lui.
Valutazioni di questo genere devono sempre orientare una discussione sull’estensione delle misure di prevenzione, per evitare che ci possano essere abusi e per non cadere nella criminalizzazione del solo fatto di manifestare il dissenso politico.
Per quanto riguarda il daspo politico, cioè l’idea di estendere il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, che prevede il carcere da 1 a 3 anni se si viene trovati alla manifestazione sportiva anche se il soggetto si trovava in un angolo a vedere la partita senza dare fastidio a nessuno, ci pare di aver compreso che c’è una generale opposizione delle forze politiche a tale allargamento del provvedimento. In realtà le misure di prevenzione, come il daspo, sono sempre state considerate ai limiti della legittimità costituzionale, per cui un daspo politico rischierebbe di non sopravvivere ad una valutazione della Consulta.
La Corte Costituzionale, infatti, nel 2002 ritenne legittimo il daspo sportivo solo perché si tratta di misura che comunque va convalidata da un giudice (e non è invece demandata esclusivamente ad organi amministrativi), e perché è limitato a casi del tutto eccezionali, cioè a tifosi che accedono allo stadio. Oggettivamente è assurdo pensare di poter estendere una misura che prevede il divieto di accesso ad una manifestazione, quindi ad una strada pubblica, a carico di persone che si ritiene che abbiano “preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni”, come dire persone che non sono state mai denunciate o condannate. Sarebbe una inammissibile limitazione della libertà personale di un individuo senza alcun motivo valido, basandosi solo su illazioni (si ritiene che abbia preso parte), e perché qualcuno altro a pochi metri di distanza sta commettendo dei reati (fermo restando che è solo un giudice che stabilisce quando si è in presenza di reati).
Il punto essenziale per il daspo, ma in genere per tutte le misure di questo tipo applicate ad una manifestazione di dissenso politico, è che il daspo è del tutto indifferente al colore politico, nel senso che si applica sia a persone di destra che di sinistra, e si suppone che verrà applicato allo stesso modo da un governo di destra e da uno di sinistra. E di sicuro non ha alcun senso paragonare il diritto di vedere una partita di calcio al diritto costituzionalmente garantito al dissenso politico (quale corollario del diritto di voto).
Con il daspo politico, invece, si subordinerebbe il diritto al legittimo dissenso politico ad una valutazione del governo in carica, con possibili strumentalizzazioni del caso. Possiamo fidarci nel ritenere che un governo di un certo colore politico applichi il daspo politico a tutti i soggetti indifferentemente dalla loro estrazione politica? Non c’è il rischio che si chiuda un occhio per i soggetti appartenenti a correnti di supporto del governo in carica?
Forse sarebbe il caso di non scadere nella assurda logica dell’estensione delle misure di prevenzione, che porterebbe a vietare ai rapinatori di banche di avvicinarsi alle banche, ai violentatori di avvicinarsi alle donne, ecc… È evidente che limitazioni di questo genere, ai limiti dell’incostituzionalità, sono solo la conseguenza della paura del dissenso politico, un modo per ottenere dei vantaggi politici da manifestazioni che sono sfociate in violenza e reati. Si dovrebbe, piuttosto, mettere le forze dell’ordine in grado di contrastare e prevenire tali violenze dotandole di maggiori risorse, mentre invece sono anni che i tagli alla polizia si susseguono incessanti (dopo le violenze il ministro ha sostenuto che saranno stanziati nuovi fondi per le forze dell’ordine. Dopo!).
L’ultimo provvedimento proposto dal ministro degli interni è una sorta di fideiussione, una garanzia finanziaria, cioè l’obbligo da parte degli organizzatori della manifestazione di fornire garanzie patrimoniali a copertura di eventuali danni causati dai cortei organizzati.
Orbene l’assurdità della norma è palese se solo si pensa che la manifestazione di sabato avrebbe provocato da 2 a 5 milioni di euro di danni. Provate a pensare quale organizzazione si potrebbe permettere una garanzia di tal fatta.
È evidente che la democrazia sarebbe soggetta alle capacità economiche delle organizzazioni, per cui solo chi ha mezzi economici adeguati potrà permettersi di manifestare il proprio dissenso politico, gli altri semplicemente non potranno farlo. Si tratterebbe, anche in questo caso, di una misura palesemente anticostituzionale, una tassa al dissenso al punto che essere d’accordo col governo in carico risulterebbe conveniente economicamente parlando, mentre dissentire costerebbe, non solo il tempo e il rischio di scendere in piazza a protestare, ma anche il costo della garanzia da prestare.
Una cosa è certa, con questa norma le manifestazioni degli studenti in piazza non ci saranno più, ed anche quelle dei lavoratori, specialmente quelli in cassa integrazione o licenziati, saranno a rischio. In compenso potremo vedere sfilate di ricchi imprenditori e cittadini abbienti. Un passo in avanti verso il paese dei diritti negati, a meno che non ti puoi permettere di comprarli!
Cioè che resta è la considerazione di partenza, quando un ministro dello Stato annuncia un autunno caldo ed uno scenario di crescente violenza, chiedendo norme più repressive e palesemente antidemocratiche, ma nel frattempo riconosce che le informazioni relative alla manifestazione del 15 c’erano tutte, tanto che i servizi segreti avevano avvisato le Digos di tutta Italia circa i possibili pericoli. E allora perché se tutti sapevano nessuno ha fatto nulla?
Al colmo il ministro ci traccia l’identikit dei violenti di oggi, precisando che a Roma i violenti sono arrivati alla spicciolata, con mezzi propri e gli indumenti di ricambio per confondersi tra i manifestanti pacifici. Un fenomeno imprevedibile di fronte al quale non si può proprio fare nulla, conclude il ministro.
Insomma, immaginatevi questa ingegnosa strategia, che è riuscita a mandare in tilt l'intelligence italiana: i violenti si sono telefonati, mandati un sms oppure un messaggio su Facebook (strano che non abbiano chiesto di chiudere la rete!) e si sono detti: vediamoci direttamente lì. Che menti raffinate!