Il processo “Dancing Baby” e l'importanza del fair use

dancing baby

In un mondo in cui la tecnologia chiede a tutti noi di creare e diffondere il lavoro creativo in modo diverso da come è stato creato e diffuso prima, che tipo di piattaforma morale sosterrà i nostri figli, quando il loro comportamento normale è considerato criminale?
Lawrence Lessig (Remix , xvii)

Il 7 luglio è iniziata la fase d'appello di uno dei processi più importanti in relazione alla normativa sul copyright. Si tratta del famoso caso Lenz vs. Universal, o anche denominato caso “dancing baby”.

Il caso inizia nel 2007, quando Stephanie Lenz registra un video di 29 secondi riprendendo il proprio figlio Holden che balla in cucina sulle note del brano di Prince “Let's go crazy”.

Il video è un classico UGC (user generated content, in quanto presenta le 3 caratteristiche fondamentali fissate dall'OCSE: è online; dimostra un minimo grado di sforzo creativo -invece di ripubblicare una clip video-; è prodotto al di fuori di pratiche commerciali).

 

Il video viene pubblicato su YouTube, ma la Universal Music Group (UMC), detentrice dei diritti del brano, chiede a YouTube la rimozione del video sulla base del Digital Millennium Copyright Act (DMCA, punto 512), sostenendo che il video viola i diritti d'autore dell'artista americano. In base alla legge federale è sufficiente la mera segnalazione per la rimozione del video, e YouTube infatti rimuove (all'epoca la valutazione era demandata a persone, mentre oggi i sistemi di rimozione di YouTube sono automatizzati).

La signora Lenz rimane davvero sorpresa della rimozione del video, sostiene che la Universal non dovrebbe ricorrere alle minacce legali per impedire alle persone di condividere video amatoriali, è convinta che sia un suo diritto condividere con amici e parenti le gioiose immagini del proprio figlioletto che danza, e quindi si rivolge ad un'associazione per i diritti umani, la Electronic Frontier Foundation (EFF), che prende le sue difese e cita in giudizio la Universal per abuso del DMCA.
La EFF ritiene che la UMC abbia abusato dei suoi diritti non rispettando la normativa sul fair use, e quindi chiede ad una Corte federale una pronuncia che tuteli il fair use e la libertà di espressione. Qui, sostiene, non è un problema di copyright, perché la musica di Prince si sente a malapena in quei 29 secondi di video (l'audio proviene da altra stanza), e non c'è alcuna possibilità che la ripresa sia in concorrenza col brano dell'artista americano, si tratta semplicemente di una famiglia che condivide frammenti della sua vita.

In materia di copyright normalmente si sostiene che la copia di un contenuto è illecita a prescindere, se realizzata in assenza di consenso del titolare dei diritti. L'utilizzo di tale copia sarebbe sicuramente illecito se distribuito a terzi, o comunque diffuso (ad esempio tramite internet con la pubblicazione di un video online). Questa prospettiva è sbagliata in quanto esistono le utilizzazioni libere (fair use per i paesi anglosassoni) che consentono, invece, l'uso di un contenuto protetto anche in assenza del consenso del titolare.
Le utilizzazioni libere o fair use fanno da contrappeso ai diritti concessi all'autore dell'opera, e prevedono la possibilità di uso di quell'opera o parti dell'opera per scopi “limitati” e di “trasformazione”.


Per considerare un contenuto fair use devono essere valutati 4 fattori: finalità di utilizzo (uso non commerciale, che comprende anche l'uso a fini di istruzione, di cronaca e critica); natura del lavoro protetto da copyright (un lavoro creativo ha maggiore protezione rispetto ad un lavoro di mera documentazione -es. biografia-); quantità dell'opera originale utilizzata; potenziale impatto economico sui diritti dei titolare. Il primo ed ultimo fattore sono più rilevanti.
Dall'analisi dei 4 fattori, il video di Lenz appare fair use. L'opera originaria è altamente creativa, ma il brano non ha finalità commerciale, usa pochi secondi dell'opera e la qualità dell'audio è pessima, quindi non c'è concorrenza con l'opera originale.

 

Il 20 agosto del 2008 con una decisione preliminare il giudice Jeremy Fogel dichiara che i proprietari di contenuti devono valutare il fair use prima di inviare segnalazione di rimozione (takedown) ai provider, ai sensi del DMCA.

Durante il processo la UMC aveva insistito sul fatto che i titolari del copyright non avrebbero potuto effettuare controlli efficienti se avessero dovuto valutare caso per caso il fair use, in quanto tale strumento dovrebbe essere un “mezzo di tutela rapida contro le massicce violazioni del copyright online”. Ma il giudice rigetta questa argomentazione precisando che il DMCA (punto 512) richiede già ai titolari del copyright di fare un esame preliminare dei contenuti presunti illegittimi per verificare se essi rientrino nel fair use. In particolare il giudicerespinge l'argomento della UMC che sostiene che basta considerare alcuni fatti rilevanti per un'analisi imparziale, precisando che occorre invece una determinazione legale vera e propria.
Il tribunale ha inoltre rilevato che l'esame del fair use è essenziale per evitare che i titolari dei diritti abusino del processo di takedown.

Il tribunale respinge anche l'argomento della Universal che al caso in questione non si applica il DMCA, in quanto nella notifica di rimozione a YouTube era inserito un disclaimer che afferma che l'avviso non è basato sul DMCA. Il giudice ritiene che poiché la UMC ha utilizzato il processo basato sul DMCA, come configurato da YouTube, allora si applica il DMCA, con le responsabilità del caso.
Questo è un argomento importantissimo perché il DMCA prevede una sanzione a carico del titolare dei diritti che abusa del processo di rimozione (esiste solo una sanzione per violazione del 512 (f) DMCA, a carico della Diebold Inc. che aveva chiesto ed ottenuto la rimozione di commenti negativi sulle sue macchine per il voto elettronico).

 

DMCA Art. 512
‘‘(f ) MISREPRESENTATIONS.—Any person who knowingly materially misrepresents under this section—
‘‘(1) that material or activity is infringing, or
‘‘(2) that material or activity was removed or disabled by mistake or misidentification, shall be liable for any damages, including costs and attorneys’ fees, incurred by the alleged infringer, by any copyright owner or copyright owner’s authorized licensee, or by a service provider, who is injured by such misrepresentation, as the result of the service provider relying upon such misrepresentation in removing or disabling access to the material or activity claimed to be infringing, or in replacing the removed material or ceasing to disable access to it”.

 

Nel 2013 il giudice però ha sancito che la UMC non può essere considerata responsabile per la sua incapacità di valutazione del fair use a meno che non si provi che che la cosa sia stata volontaria (e quindi che la UMC fosse in malafede). Nel quale caso la signora Lenz ha diritto anche ad un risarcimento del suo danno, compreso il danno di limitazione alla libertà di espressione.

Il caso ha assunto una notevole importanza perché riguarda un comportamento comune a milioni di persone. Ogni giorno migliaia di genitori scattano foto e fanno riprese dei propri figli che fanno cose, ma molte di quelle immagini possono incorporare contenuti protetti da copyright, usualmente parti di brani musicali, ma anche loghi sulle magliette, sculture o edifici ripresi insieme ai bambini. Ovviamente i genitori non sono generalmente degli esperti di copyright e quindi non sempre si rendono conto che quello che fanno potrebbe violare i diritti d'autore di qualcuno.
Spesso tali “violazioni” vengono semplicemente segnalate e rimosse, senza ulteriori conseguenze, ma occorre anche ricordare che in determinati casi non sono violazioni ma sono comportamenti leciti in quanto tutelati dalle norme sul fair use (fair dealing oppure utilizzazioni libere).

L'istituto del fair use è generalmente del tutto ignorato dell'industria del copyright che ragiona esclusivamente in termini di copia. La copia è illecita, esiste solo chi paga e gli altri sono pirati, non c'è una terza via. Ma l'errore sta nel fatto che si dovrebbe analizzare l'uso della copia, e quindi ammettere che in assenza di concorrenza economica e in presenza di uso “limitato”, tale uso è legittimo. Purtroppo tale ragionamento non è mai applicato dall'industria del copyright che in tal modo restringe enormemente i diritti dei cittadini cancellando le utilizzazioni libere (quindi disapplicando di fatto le norme relative) e limitando anche la libertà di espressione degli utenti del web.

Nel corso del processo numerose aziende ed organizzazioni sono intervenute (amicus brief) a favore dei Lenz, tra queste: Automattic (Wordpress), Google, Twitter, Tumblr.
Esse spiegano le importanti conseguenze dei takedown abusivi non solo sulla normativa sul copyright ma anche sulla libertà di espressione, ricordando vari esempi di possibili ricadute anche sulle campagne politiche (più volte video di politici sono stati rimossi per violazione del copyright).

Adesso la Corte d'Appello del nono circuito di San Francisco, dovrà riprendere in mano il caso per eventualmente confermare la decisione del tribunale, ed anche per valutare se effettivamente è applicabile una sanzione alla UMC.
È un processo molto importante, perché avrà conseguenze fondamentali sulle modalità di utilizzo della rete da parte degli utenti, è un processo che riguarda i pericoli gravissimi della privatizzazione della tutela del copyright.
La sconfitta della Universal determinerebbe una responsabilità da parte degli editori e autori per rimozioni poi ritenute non conformi alla legge, e dovrebbero non solo pagare i costi della causa ma anche risarcire i danni (compresi quelli alla libertà di espressione) all'uploader.

Una legge che garantisce ad una azienda privata il potere di censurare qualcosa sulla base di una sua esclusiva valutazione di parte, altera non solo i confini tradizionali della protezione del copyright, ma del fondamentale diritto alla libertà di espressione. Tale legge può essere tollerata solo in quanto l'esercizio della legge è vincolato all'obbligo, da parte del privato, di comprendere la legge e agire correttamente in base ad essa. E di pagarne le conseguenze in caso di errore.