Il rapporto 301 e il bullismo degli Usa sul copyright

Il rapporto 301 e il bullismo degli Usa sul copyright

Rapporto speciale 301

Anche per il 2013 l'USTR (United States Trade Representative) degli Usa ha elaborato il rapporto speciale 301, che valuta la legislazione in materia di proprietà intellettuale dei paesi terzi.
Questo rapporto identifica i paesi che, secondo l'USTR, non forniscono a soggetti statunitensi una protezione adeguata ed effettiva dei loro diritti di proprietà intellettuale, oppure un accesso giusto ed equo al mercato. Questi paesi vengono inseriti in una black list, mentre i paesi indicati come "prioritari" possono addirittura essere oggetto di sanzioni commerciali da parte degli Usa.
In realtà è la grande industria americana che invia la documentazione all'USTR, includendo una descrizione degli sforzi che l'azienda ha posto in essere per far valere i propri diritti di proprietà intellettuale in quel paese e la stima delle perdite economiche derivanti dalla "violazione" dei suoi diritti. In tal modo l'USTR identifica i "cattivi" che non fanno abbastanza per soddisfare i desideri di Hollywood oppure delle aziende farmaceutiche.
Ad esempio, nel 2010 la IIPA, un gruppo di coordinamento delle organizzazioni tra cui MPAA e RIAA, aveva fatto pressioni per far inserire l'Indonesia, il Brasile e l'India nel rapporto 301 perché, incoraggiando l'uso di software open source, avrebbe indebolito l'industria del software e quindi il rispetto per i diritti di proprietà intellettuale.
Il rapporto 301, che protegge esclusivamente gli interessi americani, si rivela quindi niente altro che l'asservimento del diritto pubblico ad interessi corporativi privati.

Minaccia e sanzioni

La minaccia della lista del "rapporto 301", e le conseguenti possibili sanzioni, ha consentito negli anni agli Usa di intromettersi e guidare la produzione legislativa in materia di proprietà intellettuale di vari paesi, al fine di garantire il rispetto delle norme commerciali americane. Così è accaduto, ad esempio, in Giamaica e nella Repubblica Dominicana.
Molti paesi hanno subito la minaccia dell'inclusione nel rapporto 301, e in qualche modo hanno dovuto procedere ad un rafforzamento della protezione della proprietà intellettuale in modo da andare incontro alla volontà delle aziende americane.
Così è accaduto a Panama, la cui legislazione in materia è considerata probabilmente la peggiore nella storia, alla Sud Corea, ma anche a Taiwan che ha attuato una sorta di SOPA.
Il Canada ha attuato la legge anticamcording, e la sua legge sul copyright è sotto alcuni profili anche più limitante di quella americana, ma nonostante ciò viene da anni inserita nella black list.
Anche l'Italia non si è risparmiata l'onta dell'inclusione nel rapporto 301, e tutt'ora fa parte della lista di paesi sotto osservazione. Nel rapporto del 2013 si evidenzia come, nonostante gli sforzi dell'AgCom in materia di regolamentazione della pirateria online, la bozza di regolamento non è stata ancora approvata e ciò comporta un serio rischio di pirateria nell'internet italiano. Gli Usa sottolineano l'importanza del regolamento AgCom.
La Spagna, invece, per anni è stata inclusa nella famigerata lista, per cui ha riformato integralmente la sua legislazione in materia di copyright, ammettendo che i suoi sforzi erano progettati proprio al fine di tenere fuori il paese dal rapporto 301. E finalmente ha ottenuto di non essere più inclusa nella lista dei "cattivi" del copyright.



Nemico numero 1

Nell'attuale rapporto la parte del "cattivo numero uno" è affidata all'Ucraina. E questo nonostante tale paese non stia facendo nulla di male secondo il WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio deputata al controllo delle pratiche in materia di copyright. In realtà l'industria del copyright statunitense ritiene di essere in diritto di by-passare completamente il WTO, per cui il fatto che gli Usa ritengano che l'Ucraina stia danneggiando i diritti di proprietà intellettuale di soggetti americani espone l'Ucraina a ritorsioni commerciali. È abbastanza prevedibile che, quindi, questo paese sarà il prossimo a subire pesanti pressioni lobbistiche e diplomatiche per "rafforzare" la propria normativa in materia di copyright al fine di esaudire i desideri dell'industria americana.

Poiché in passato e tutt'ora vari paesi dell'Unione europea sono stati inclusi nel rapporto 301, e fatti oggetto di "attenzioni" da parte della diplomazia Usa per un rafforzamento della normativa in materia (es. Spagna e Italia), l'Unione europea ha tentato di contestare tale pratica presso l'organo di conciliazione del WTO (causa DS 152), che però nel gennaio del 2000 ha stabilito come tali sanzioni unilateralmente imposte dal governo degli Stati Uniti ad un paese terzo siano conformi alle norme.
Adesso, però, la normativa europea in materia è sostanzialmente armonizzata o in corso di unificazione, per cui la sanzioni contro un paese europeo potrebbero avere l'ovvio effetto di una risposta simile da parte della UE, aprendo così una vera e propria guerra commerciale tra USA e UE.

 

Oltre il DMCA

Il rapporto 301 si appunta su vari elementi: le regole sull'uso di software coperto da copyright, l'applicazione dei takedown extragiudiziari, l'amministrazione delle società di gestione collettiva e la responsabilità degli intermediari. Quello che vorrebbero gli Usa non è previsto da alcun accordo TRIPs, ma solo da alcuni specifici trattati, anche piuttosto controversi.
Ma l'interesse della grande industria Usa è quello di estendere la normativa (intesa anche come regolamentazione di secondo livello) americana a tutto il resto del mondo, quella stessa normativa che consente ad una azienda di indirizzare una segnalazione ad un provider per chiedere la rimozione di un contenuto online sulla base dell'esclusiva affermazione (senza alcuna prova) che quel contenuto è nella propria titolarità. Le storture di questo sistema sono conosciute e gli abusi innumerevoli. Questo perché la procedura in sé lo consente.
Il soggetto che ha immesso il contenuto viene avvertito della segnalazione, e ha la possibilità di presentare al provider (es. YouTube) un reclamo che viene girato all'azienda, la quale ricontrolla il contenuto e decide sa ha ragione oppure torto. Se l'azienda ritiene di non aver sbagliato nel reclamare i diritti sul video in questione, allora la procedura si chiude senza consentire ulteriori possibilità. Insomma, l'azienda è nel contempo giudice, giuria, ed esecutore della sua stessa decisione. In breve si tratta di privatizzazione della giustizia!

In realtà la normativa prevista dagli Usa (DMCA) prevede un ulteriore fase, e cioè se l'uploader contesta la segnalazione, il titolare dei diritti dovrebbe presentare una notifica formale ai sensi del DMCA, che prevede altresì una sanzione per il titolare dei diritti in caso di segnalazione falsa. In assenza dell'avvio della notifica ai sensi del DMCA il contenuto dovrebbe essere rimesso online.
Purtroppo questa procedura non sempre viene applicata dai provider, e comunque è raro che un uploader privato vada a contestare la segnalazione mettendosi contro una multinazionale. Nella maggior parte dei casi, quindi, la procedura si conclude tra segnalante, cioè il titolare dei diritti, e il provider che rimuove il contenuto. Alcuni provider hanno predisposto, addirittura, degli strumenti appositi che consentono allo stesso titolare di rimuovere direttamente il contenuto.

È evidente che un tale sistema di fatto favorisce i titolari dei contenuti che non devono sobbarcarsi grandi spese (cioè iniziare cause dinanzi ad un giudice) ma soprattutto possono rimuovere dei contenuti senza dover provare ogni volta il loro diritto. E ovviamente consente loro di rimuovere enormi quantità di contenuti (fino a milioni di link al giorno) cosa che sarebbe davvero improponibile davanti ad un giudice.
Di contro sono palesi anche i possibili abusi e le ovvie ricadute sulle libertà costituzionali dei cittadini utenti di internet. Di fatto in tal modo si realizzano norme (secondarie) che rendono i diritti in internet meno tutelati rispetto a quelli nella vita reale.

Tale sistema realizza una sorta di cooperazione tra aziende (da un lato i titolari dei diritti dall'altro gli intermediari della comunicazione) che sono entità economiche e private i cui business sono attinenti, quindi hanno più punti in comuni di quanti ne abbiano i provider con i cittadini. Si tratta di quella medesima cooperazione che abbiamo già visto in ACTA e in tutti i trattati che gli Usa cercano di imporre nel resto del mondo.
È un dato di fatto che l'industria americana cerca di modificare l'attuale normativa eliminando il safe harbor e rendendo responsabili i provider per i contenuti illeciti immessi tramite i loro servizi. In tal senso si muovono le recenti normative portate avanti dalle lobby statunitensi.
Il modello di riferimento è la legge SOPA, per fortuna non approvata per l'opposizione dell'opinione pubblica (che ha ottenuto l'appoggio delle aziende americane del web), che avrebbe comportato la responsabilità indiretta degli intermediari della comunicazione, compreso i social network.



Chi ha paura del rapporto 301?

Proprio a causa della preoccupazione per la ricadute sui diritti dei cittadini il Congresso Nazionale del Cile ha respinto i diversi emendamenti che miravano ad introdurre un sistema di takedown non giudiziario, sulla falsariga della regolamentazione Usa, realizzano una riforma del copyright che è senza alcun dubbio più favorevole alla libertà di espressione online. La normativa cilena non subordina la protezione ed esenzione da responsabilità degli intermediari della comunicazione ad un monitoraggio dei contenuti immessi attraverso i loro servizi, né i provider sono tenuti in alcun modo a ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino le attività illegali.
Quindi, nel Cile è l'azienda che ritiene di aver subito un torto a doversi attivare per provare di aver subito quel torto. A ben vedere è la stessa posizione degli Stati europei in attuazione della direttiva eCommerce. Quella posizione che però da qualche anno l'industria del copyright, non solo americana, sta cercando di far rivedere in modo da introdurre surrettiziamente una sorta di responsabilità concorrente o sussidiaria degli intermediari della comunicazione. Cioè l'intermediario sarebbe corresponsabile nel momento in cui riceve una segnalazione e non rimuove il contenuto segnalato perché, ad esempio, ritiene che quel contenuto non violi alcuna norma di legge.

Le pressioni lobbistiche e diplomatiche statunitensi hanno ottenuto molto in tal senso, facendo approvare anche in Europa delle normativa decisamente più stringenti, pur di non vedersi elencare nel famigerato rapporto 301.
Di contro il Canada ha più volte affermato che non riconosce alcuna validità al rapporto in questione perché non è basato su una analisi affidabile e oggettiva. Sostengono le autorità canadesi che esso sia guidato dall'industria americana.
Adesso, con la riforma, anche il Cile si affianca alla posizione del Canada. Sono paesi che sanno che gli Stati Uniti non sono in grado di avviare una guerra commerciale per motivi di copyright, purtroppo pare che in Europa non se ne siano ancora resi conto, al punto che alcuni paesi (come l'Italia) ancora hanno allo studio ulteriori riforme in materia di copyright che mirano ad ottenere il gradimento degli Usa, forse sperando di risolvere la crisi in atto a mezzo di investimenti da parte delle aziende Usa.



Perché la Germania no?

Un'ultima annotazione si rende necessaria. Stranamente nel rapporto 301 del 2013 la Germania non viene toccata. Eppure di recente quel paese ha approvato una normativa (la Link Tax anche detta Google Tax perché esplicitamente creata al fine di danneggiare Google News) che si rivela una vera e propria barriera commerciale per le società americane a causa di un uso improprio della normativa sulla proprietà intellettuale.