La vicenda di Eluana Englaro, che tutti noi ricordiamo, continua a lasciare degli strascichi.
All’epoca il ministro della salute, nonostante ci fosse una decisione definitiva ed inoppugnabile, da parte della magistratura, sul caso, intervenne scavalcando i giudici, ed inviando una nota alla Regioni, per bloccare quella decisione che aveva riconosciuto come valida la volontà presunta della giovane donna da troppo tempo in coma.
L’atto di indirizzo del ministro ingiungeva a tutte le Regioni di non interrompere nutrizione ed idratazione delle persone in stato di coma vegetativo persistente, ritenendo tale comportamento illegale.
Il Movimento difesa dei cittadini impugnò quell’atto di indirizzo e il 17 settembre il Tar del Lazio si è pronunciato sul ricorso con la sentenza n. 8650 .
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Il Tar ricorda che l’articolo 32, comma 2, della Costituzione, l’articolo 3 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’articolo 1 della legge n. 180 del 1978 prevedono tutti che ogni individuo ha il diritto di non essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario (se non per disposizione di legge, secondo la nostra carta costituzionale), e quindi vi è un generale diritto di rifiutare i trattamenti sanitari, fondato sulla disponibilità del bene salute da parte del diretto interessato. E’ vero che la norma costituzionale contiene l’inciso “se non per disposizioni di legge”, ma precisa che la legge ha limiti ben definiti e “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” al quale appartiene anche il rispetto che deriva dalla tutela della libertà personale affermata nell’articolo 13. La Carta della Unione Europea afferma che “nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”, cioè alla legge spetta solo di determinare le modalità di espressione del consenso libero e informato che deve rimanere la base della normativa e che non può essere derogato o annullato. Quindi la norma europea non consente restrizioni, bensì si limita a riconoscere alla legge la competenza a regolare le modalità di esercizio del diritto.
Da tutto ciò consegue che i pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la loro volontà, non devono in alcun modo essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il loro consenso alle cure, e di conseguenza, qualora la loro volontà possa essere in qualche modo ricostruita, essa deve essere rispettata.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con la legge n. 18 del 3 marzo 2009, all’articolo 25 lettera f) dispone che “gli Stati riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità” evitando di “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”.
Ogni soggetto leso nella sua integrità psico-fisica, quindi, non ha solo il diritto di essere curato, ma vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi o, eventualmente, a quale struttura più idonea affidare le sue aspettative di celere e sicura guarigione. Nel nostro ordinamento si è inteso valorizzare ed attuare la libertà di scelta curativa del paziente, attraverso il passaggio da una visione monopolistico/pubblicistica del settore sanitario ad una visione liberista ed elastica del medesimo, fondata sul pluralismo dell’offerta. Ed è proprio il rango elevato del diritto alla salute del paziente, inteso nel senso sopra ricordato, che impone al medico di non attribuire alle sue valutazioni e decisioni, per quanto oggettivamente dirette alla salvaguardia del diritto alla salute del paziente, una forza di giustificazione dell'intervento che esse di per sé sole non hanno o, meglio, non hanno più come in passato, giacché devono rapportarsi con un altro diritto di rango costituzionale qual è quello della libertà personale che l'art. 13 qualifica come inviolabile.
Il Tar sancisce sostanzialmente che idratazione ed alimentazione non possono essere imposte a nessuno, e che una persona, cosciente od incosciente, lucida o in stato vegetativo persistente, ha il diritto di vedere rispettate le sue volontà, anche quelle di interrompere terapie e anche l’idratazione e l’alimentazione forzata. Obbligarli sarebbe illegittimo e in violazione dei principi della Costituzione.
Le persone che si trovano in stato di coma vegetativo devono vedere la propria volontà rispettata, qualora sia stata ricostruita, proprio come accade per le persone che siano in grado di esprimere correttamente il proprio consenso alle cure. In caso contrario si avrebbe una palese discriminazione tra i pazienti che possono esprimersi e quelli che non possono più farlo.
Questa sentenza si inserisce nell’ampio dibattito relativo alla legge sul testamento biologico che è già stata approvata alla Camera e si trova all’esame del Senato, legge proposta dal governo ed ampiamente criticata in quanto impedirebbe in concreto la corretta esplicazione della volontà del paziente, demandando la decisione in merito allo Stato.
La legge all’esame del Parlamento distingue tra trattamenti sanitari ordinari e straordinari, dove questi ultimi sono obbligatori, cioè il medico ha il dovere di attuarli anche in caso di dissenso del paziente, con ciò risultando palese il contrasto con il principio di libera scelta dell’interessato.
Questa divergenza finirebbe per porre la normativa italiana in profondo contrasto con quella internazionale, favorendo altresì forme di “turismo sanitario” verso altri paesi al fine di aggirare le limitazioni e i divieti posti dalla legge.