In Gran Bretagna il copyright vale più dei diritti dell'uomo

Premier LeagueDa un articolo di Fulvio Sarzana apprendiamo di recenti ed inaspettati sviluppi in materia di copyright al di là della Manica.
In vista dell'inizio della nuova stagione di calcio, la Premier League ha chiesto ad un tribunale inglese di bloccare un sito svedese (First Row's) che contiene link a contenuti esterni, tra i quali anche partite di calcio inglesi. A seguito del processo ha poi ottenuto l'ordine nei confronti dei provider di accesso ad internet di bloccare l'indirizzo Ip collegato al sito.

Nell'eseguire l'ordine, tramite blocco a livello di Ip, i principali provider inglesi di accesso ad internet hanno però bloccato, oltre al sito accusato, altre centinaia di siti appartenenti a soggetti terzi non destinatari di alcuna accusa di violazione del copyright, compreso siti di numerose aziende che operano in tutt'altro settore e di squadre di calcio. Tra questi il sito di RadioTimes, il cui direttore si è detto scandalizzato dell'improvviso "spegnimento" e della conseguente pessima pubblicità derivante dal fatto che l'oscuramento risulta per violazione del copyright -ovviamente cosa del tutto falsa- come hanno appreso gli utenti del web che cercavano di visualizzarlo.
I siti colpiti condividevano, infatti, tutti il medesimo indirizzo Ip.


Rimangono sospese le questioni sull'efficacia dei blocchi di questo tipo, nel caso specifico, infatti, per raggiungere i siti oscurati era sufficiente anteporre "www" al dominio. Ma, sopratutto, il problema è che centinaia di siti sono stati "marchiati" come illegali e violatori del copyright, e quindi oscurati, anche se non erano nemmeno accusati, avendo l'unica colpa di condividere l'Ip col sito svedese.
Si tratta di un precedente preoccupante. Il banco di prova in Gran Bretagna è stato l'ordine ottenuto nel 2011 dagli Studios contro BT per il blocco di Newbiz2, il Google di Usenet. In quel caso il giudice sentenziò che il blocco totale del sito era da considerarsi proporzionato anche in relazione alle possibili ricadute sui diritti dei cittadini, ed in particolare sulla libertà di espressione.

Ma se i tribunali inglesi sembrano ormai orientarsi verso la legittimità di blocchi che comportano "danni collaterali", facendo prevalere i meri interessi economici privati sui diritti pubblici dei cittadini, non bisogna dimenticare che la Corte Europea dei diritti dell'Uomo sembra pensarla diversamente. Ricordiamo, infatti, la sentenza del 2012 Yildrim vs Turkey. Anche in quel caso si trattava di un blocco di un sito (l'accusa era di diffamazione) attuato secondo modalità che comportavano l'effetto di impedire l'accesso anche ad altri siti web (ospitati da GoogleSites).
Ebbene, in quella circostanza il giudice della Corte europea ha sancito che l'ordine non era proporzionato e che quel tipo di blocco era in violazione dell'art. 10 e della libertà di espressione.
Con la suddetta sentenza la Corte europea pone delle importanti indicazioni riguardanti i blocchi online, rimarcando l'importanza di internet che "oggi è divenuto uno dei principali mezzi di esercizio del diritto all'informazione e della libertà di espressione". La Corte precisa che un'interferenza con questi fondamentali diritti è ammissibile solo se prevista da specifiche leggi e se necessaria in una società democratica per raggiungere lo scopo previsto. Inoltre, la restrizione dell'accesso ad una fonte di informazioni appare compatibile con la Convezione dei diritti dell'Uomo solo se supportata dalla possibilità di rivolgersi ad un giudice per prevenire possibili abusi.

Nel caso specifico l'ordine fu dato da un tribunale, ma non riguardava il soggetto ricorrente bensì altro soggetto e quindi, conclude la Corte, il ricorso giurisdizionale non è stato sufficiente a prevenire un abuso.

Analogamente, nella vicenda che ha interessato la Gran Bretagna la restrizione è stata imposta verso soggetti che non erano accusati di nulla, per cui si potrebbe facilmente ritenere configurata una violazione della Convenzione per illegittima interferenza verso la libertà di espressione.

Come sottolinea Fulvio Sarzana, la portata del precedente inglese potrebbe farsi sentire fino all'Italia dove è in discussione il nuovo regolamento Agcom che prevede, appunto, forme di blocco simili attuate, però, a seguito di un ordine non di un giudice bensì dell'autorità amministrativa. Converrebbe chiedersi fin da adesso quali conseguenze potrebbe avere un "errore" del tipo accaduto nel Regno Unito, e se davvero è ammissibile correre il rischio di ledere i diritti pubblici di tutti i cittadini, costituzionalmente garantiti, per tutelare gli esclusivi interessi economici di qualche azienda. A "seguire i soldi" non si corre il rischio di perdere di vista i diritti dei cittadini?