È solo l’ultimo temporalmente parlando, ma ha numerosi precedenti e, ci potremo scommettere, avrà anche degli ulteriori seguiti. Si tratta dell’ultimo errore, se così possiamo chiamarlo, determinato dalle aziende private che agiscono in nome dell’antipirateria e scandagliano il web alla ricerca di violazioni dei diritti delle major.
Tra il 9 e il 10 agosto, infatti, 5 video ospitati sulla piattaforma Vimeo sono stati oscurati su richiesta della Gesellschaft zur Verfolgung von Urheberrechtsverletzungen (GVU), la società tedesca che rappresenta i detentori dei diritti nella tutela del copyright. Si tratta di quattro video del giornalista freelance Mario Sixtus, episodi di Electric Reporter rilasciati con licenza Creative Commons e che si concentrano sulle problematiche di internet e la cultura della rete, e un quinto del filmaker Alexander Lehmann, Du bist Terrorist (Tu sei un terrorista), video vincitore di numerosi premi e distribuito sotto licenza libera.
I due autori, che detengono ovviamente i diritti delle loro opere, utilizzando delle licenze “alternative” hanno deciso di riservarsi solo alcuni dei diritti normalmente previsti, consentendo la libera utilizzazione delle loro opere per alcuni scopi. Nonostante ciò l’antipirateria tedesca ha deciso comunque di chiedere la rimozione dei video ritenendo che ci fossa una violazione dei diritti dei clienti della GVU, e quindi Vimeo, senza effettuare alcuna verifica, ha oscurato i 5 video sulla base di quella richiesta di rimozione.
La GVU, in particolare, si avvale della società OpSec Security che utilizza un software deputato a individuare online materiale piratato, e nel caso specifico avrebbe erroneamente ritenuto che i video sopra menzionati fossero illeciti. Sulla base di questo controllo hanno sostanzialmente agito come se i clienti della GVU fossero proprietari di quei video, mentre invece i legittimi titolari sono i due autori, i quali, a seguito della rimozione, hanno chiesto ed ottenuto che i video fossero rimessi online al più presto. La GVU ha posto le sue scuse ai due autori, ma nonostante ciò Sixtus non è stato affatto tenero definendo l’operazione “vandalismo digitale”.
I tecnici della OpSec Security, dal canto loro, hanno asserito che si sarebbe trattato di un errore di calibrazione del software, che avrebbe prodotto un “falso positivo” nel mentre scansionava la rete alla ricerca di video illeciti. La spiegazione starebbe nel fatto che i link ai video sarebbero stati individuati su un sito che contiene notoriamente link a cospicuo materiale piratato.
In realtà la vicenda non appare del tutto chiara. Il software in questione, come tutti i software del genere, dovrebbe confrontare un originale, del quale i clienti dell’azienda deputata al controllo detengono i diritti, con i video caricati in rete, e nel caso vi siano punti di contatto scatterebbe l’allarme perché il video potrebbe essere illecito.
Nel caso specifico, invece, non essendo i video dei due autori di proprietà dei clienti della OpSec, non ci sarebbe stato alcun video originale in possesso della OpSec col quale confrontare i video su Vimeo. Qualcuno ha addirittura adombrato che il motivo della rimozione potrebbe essere rinvenuto nel contenuto dei video, ritenuto politicamente scorretto, in particolare del quinto video Du bist Terrorist (qui sotto la versione con sottotitoli in inglese, risparmiata dalla rimozione).

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I lavori dei due autori tratteggiano il mondo del web come una realtà ipercontrollata e controllabile a piacimento, paventando il rischio, sempre più concreto, che la libertà di circolazione sul web sia posta sotto un pervasivo controllo, e con essa la libertà dei cittadini tutti, utilizzando a pretesto la lotta alla pedofilia telematica, alle violazioni della privacy e dei diritti d’autore. Sixtus ricorda che in Francia è già in vigore la legge Hadopi che consente di staccare la connessione a chi viene trovato a condividere per tre volte musica illegale (una normativa simile è stata approvata da qualche mese in Inghilterra), che in Germania dovrebbe entrare in vigore una legge che consente il controllo degli accessi alla rete per combattere la pedopornografia (legge già in vigore in Italia, tra l’altro), e che è solo questione di tempo per estendere tale controllo preventivo a tutti i contenuti, passando per il gioco d’azzardo (come già accade in Italia), e finendo ai contenuti politicamente scorretti. Insomma, per dirla in breve entrambi gli autori discutono di censura in rete!
Comunque, al di là del fatto se si sia trattato o meno di un errore di calibrazione o di altro, il problema che si pone alla base è di non poco conto.
Prima di tutto abbiamo visto quanto sia semplice la rimozione di un video nel caso in cui la segnalazione di presunte violazioni di diritti provenga dall’industria degli audiovisivi, ovviamente è facile supporre che se la medesima segnalazione venisse da un semplice cittadino le cose sarebbero andate forse diversamente. Appare ovvio che Vimeo, come del resto altre piattaforme dello stesso genere, non effettua alcun controllo sulle segnalazioni, almeno quelle dei produttori di audiovisivi, e si limita a rimuovere i video indicati, salvo poi attivarsi in caso di contestazioni da parte degli utenti.
Non dimentichiamo, però, che questi ultimi in tal modo subiscono un danno (anche economico in alcuni casi) perfino piuttosto rilevante, in caso di rimozione indebita, in quanto si tratta di una violazione che va ad incidere principalmente sul diritto alla libera manifestazione del pensiero, diritto che viene compresso sulla base di una valutazione di un altro privato (le major) che tutela i propri diritti economici, diritti di rango inferiore rispetto ai diritti della persona.
Probabilmente dovrebbero essere previste, nelle rispettive legislazioni nazionali, delle procedure di risarcimento del danno in caso di rimozioni indebite, qualora si provi, quindi, che il video rimosso non era affatto illecito. Qualcosa di simile è presente nella legislazione USA relativa alla responsabilità degli intermediari della comunicazione (come Vimeo che è un servizio di hosting) che appunto prevede la responsabilità del soggetto che invia una richiesta di rimozione, poi rivelatasi errata, nei confronti del cliente del provider.
In realtà, negli ultimi tempi così tante piattaforme di condivisione video si sono viste trascinare in giudizio per presunte violazioni dei diritti d’autore, o di altro tipo, commesse dai loro utenti, che appare anche comprensibile che esse accondiscendano alle richieste di rimozione da parte dei produttori. Evidentemente preferiscono trovarsi dalla parte del più forte, che non è mai il cittadino comune, correndo il rischio di eliminare contenuti del tutto leciti piuttosto che rischiare di finire in giudizio per concorso con presunti illeciti degli utenti. Ovviamente in questo quadro sono solo i cittadini a perderci, in quanto i loro diritti vengono limitati (per non dire calpestati) per tutelare meri interessi economici.
I produttori di audiovisivi, da un po’ di tempo a questa parte, hanno compreso che la battaglia contro la pirateria non è facile da vincere in quanto i pirati, quelli veri, sono difficilmente rintracciabili, e hanno spostato la loro attenzione verso gli utenti della pirateria. Ma poiché in questo caso la battagli rischia di essere poco remunerativa, nel senso che una causa costa molto e generalmente portare in tribunale una vecchietta che ha scaricato qualche file mp3 non porta un adeguato corrispettivo, hanno iniziato a prendersela con gli intermediari della comunicazione, cioè le piattaforme di video sharing, come YouTube e Vimeo, o addirittura con gli access provider, coloro che forniscono la connessione alla rete.
In questo caso l’azione è senz’altro più remunerativa, in quanto si tratta di aziende private che hanno una capienza economica ovviamente superiore al singolo cittadino, e poi hanno sempre la possibilità di rivalersi sui propri utenti, al limite aumentando i costi dei servizi. Insomma a perderci sono sempre i cittadini, quelli onesti specialmente.
In tal modo le major ottengono il risultato di scaricare il controllo della rete sugli intermediari della comunicazione, e anche i costi per la tutela dei loro diritti.
Altri esempi di questo genere di azioni di autotutela privata, e preventiva, li abbiamo avuti nei mesi passati. La Open Gate Italia, società che distribuisce nel nostro paese il film iraniano About Elly ha diffidato i principali motori di ricerca dal far “scaricare” il loro film da siti web. “La Rete non può essere considerata un’area grigia, priva di qualunque principio di legalità – ha sostenuto l’avvocato che difende la Open Gate Italia –. Chi ha investito cifre importanti nella produzione e nella distribuzione di un film, ha il diritto e il dovere di tutelarlo”.
Dal canto loro i motori di ricerca hanno sempre sostenuto di non essere responsabili per la presenza di siti che rendono disponibili gratuitamente film e musica, sfruttando i loro servizi. Un motore di ricerca non è altro che un intermediario della comunicazione, che svolge il suo ruolo in maniera del tutto automatizzata, indicizzando tutto ciò che trova in rete, e quindi non è responsabile del fatto che contenuti presenti in alcuni siti siano illeciti, anche se tali contenuti vengono poi da loro indicizzati.
Addirittura la Paramount/Viacom ha chiesto la rimozione da YouTube di video effettuati con un telefonino in una strada pubblica, riguardanti le riprese del film Transformers 3, riprese di circa mezzo minuto che mostrano il regista che da ordini alla troupe e poco altro. Stiamo parlando, quindi, di un film ancora in lavorazione, per cui i diritti d’autore non sono nemmeno ancora nati, e di riprese su strada, per cui non vi è nessuna immagine tratta da opere preesistenti.
È evidente che stiamo entrando gradualmente in un’ottica di privatizzazione della giustizia che negli ultimi tempi si applica sempre di più alla rete. Se nel mondo reale esistono delle regole precise che impongono delle procedure normativamente predeterminate per poter condannare qualcuno, nel mondo virtuale si sta gradualmente eliminando tali procedure consentendo azioni più celeri, ma non sempre ben mirate, e addirittura giungendo a sostituire il controllo dei privati al controllo della Stato e della magistratura.
Pensiamo al controllo che viene attuato sulla rete in relazione ai siti web di scommesse online che non sono autorizzati dall’AAMS, oppure i siti oscurati in quanto facenti parte della black list dei siti pedopornografici. Pensiamo anche alla rettifica che il recente ddl intercettazioni voleva estendere dalla stampa alla intera rete internet, che altro non è che un modo di consentire ai privati di auto tutelarsi, con tutti i problemi insiti in tale tipo di condotta. Si tratta di ipotesi nelle quali il controllo per la prevenzione e repressione dei reati viene sottratto alla magistratura e assegnato a enti pubblici o addirittura a privati, con evidente limitazione dei diritti dei cittadini ai quali viene sottratta la possibilità di difendersi dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale.
È un metodo foriero di abusi, in grado di realizzare dei pericolosi squilibri all’interno dei rapporti tra privati, concedendo ad un soggetto forte (il produttore di audiovisivi, ad esempio) il potere di valutare se il cittadino ha commesso un illecito, in assenza di controlli sulla sua decisione, e quindi il potere di chiedere, o addirittura applicare direttamente, delle sanzioni (staccargli la connessione ad esempio) salvo poi, eventualmente, la possibilità da parte del cittadino di rivalersi in giudizio (coi tempi della giustizia ordinaria) per riottenere quello che illegittimamente gli è stato tolto.
Si tratta di forme di autotutela pericolose, aperte ad abusi ed in grado di inasprire i rapporti tra privati, forme di autotutela che generalmente sono bandite dal nostro ordinamento, come possiamo notare, ad esempio, con gli articoli 392 e 393 del codice penale che vietano ai privati di farsi giustizia da soli, imponendo loro di rivolgersi ad un giudice.
Prima di percorrere questa strada bisogna pensarci bene, altrimenti finiremmo per sottostare alla volontà delle grandi industrie, e alla logica del: prima spara, poi eventualmente chiedi scusa!