Una svolta importante, quella avvenuta in Germania alcuni giorni fa, e che, si spera, potrebbe avere riflessi anche in altri paesi membri della UE.
La Camera bassa del parlamento tedesco ha abolito i filtri per la pedopornografia online, cioè quella legge del 2009 che è stata oggetto fin dall’inizio di nutrite critiche. La legge era “a tempo”, nel senso che aveva una scadenza fissata in 3 anni entro il quale termine doveva essere rivista sulla base dei risultati ottenuti. Secondo i critici della norma, la decisione di filtrare i contenuti pedopornografici online è stata: “inefficace, controproducente e ha rappresentato l’inizio della censura su internet”.
La legge prevedeva che la polizia federale tedesca, senza intervento della magistratura, compilasse una blacklist di siti da fornire ai provider, i quali avrebbero dovuto provvedere al loro blocco. I visitatori tedeschi avrebbero visto solo un segnale di Stop, che li avvisava del blocco del sito.
In realtà, in due anni di esercizio si è potuto rilevare che era fin troppo semplice aggirare il blocco riconfigurando il browser, e comunque il contenuto di un sito bloccato appariva velocemente su altri siti ancora non filtrati.
Insomma, il filtro risultava la classica foglia di fico che, è questo è il punto focale, non aveva alcuna incidenza sulla distribuzione del materiale pedopornografico online. Il blocco è risultato, secondo gli addetti ai lavori, totalmente inefficace, solo un modo per nascondere lo sporco sotto al tappeto.
Inoltre c’è da considerare che l’esecuzione dell’ordine della polizia federale, da parte dei provider, comporta comunque l’implementazione di sistemi di filtraggio e quindi spese che, alla lunga, possono diventare difficilmente sostenibili per le piccole e medie aziende, con gravi ricadute sulla concorrenza nel settore della connettività online.
Un altro aspetto tenuto in considerazione nel pervenire all’abolizione di questa legge è il problema della censura, che ha portato ad avviare una petizione che ha ottenuto ben 130.000 firme. I critici temevano che l’applicazione dei “filtri di Stato” desse l’avvio ad una “censura di Stato”, con l’ovvia considerazione che un filtro può essere utilizzato per altri contenuti, oltre che per quelli pedoporno. Se hai uno strumento di censura che funziona, perché non usarlo anche in altri casi?
Quindi si è pervenuti alla decisione di abolire la legge eliminando così i filtri di Stato. Stephan Urbach, programmatore e membro del Partito Pirata, partito politico attivo in Germania dal 2006 (alle elezioni di Berlino ha ottenuto l’8,9% conquistando 15 seggi nel Land) e che si batte per la difesa dei diritti dei cittadini in rete e in particolar modo contro la censura, ha sostenuto che la “pornografia infantile non è un problema di internet. Queste immagini e questi video devono venire da qualche parte. I bambini sono stati abusati”.
Insomma si chiarisce che non è internet il problema, in quanto la pedopornografia è un fenomeno preesistente e che si estrinseca nella realtà fisica non certo nel mondo virtuale, laddove la rete consente soltanto una più celere diffusione delle immagini pedopornografiche. L’applicazione di filtri ai siti che diffondono tali immagini non fa altro che nascondere paternalisticamente il fenomeno alla gente, senza risolverlo in alcun modo, anzi rischia di rassicurare erroneamente i cittadini in merito all’incidenza del fenomeno.
In conclusione, il modo più efficace per frenare la pornografia infantile non è certo nell’uso di filtri quanto piuttosto combattere il fenomeno lì dove nasce.
Quindi, il dibattito in Germania si è spostato sulla necessità di indagare sui siti con contenuti pedopornografici, eliminandoli del tutto laddove possibile, senza così imporre censure inutili alla rete.
Chiaramente si tratterà anche di capire cosa si intende realmente per “cancellare i siti pedopornografici”, secondo quali modalità e quali garanzie per i titolari dei siti si procederà, ma in linea di massima ci sono due aspetti importanti che vengono alla luce da tale vicenda: la constatazione che di per sé il filtro è inefficace, e la constatazione che una volta applicato un filtro di Stato, questo può essere usato per vietare altri tipi di contenuti, fornendo al governo in carica un eccezionale strumento di censura di Stato.
“Bloccare i contenuti online è qualcosa che suscita giustamente diffidenza”, ha chiosato il ministro della giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger.
La paura della rete in generale è un fenomeno che si sconta dall’inizio della sua diffusione, ed è pervicacemente alimentato dai governi. Da un lato vi è la paura del mezzo poco usato, poco conosciuto, e dall’altro il timore dei governi di uno strumento poco arrendevole e difficile da controllare, a differenza dei media di massa come la televisione ed i giornali. A tutto ciò si è aggiunta la necessità dell’industria dell’intrattenimento di limitare la rete per imporre la classica politica della scarsità dei prodotti, sulla quale si basa il loro business.
Era il maggio del 2007 quando Johan Schlüter, capo dell’Antipiratgruppen danese, enunciò, in un seminario organizzato dalla Camera di Commercio di Stoccolma: “la pornografia infantile è grande. I politici non capiscono la condivisione dei file, ma capiscono la pornografia infantile, e vogliono un filtro per guadagnare consensi col pubblico. Una volta ottenuto il filtro per la pornografia infantile, possiamo ottenere di estendere il blocco al file sharing”. Stava parlando dinanzi ad una platea di esperti del settore del copyright, un pubblico dal quale la stampa era stata bandita. Alcuni di quegli uomini poi sono arrivati al Parlamento europeo, dove progressivamente si è spostato il dibattito sui filtri.
E poi concluse, sorridendo: “Stiamo sviluppando un filtro per la pornografia infantile in collaborazione con l'IFPI e MPA in modo che possiamo mostrare ai politici che il filtraggio funziona. La pornografia infantile è un problema che i politici capiscono”.
La convergenza di questi interessi ha consentito in molti paesi l’imposizione di forme di controllo della rete, tra i quali annoveriamo non solo la Germania ma anche l’Italia. La Danimarca è stato il primo a censurare AllOfMP3.com, e poi The Pirate Bay, e di seguito i filtri si sono estesi in tutta Europa e non solo. L’industria del copyright sta realizzando una frammentazione della rete tale da renderla sempre più controllabile, come è interesse loro e degli stessi governi.
Insomma, la pedopornografia, un fenomeno sicuramente detestabile e criminale ma in fin dei conti piuttosto limitato, è stata utilizzata come il cavallo di Troia per ottenere il primo filtraggio.
Il ragionamento è semplice ed efficace. Una volta stabilito che qualcuno è in grado di censurare le comunicazioni online, ed ha il diritto di farlo, le porte alle censura sono state aperte, e prima o poi i filtri si applicheranno ad altri contenuti: quelli che violano il diritto d’autore, quelli che violano la normativa sulla privacy, e poi chissà che altro…. forse i dissidenti politici?
La circostanza che tali filtri siano facilmente aggirabili non incide minimamente, perché l’intenzione non è certo quella di combattere il fenomeno, bensì di creare un ambiente politico in cui la censura c’è ed è accettata come qualcosa di ovvio, naturale, anzi positivo, perché elimina (?!) un fenomeno criminale, come la pedopornografia.
Anche in Italia esistono da anni (dal 2007) questi filtri, che consentono il blocco e l’oscuramento dei siti di scommesse non autorizzati dall’AAMS oppure i siti con contenuti pedopornografici. In entrambi i casi di tratta di blocchi che non passano attraverso provvedimenti della magistratura, ma vengono decisi solo da organismi amministrativi senza alcuna forma di contraddittorio o di garanzia per i titolari dei siti.
Adesso la decisione della Germania ci dovrebbe far riflettere: tali filtri non risolvono affatto il problema, ma lo nascondono soltanto, e quindi sia il governo sia l’industria dell’intrattenimento si rendono in un certo senso complici di questo fatto. Un crimine dovrebbe essere prima giudicato e poi punito, non certo nascosto rassicurando falsamente i cittadini.
Il dibattito negli ultimi tempi si è spostato a livello europeo. Nell’agosto del 2011 è stata proposta una direttiva UE relativa alla lotta contro l'abuso sessuale dei minori, lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. Tale direttiva è stata adottata il 27 ottobre 2011, e gli Stati membri avranno due anni per recepirla.
La direttiva impone agli Stati membri di attivarsi rapidamente per la rimozione delle pagine web che contengono o diffondono materiale pedopornografico nel paese, e devono anche fare il possibile per ottenere che un paese extraUE elimini tali siti se si trovano su server esteri.
Quindi l’Unione europea chiede la cancellazione dei siti pedopornografici, ma se tale eliminazione non è possibile gli Stati membri devono bloccare l’accesso alla pagina, come prevede la medesima direttiva. Insomma, il filtraggio dei siti web secondo l’Unione europea è ancora necessario in certi casi.
Ma, ricordiamo anche che la Corte di Giustizia europea ha chiarito, con la sentenza del 24 novembre 2011, che le misure per impedire la pirateria online sono ammissibili però i blocchi devono avere una copertura legislativa e la legge nazionale che le prevede deve contemperare equamente i diritti in gioco, quelli dell’industria e quelli dei cittadini. In particolare, il filtraggio è illegale se c’è il rischio di un blocco anche di contenuti legali.
In conclusione, dalla decisione della Germania possiamo dire di avere acquisito maggiore consapevolezza del problema, e soprattutto dei rischi del filtraggio, i cui benefici sono sicuramente inferiori ai rischi che porta con sé, per cui sarebbe senz’altro meglio risolvere il problema della pornografia infantile alla radice piuttosto che nasconderlo.