La censura parte da lontano

don't touch my internetContinua a tenere banco in rete, e non solo, la polemica sulla delibera 668/2010 dell’AgCom, con posizioni contrastanti. Da una parte coloro che la ritengono pesantemente limitativa dei diritti dei cittadini, e dall’altra quelli che stigmatizzano l’eccessiva preoccupazione per un regolamento che in fondo, sostengono, non si occupa d’altro che di diritto d’autore.
Molti commentatori, infatti, hanno ritenuto esagerato che si possa considerare una normativa in materia di diritto d’autore come uno strumento di controllo dell’informazione, valutandola niente di più che un problema di bilanciamento di interessi economici. Ma, se anche così fosse, poiché un rischio effettivo di abusi c’è, visto che nella prima fase (che rischia di essere anche l’unica) della procedura tutto è accentrato nelle mani del titolare dei diritti e dell’AgCom, con partecipazione praticamente nulla del singolo cittadino, e che tale rischio viene ricordato anche dall’ONU, sarebbe il caso di fermarsi e ripensare la questione.

In questa ottica, però, non si può non rilevare la tendenza in atto un po’ dovunque. In molti paesi si sta discutendo nei rispettivi Parlamenti (qui da noi si discute invece nelle sedi amministrative!) l’introduzione di normative similari, anche se quella italiana appare senz’altro la più avanzata sotto il profilo della compressione dei diritti del cittadino.
È importante, però, ricordare che in tutti i paesi esiste una apposita normativa per bloccare i siti pedopornografici. Tra i due elementi vi è un preciso collegamento.

Di recente l’Hollywood’s Motion Picture Association (MPA) ha chiesto una ingiunzione contro il provider britannico BT per imporre il blocco del sito Newzbin, accusato di diffondere film piratati, utilizzando proprio i filtri già introdotti per i contenuti pedopornografici.
Risulta molto interessante leggere le parole del portavoce di Newzbin: “A Newzbin2 themed costume party, with horsehair wigs, and no-one invited us. The MPA didn’t invite us, BT didn’t invite us, the court didn’t invite us. Team R Dogs would have loved to have had some say”.
Cioè, nella diatriba tra l’MPA e l’intermediario BT, nessuno ha chiesto il parere a Newzbin, insomma nessun contraddittorio con chi immette i contenuti. Forse saranno anche tutti illeciti, lì lo deciderà un giudice, ma condannarli all’oblio, all’oscuramento, senza dargli nemmeno la possibilità di replicare alle accuse sembra eccessivo. E, ricordiamolo, la normativa AgCom, prevede qualcosa di molto simile, la verifica dell’illiceità di un contenuto non prevede necessariamente di sentire il cittadino che immette quel contenuto.

È difficile dire cosa realmente ci aspetta nel futuro della rete, anche se qualche segnale che si coglie qua e là non è decisamente incoraggiante, come l’accordo che alcuni intermediari della comunicazione starebbero per siglare con l’industria dell’intrattenimento, dopo anni di pressioni. Questo accordo prevede una pletora di sanzioni applicabili, su base contrattuale, ai singoli cittadini presunti pirati. Ad esempio il cittadino presunto pirata (saranno le aziende a stabilirlo!) potrebbe essere costretto a seguire dei corsi di educazione al rispetto delle leggi sul diritto d’autore, oppure la sua connessione sarebbe limitata solo ad un certo gruppo di siti navigabili (200 nell’accordo).
È ovvio che nella battaglia tra industria dell’intrattenimento e provider, il rischio è proprio che giungano ad un accordo tra loro e che il cittadino, soggetto debole, debba pagarne le conseguenze. E in tale quadro il ruolo dei vari governi dovrebbe proprio essere quello di interporsi tra le parti in lotta al fine di tutelare i cittadini, ruolo purtroppo che in molti paesi hanno abdicato, in altri, come l’Italia, appare sempre più ovvio che si siano schierati al fianco delle grandi aziende.

Ecco, la tendenza è questa, in Europa (ma almeno lì ci si rivolge ad un giudice) come in Italia, una progressiva estensione dei filtri utilizzati per il pedoporno anche ad altre materie.
In Italia è già accaduto, il tema della pedofilia telematica, un fenomeno sconvolgente ma comunque decisamente limitato nei numeri, è stato utilizzato come testa d’ariete per introdurre una serie di filtri al web, la cui predisposizione avviene ad opera del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, costituito presso il Ministero dell'Interno. Quindi le scelte pratiche (cioè i siti oscurati) sono sostanzialmente oscure per la quasi totalità dei cittadini e decise in sede amministrativa. Ebbene tali filtri sono stati applicati anche ai siti di scommesse online, su proposta dell’AAMS.
E sono quegli stessi filtri che molto probabilmente saranno utilizzati per il blocco dei siti da parte dell’AgCom.

Una prima considerazione è eminentemente pratica, e riguarda il costo dell’applicazione di filtri o della gestione delle segnalazioni, che diventa economicamente insostenibile per le piccole e medie aziende che lavorano nel settore, con gravissime ricadute sul mercato in questione che vedrebbe senz’altro ridotto il numero degli operatori, e quindi la concorrenza tra loro. Non dimentichiamo che sono proprio le piccole e medie aziende che colmano, parzialmente, il digital-divide che attanaglia da anni l’Italia. In tal senso è ovvio presupporre che faremo passi indietro.

Ma, soprattutto, una volta introdotti i filtri facendo accettare l’idea che il web sia controllato, è decisamente più semplice poi estendere il controllo ad altre materie. Oggi il pedoporno, domani il diritto d’autore, come in Gran Bretagna, oppure in Italia se passa la delibera AgCom. E dopo?