La notizia è di qualche giorno fa: il primo luglio la Commissione Europea adotterà un piano d'azione per combattere le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale.
Il quadro nel quale si inseriscono questi provvedimenti è, sempre secondo la Commissione, la necessità di proteggere i beni immateriali in considerazione del fatto che la proprietà intellettuale supporta la creatività e l'innovazione. La violazione dei diritti comporta la perdita di posti di lavoro, la contraffazione pone a rischio la sicurezza dei consumatori, quindi è indifferibile che l'Unione Europea tuteli la proprietà intellettuale creando una normativa solida e affidabile.
Il piano d'azione dell'Unione Europea presenta nuovi strumenti per affrontare le violazioni della proprietà intellettuale su scala commerciale. Parliamo, però, di strumenti stragiudiziali ("non legislative") che in particolare includono l'approccio "follow the money", incentrato sulla privazione dei flussi di entrate dei trasgressori.
Il piano d'azione è stato chiesto espressamente dai francesi e dal presidente Hollande, basandosi sul lavoro dell'Osservatorio europeo sulle violazioni alla proprietà intellettuale.
La Francia non ha mai fatto mistero di intendere il cyberspazio come una questione strategica, un motore di crescita economica e un fattore di democrazia e libertà. Mireille Imbert-Quaretta, presidente della Commissione per la Protezione dei Diritti, aveva presentato la sua relazione sulla contraffazione commerciale online, nella quale erano indicate delle specifiche misure.
In quella relazione si chiedeva di rivedere la posizione degli intermediari, imponendo un obbligo di sorveglianza sui contenuti già oggetto di violazioni. Dopo la prima richiesta di rimozione di un contenuto, il titolare non dovrebbe essere costretto a presentare nuove richieste per ogni riproposizione online del medesimo contenuto, ma dovrebbe essere il provider stesso a controllare che quello specifico contenuto non venga reimmesso online, e nel caso rimuoverlo senza ritardi, incorrendo in sanzioni per mancato rispetto dell'ordine in caso contrario. In realtà questo approccio, definito notice and stay down, è stato già vagliato dalla Corte di Giustizia europea che nelle due sentenze Sabam ha sostenuto come la sorveglianza preventiva dei provider è in violazione delle norme comunitarie, ma non lo è se il filtro riguarda un contenuto specifico. Comunque per evitare contrasti con le norme comunitarie, l'ordine di stay down sarebbe limitato nel tempo (6 mesi).
Ancora, nel rapporto MIQ si prevede un tracciamento delle disposizioni giudiziarie (da parte di un'autorità amministrativa), nel senso che un blocco previsto da un tribunale eviterebbe ai titolari di dover richiedere nuovi blocchi su contenuti o siti già in precedenza bloccati ma ricomparsi su nuovi domini. La ricomparsa di un sito mirror, quindi, non sarebbe considerata un nuovo caso da portare dinanzi ad un giudice, ma semplicemente la mancata esecuzione di un vecchio ordine.
Infine, la relazione MIQ raccomanda la creazione di una black list di siti che violano massivamente il diritto d'autore. Il motivo ufficiale sarebbe la necessità di trasparenza nei confronti dei cittadini, ma in realtà tale lista renderebbe impossibile ai provider tecnici di trincerarsi dietro la mancata conoscenza di un ordine di blocco.
Si tratta, quindi, di una serie di strumenti operativi per un approccio più efficace contro la pirateria, coinvolgendo gli intermediari tecnici, ma anche finanziari, nella lotta contro la pirateria e la contraffazione online. I francesi, sulla scorte dei risultati ottenuti con Hadopi, si sono resi conto che occorrono ben altri strumenti per combattere la pirateria, e quindi oggi spingono su tre fronti:
- esercitare pressioni sugli intermediari tecnici al fine di responsabilizzarli;
- delistare i siti di pirateria dagli indici di ricerca;
- tagliare le fonti di reddito dei siti di pirateria agendo sugli intermediari finanziari (inserzionisti, servizi di pagamento online.
Queste sono le linee sulle quali si dovrebbero basare le proposte della Commissione europea. In realtà appaiono fin da subito quali armi spuntate. Le pressioni sugli intermediari tecnici porteranno gli utenti ad abbandonare i siti per utilizzare forme di scambio tramite P2P. Il delisting spingerà i pirati a usufruire di motori di ricerca diversi rispetto a Google, principale se non esclusivo destinatario delle richieste di delisting. Infine le pressioni sui provider di finanziamento porteranno i gestori dei siti di pirateria ad usufruire di forme di finanziamento diverse (tipo i bitcoin), incoraggiando la nascita di economie parallele.
A ben vedere si tratta di richieste che da anni l'industria del copyright porta avanti, per cui siamo di fronte ai primi risultati dell'applicazione del dialogo pubblico-privato più volte auspicato dell'industria. L'obiettivo è la regolamentazione dell'uso di internet attraverso una delegificazione spinta, cioè creando un framework non legislativo all'interno del quale vengono posti i principi generali e le best practices. Il settore pubblico e il privato, quindi, dialogano tra di loro per stabilire quali sono i problemi e porre le linee guida per risolverli. Insomma, stiamo parlando di utilizzare i provider quali sceriffi della rete, e siccome questi sono un po' recalcitranti ad assumere detto ruolo volontariamente, i governi fanno pressioni imponendo delle specifiche responsabilità "secondarie" in caso di mancata rimozione di contenuti.
Tutto ciò non è altro che l'implementazione delle norme contenute nel disegno di legge SOPA (Stop Online Piracy Act) presentato negli Usa. SOPA prevedeva, appunto, la rimozione dell'irresponsabilità degli intermediari delle comunicazioni e l'introduzione di una responsabilità secondaria e la possibilità di imporre obblighi ai fornitori di servizi finanziari. SOPA negli Usa non è stato approvato, ma di fatto le sue norme sono state trasfuse in varie proposte di legge che ormai imperversano anche in Europa.
Al momento l'unica industria che sta realmente approfittando della lotta alla pirateria è quella dei servizi di anonimato, suggerendo che la gente preferisce nascondersi piuttosto che rinunciare a scaricare contenuti. E quindi l'unica mossa realmente valida, probabilmente, è la fornitura di servizi legali a costi convenienti e facili da usufruire. Finora tutto ciò non si è visto, basti considerare le difficoltà dell'acquirente di un servizio di poter usufruire del servizio acquistato su diversi dispositivi e in diversi luoghi. È facile che un ebook acquistato sul tablet poi non si legga sul computer desktop, oppure che la musica non sia ascoltabile in auto.