Nelle scorse settimane abbiamo potuto apprezzare quanto sia importante la rete per la diffusione delle notizie, rete usata dai manifestanti dei paesi africani e mediorientali al fine di coordinarsi e far conoscere la repressione attuata nei loro confronti dai governi dittatoriali, governi che temono questo potente strumento al punto che in alcuni casi, come in Egitto, sono giunti fino a bloccare l’intera rete, anche se per pochi giorni. Pare quindi che oggi non sia più necessario ricorrere alla Cia per far cadere un dittatore, molto più semplice ricorrere alla rete.
Nel contempo il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha in più occasioni ricordato l’importanza di internet, manifestandone il ruolo positivo nella crescita di nuove democrazie, e aggiungendo che gli Stati Uniti sono a favore di un internet libero, esortando i governi degli altri paesi a fare altrettanto, in modo da permettere una crescita della rete che porti maggiori libertà a tutti. Così gli Usa stanno esercitando una moral suasion sull’Iran per impedire l’oscuramento della rete e per spingere nella direzione delle riforme democratiche.
L’obiettivo dell’amministrazione Obama è di stanziare immediatamente 25 milioni di dollari (mentre in Italia si sottraggono soldi per la banda larga!) per promuovere il diritto a connettersi alla rete (right to connect), un modo come affiancare la rete alla diplomazia di Stato, al fine di supportare le proteste che accendono, in questi giorni, varie nazioni.
Secondo il segretario di Stato Usa è evidente che internet ha sostituito le piazze cittadine nel passaparola dell’informazione e nel supportare l’organizzazione della società civile, e ciò dovrà condurre inevitabilmente i governi a fare delle scelte, supportare la rete oppure limitarla. Gli Usa, annuncia la Clinton, hanno scelto di liberalizzare internet, come nuova arma per aiutare i movimenti di opposizione a sollevarsi contro gli oppressori.
Ed ecco, quindi, il progetto “Internet freedom”, e si pensa a finanziamenti per permettere agli utenti di eludere i firewall, per formare operatori per i diritti umani sul web, per ampliare l’uso dei social network, come Facebook e Twitter.
Tutto molto bello, se non ci fossero delle note stonate. Nelle stesse ore il ministero della Giustizia americano portava in tribunale Twitter per ottenere dal social network i dati (mail, conversazioni, indirizzi, conti correnti e carte di credito) degli appartenenti a Wikileaks, in pratica cercava di costringere un sito internet a fornire dati di un oppositore politico, reo di aver pubblicato comunicazioni riservate dell’amministrazione americana, e questo dopo che l’amministrazione Usa ha esercitato pressioni affinché fossero bloccati i fondi al sito di Assange.
Il Congresso americano, inoltre, ha prolungato il regime del Patriot Act voluto da George Bush, che garantisce all’Fbi l’accesso alle informazioni riservate degli utenti americani, e nel contempo studia una norma per poter bloccare l’intera rete a comando, denominata appropriatamente Internet Kill Switch.
Ancora, dal 2008 i rappresentanti dei più influenti paesi nel mondo si riuniscono segretamente per discutere accordi commerciali per la lotta alla contraffazione e alla pirateria informatica, accordi che prendono il nome di Acta (Anti-Counterfeiting Trade Agreement, accordo commerciale anticontraffazione). Gli Usa, ma anche l’Europa, l’Australia, il Canada, la Corea del Sud, il Giappone, il Messico, ed altri Stati, si riuniscono a porte chiuse secretando i lavori con apposita clausola di riservatezza, e solo di recente, dopo una dura presa di posizione dell’Unione Europea, si è potuto accedere al testo degli accordi, così apprendendo che Acta imporrebbe un sistema di monitoraggio globale dell’attività online dei privati, rimessa non all’autorità giudiziaria, ma all’iniziativa dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale, alla ricerca di eventuali violazioni degli interessi dei suddetti titolari.
Il Garante Europeo per la privacy ha preso una netta e dura posizione contro tali accordi, prendendosela con la Commissione europea, la quale siede al tavolo delle trattative per Acta in rappresentanza dell’Unione Europea. In particolare il Garante stigmatizza l’assenza di notizie esaurienti sui lavori, e ricorda che tale trattato deve riguardare solo le attività commerciali, non quelle dei privati cittadini, come invece parrebbe dai testi circolati.
Nei vari testi che girano in rete si legge di possibili provvedimenti di urgenza assumibili in assenza di contraddittorio, sequestro e confisca di materiali illeciti, anche in assenza di condotte commerciali nell’ambito digitale, quindi a prescindere da uno scopo di lucro, e poi di responsabilità sussidiaria di terze parti (i provider) coinvolte in qualche modo nelle violazioni. In breve, l’impostazione di fondo mira a dotare i titolare dei diritti di proprietà intellettuale di strumenti rapidi per impedire violazioni dei loro diritti, con valutazioni sommarie e senza ricorso all’autorità giudiziaria, avendo il potere di ottenere i dati identificativi dell’utente direttamente dal provider.
La cosa interessante è che l’amministrazione Obama parrebbe non intenzionata ad imporre Acta sul territorio Usa, vedendo tali accordi come un punto di riferimento da imporre ai propri partner commerciali nel resto del mondo, compreso ovviamente l’Europa.
E qui pare che la Commissione Europea abbia più sensibilità alle richieste del governo Usa, e in ultima analisi delle major americane, che al rispetto delle libertà dei cittadini europei.
Fermo restando che Acta non è ancora stata approvata, appare ovvio che sia un modo per saltare le procedure legislative nazionali ed imporre dure misure di imposizione sulla proprietà intellettuale attraverso un negoziato internazionale, così evitando un dibattito politico sul punto, in spregio a qualsiasi processo democratico. Un po’ come avviene in Italia, in sostanza, dove il dibattito sul diritto d’autore si realizza tutto all’interno dell’AgCom e non certo in Parlamento come invece dovrebbe essere.
Questo approccio sembra evidenziare una attività lobbistica dietro tali accordi, che è proprio ciò che il sito Wikileaks ha rivelato in alcuni dei suoi cablo, riportando le enormi pressioni da parte dell’industria dell’intrattenimento verso i governi, in special modo dei paesi europei, colpevoli, secondo le major, di essere fin troppo tiepidi nella protezione degli interessi dell’industria dell’intrattenimento.
A questo punto sorge il dubbio di quanto possano essere reali le intenzioni del segretario di Stato Usa. A voler pensare male si potrebbe ritenere, invece, che i finanziamenti per il right to connect, e il supporto ad uno sviluppo della rete nasconda in realtà un interesse del tutto diverso, l’interesse ad imporre un modello di sviluppo della rete secondo le proprie direttive e controllando tale sviluppo, a fini economici ma non solo, così ottenendo la possibilità di strumentalizzare e colonizzare tale mezzo, eventualmente di controllarlo oppure, perché no, spegnerlo a comando.
Internet ha sostituito le piazze, e i governi devono fare una scelta, realizzare una rete libera oppure controllarla, prima che lo facciano altri!