La legge 99 del 2009 (cosiddetto Decreto Sviluppo), entrato in vigore ad agosto, introduce una modifica dell’articolo 473 del codice penale:
“Art. 473. - (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni). - Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.
Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale”.
La novità è data dall’introduzione dell’inciso “potendo conoscere l’esistenza” che di fatto introduce un obbligo di informazione preventiva a carico di chi vuole registrare o usare un marchio.
Se teniamo presente che i nomi a dominio sono equiparati ai marchi secondo l’articolo 22 del codice della proprietà industriale (in realtà il nome a dominio non è un segno distintivo, ma solo il modo per diffondere il segno distintivo), ciò comporta che chi consente la registrazione di un dominio in violazione della proprietà industriale altrui ne potrà rispondere penalmente.
Quindi, anche solo registrare un dominio (o un marchio in genere) uguale o simile (l’articolo 22 del codice della proprietà industriale prevede l’ipotesi di “segno uguale o simile”) ad altro dominio farà sì che il registrante diverrà automaticamente un contraffattore. Si scarica, quindi, sul registrante l’onere di verificare la preesistenza di marchio o dominio uguale o simile, e la circostanza che le banche dati dei marchi e dei domini sono pubbliche comporterà l’impossibilità di potersi giustificare o invocare la buona fede. In ogni caso un registrante dovrà porre in essere lunghe e costose ricerche prima di procedere con la registrazione. E’ ovvio che chi è convinto di poter registrare idee e segni distintivi ma non avrà i soldi per “prevenire” le conseguenze di un errore sulla registrazione o sull'uso del marchio o dominio, molto probabilmente rinuncerà a far valere la propria creatività per evitare guai.
In conclusione chi registra un nome a dominio uguale o simile ad uno già esistente rischia fino a 3 anni di carcere. E quando si parla di segni distintivi non ci si deve limitare a considerare quelli famosi, ma ci si riferisce a tutti i segni, marchi e domini, esistenti nel nostro paese, nonché a tutte le loro modificazioni grafiche.
Ma non basta. Poiché è possibile essere condannati anche per aver agevolato la commissione di un reato, questa norma comporterà di sicuro la revisione delle procedure di registrazione dei domini che attualmente sono basate sulla non responsabilità del registro italiano.
Altra norma di rilievo è quella che prevede la condanna dell’azienda, oltre che dell’autore materiale del reato, nel caso in cui le norme sul diritto d’autore siano violate da parte di un manager nell’interesse dell’azienda. Le nuove norme attribuiscono una responsabilità amministrativa specifica alle aziende, sia pubbliche che private, nel caso in cui i reati siano stati commessi nell'interesse o a vantaggio dell’azienda stessa, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione. Questo comporta che la società potrà essere condannata anche in sede penale, e non solo civile, con sanzioni amministrative fino a circa 775.000 euro, e interdittive, come per esempio la sospensione dell'autorizzazione o il divieto di pubblicizzare i prodotti fino a un anno.
Nel campo aziendale, in realtà, a parte l’uso abusivo di software copiato, è difficile che si realizzino comportamenti come quelli previsti dalla norma. Secondo Guido Scorza questa norma parrebbe più che altro un modo per spaventare le aziende con la comprensibile conseguenza che i datori di lavoro si “affretteranno a restringere sensibilmente la possibilità dei propri dipendenti di utilizzare gli strumenti informatici e telematici aziendali”.