Ogni volta che si parla di diritto d’autore il pensiero corre alla Siae (Società italiana autori ed editori), probabilmente perché in Italia agisce in regime di monopolio. La Siae è un ente pubblico costituito alla fine dell’ottocento, unico preposto a fare da intermediario tra l’autore di un’opera e chi vuole utilizzarla.
In realtà negli ultimi tempi la Siae pare voglia espandere i suoi compiti giungendo ad ispirare leggi in materia di diritto d’autore, e per questo motivo (dato l’ovvio conflitto d’interessi), ma anche per altro, su di essa si sono appuntate critiche e nate polemiche.
Chiedendo alla Siae se ad un giovane autore conviene iscriversi ad essa, si ottiene l’ovvia risposta che tale autore ha tutto l’interesse ad aderire, in quanto solo la Siae può compiere quello sforzo organizzativo tale da rilevare tutti i diversi tipi di utilizzo della sua opera, e così assicurargli una tutela economica.
Ma secondo una ricerca di Altroconsumo la Siae sarebbe in realtà un ente costoso ed inutile, perché, come da ammissione del suo stesso presidente, non riesce a garantire una redistribuzione dei diritti superiore al costo dell’iscrizione a circa il 60% degli autori iscritti. L’iscrizione è di circa 220 euro, oltre il rinnovo annuale di circa 91, per cui facendo i conti si scopre che la redistribuzione degli utili agli autori è veramente bassa. Questo dipende in parte dalle modalità con le quali vengono effettuati i controlli, ed anche dai criteri di redistribuzione, ma anche dalla parte trattenuta dalla medesima Siae, di non poco conto.
Dalla ricerca di Altroconsumo si ricava che la Siae trattiene il 40% del ricavato di balli e concertini, il 9% del ricavato della musica su Cd e il 12% della musica scaricata via download, il 12% anche dalle suonerie, oltre l’equo compenso che viene pagato su una confezione di Cd o Dvd, pari a circa il 50%, equo compenso pagato anche se di quei Cd o Dvd ne facciamo un uso perfettamente lecito, cioè, ad esempio, per registrare i filmini delle vacanze. L’incasso annuale della Siae è di circa 700 milioni di euro (anno 2007), di cui oltre 100 vengono trattenuti dall’ente. Il resto viene ridistribuito agli autori. I costi sono pari a 193 milioni, di cui circa il 75% per il personale.
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In conclusione, secondo quanto si ricava dall’inchiesta di Altroconsumo, la Siae sarebbe utile per chi ha già inciso dischi o comunque ha un contratto con una casa discografica, insomma per i soliti noti, i big. In questo caso si guadagna, anche a distanza di anni. Ma per un giovane autore la cosa non va allo stesso modo, spesso non recupera nemmeno i soldi spesi per l’iscrizione, al punto che converrebbe autoprodursi, o casomai diffondere la propria musica attraverso la rete, anche per farsi maggiore pubblicità. Oltretutto, una volta divenuti soci Siae non si può più curare i propri interessi direttamente, perché la Siae rimane l’unica delegata a farlo. In pratica non si possono nemmeno più mettere i propri brani online per farsi pubblicità.
Secondo il presidente della Siae, invece, l’unica via per la tutela degli artisti è la gestione collettiva, affidata ad un solo ed unico ente, perché altrimenti un produttore dovrebbe fare più contratti a seconda del numero di enti intermediari. Ma, forse, è solo un modo per difendere una attività prettamente commerciale in regime di monopolio.
Comunque, nel caso un giovane autore decidesse di fare in proprio, ci sono moltissimi mezzi alternativi per dimostrare la paternità della propria opera, come depositare l’opera presso un notaio, spedirla a se stessi (fa fede il timbro postale), usare copyzero). Se proprio non si vuole fare da sé è sempre possibile iscriversi ad una società straniera, per i diritti maturati in Italia si appoggiano comunque alla Siae, ma l’iscrizione costa meno e si paga una sola volta.