Libera rete in libero Stato

Si prepara un giro di vite per controllare la rete, ogni evento drammatico diventa il grimaldello per dare alla rete tutte le colpe possibili, per additarla come l’impero del male, per definire “Facebook più pericoloso dei gruppi anni 70” .
Da qui l’intento di procedere alla regolamentazione della rete, non più con un decreto come aveva inizialmente proposto Maroni, bensì con una legge. Quindi, quella stessa rete che ha portato a manifestare pacificamente quasi un milione di persone per il No B Day, al fine di esprimere un dissenso garantito in tutti i paesi democratici, adesso viene additata come l’incubatrice delle peggiori violenze, come lo strumento per creare forme di violenza peggiori rispetto agli anni di piombo.
Siamo, purtroppo, alle solite farse e strumentalizzazioni, alla solita propaganda che dipinge la rete come un far west nel quale regnerebbe l’anarchia o peggio, una rete incontrollabile e non soggetta ad alcuna legge.

In realtà tutto ciò è palesemente falso, se si pensa che la rete non è altro che lo specchio della realtà, i reati si commettono attraverso la rete (e non in rete) come nella realtà, e vengono perseguiti in entrambi i casi. La polizia postale e la magistratura tutti i giorni si adoperano efficacemente per reprimere reati in rete, come fanno anche nella realtà, e le medesime leggi che si applicano alla realtà si applicano, senza ombra di dubbio, anche alla rete.
Come ha ricordato anche Casini, non occorrono nuove leggi, semmai occorrerebbe dare nuovi mezzi ed ulteriori risorse alla magistratura e alla polizia. Le leggi ci sono e si applicano tutti i giorni, il far west non esiste se non nelle menti di coloro che hanno scarsissima dimestichezza della rete.

Come ha fatto rilevare efficacemente Rodotà, quel che è illegale nella realtà lo è anche online, cioè ad internet si applicano “le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell'autorità giudiziaria”.

Sono anni che il potere politico tenta di intervenire sulla rete, con nuove leggi, nuove norme, nuovi mezzi di controllo, ma è interessante notare che la rete è controllata solo negli Stati autoritari o totalitari. Forse gli Stati democratici non hanno sensibilità per la violenza in rete, oppure si sono assuefatti ?
In realtà negli Stati democratici, continua Rodotà, “è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale”. 
Negli USA Obama riceve continue intimidazioni attraverso la rete, ma le autorità si limitano a monitorare la situazione, non certo intervengono imponendo filtri, controlli, o censure di qualche tipo. Questo accade in Cina, semmai! Si vuole forse ridurre l’Italia come la Cina, paese dove la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero è profondamente limitata ?
La rete è uno specchio della realtà, e come nella realtà anche in rete esistono coloro che approfittano di spazi per portare intimidazioni, messaggi di violenza, ma non per questo si chiudono quegli spazi.
Se qualcuno minaccia qualcun altro per telefono, non si invoca la chiusura delle reti telefoniche, oppure un controllo capillare delle stesse, ma si identifica il singolo criminale e lo si persegue.
Se sul muro di una stazione di servizio qualcuno scrive messaggi di odio e violenza, non si chiude quella stazione di servizio. Se qualcuno invia minacce per posta, non si chiude quella filiale delle Poste. Non si comprende perché la rete debba essere trattata diversamente.
Chi commette un reato in rete è perseguibile come se lo avesse commesso nella realtà, e anche l’abolizione dell’anonimato, del quale si parla spesso, è un non senso, perché proprio quell’anonimato consente spesso l’espressione di opinioni del tutto legittime, laddove in caso contrario si potrebbero subire delle ritorsioni. Pensiamo ai tanti dipendenti di aziende che denunciano, in rete, comportamenti illeciti delle medesime. Come potrebbero farlo, se costretti a firmarsi col nome e cognome, rischiando, quindi, il licenziamento ?
Ovviamente se qualcuno commette un reato, il suddetto anonimato non protegge il criminale più di tanto, perché, tranne casi rari, la magistratura può risalire all’autore del crimine. Ma solo alla magistratura è consentito ciò, con le dovute garanzie.

Introducendo dei filtri, ad esempio, all’accesso di vari siti, oppure oscurando dei siti, si porrebbe il problema di decidere chi stabilisce quali siano i siti consentiti, quali le opinioni consentite, insomma: chi deve essere l’arbitro ? Non certamente il potere politico, il governo, in quanto avrebbe la irresistibile tentazione di abusare di questo privilegio, e potrebbe accadere di oscurare siti ed opinioni solo in quanto siano espressione di dissenso politico, e non veri reati.
Ecco perché è necessario che vi sia qualcuno terzo rispetto al potere politico che si occupi di reprimere i reati, la magistratura appunto, per evitare pericolose derive autoritarie.

Appare evidente, quindi, che le proposte di controllo della rete sono un pretesto per ridurre il dissenso politico, per impedire la circolazione delle idee e per reprimere il pensiero minoritario e non ortodosso, per ridurre al silenzio chi “non la pensa” come coloro che stanno al potere, ovviamente al fine di perpetuare quel medesimo potere. Come si può, infatti, sostenere che Facebook sia peggio dei terroristi degli anni ’70, quando Facebook raccoglie 350 milioni di persone di cui circa 10 milioni di italiani ? E’ credibile che 10 milioni di italiani siano accomunabili ai terroristi, oppure partecipino ad iniziative simil-terroristiche ?

Le proposte di filtri e censure alla rete non hanno alcuna efficienza contro i criminali, contro coloro che istigano alla violenza o diffamano, per quelle persone serve una polizia ed una magistratura più efficienti, con più mezzi e più uomini, che possano applicare le leggi che già ci sono.
La rete, invece, deve essere incentivata, deve essere aperta a tutti i cittadini italiani, cosicché tutti possano accedere a sempre più informazioni e possano esprimere, democraticamente, il loro pensiero, il loro consenso al governo o anche il loro pacifico dissenso.
L’Italia purtroppo è uno dei paesi più arretrati, in Europa, per quanto riguarda le strutture di telecomunicazione, l’accesso alla rete, la banda larga, e così perdiamo un’occasione irripetibile per migliorare noi, la nostra democrazia, il nostro futuro. Gli altri paesi sono molto più avanti, e hanno già piani di sviluppo che noi ci sogniamo soltanto, piani per portare la rete al 100% della popolazione, per migliorarle, per incentivarne l’uso. Chi conosce la rete, e la usa, sa bene che buona parte del PIL mondiale ormai si realizza in rete, la rete è uno strumento per creare tantissimi posti di lavoro, e se la censuriamo, se la chiudiamo, se allontaniamo la gente dalla rete, quello che facciamo, in realtà, è impedire lo sviluppo del paese sotto tutti gli aspetti, anche quello economico.

Uno sviluppo della rete, un accesso universale alla rete, una cultura della rete, ci offre gli strumenti culturali per garantire la democraticità della rete stessa. Aprendoci al confronto miglioriamo noi stessi e anche gli altri, chiudendoci, chiudendo la rete, chiudendo le forme di dissenso, non ascoltando ciò che ha da dire “l’altro”, rischiamo di regredire, di fermare lo sviluppo nostro e del paese, e questo, penso sia facile da capire, non è un bene per nessuno. Siamo oramai in un mondo globalizzato, per cui, volenti o nolenti, dobbiamo confrontarci con gli altri paesi.

Quindi, più che misure repressive, alla rete serve ben altro, ed è per questo che alcuni blogger che si sono sempre distinti per le loro attività in rete, hanno organizzato una manifestazione del tutto pacifica per il 23 dicembre a Roma, in piazza del Popolo.

Questo il manifesto dell’iniziativa:

Libera Rete in libero Stato

Internet è una piazza libera. Una sterminata piazza in cui milioni di persone si parlano, si confrontano e crescono.

Internet è libertà: luogo aperto del futuro, della comunicazione orizzontale, della biodiversità culturale e dell’innovazione economica.

Noi non accettiamo che gli spazi di pluralismo e di libertà in Italia siano ristretti anziché allargati.

Non lo accettiamo perché crediamo che in una società libera l’apertura agli altri e alle opinioni di tutti sia un valore assoluto.

Non lo accettiamo perché siamo disposti a pagare per questo valore assoluto anche il prezzo delle opinioni più ripugnanti.

Non lo accettiamo perché un Paese governato da un tycoon della televisione ha più bisogno degli altri del contrappeso di una Rete libera e forte.

Non lo accettiamo perché Internet è un diritto umano.

Libera Rete in libero Stato.

Sono sempre stato uno strenuo sostenitore di Internet e dell’assoluta mancanza di censura”.
(Barack Obama, discorso agli universitari cinesi, Shanghai, 16 novembre 2009)