Il decreto legge n. 138 (cosiddetto Decreto Sviluppo), approvato dal Consiglio dei ministri il 5 maggio scorso e in attesa di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, contiene rilevanti novità in materia di privacy, una delle quali va profondamente ad incidere sul marketing postale. Tra le altre cose, infatti, all’articolo 6, comma 2 numero 6, prevede quanto segue:
“Art. 6
Ulteriori riduzione e semplificazioni degli adempimenti burocratici
…
6) all’articolo 130, comma 3-bis, dopo le parole: “mediante l’impiego del telefono” sono inserite le
seguenti: “e della posta cartacea” e dopo le parole: “l’iscrizione della numerazione della quale è
intestatario” sono inserite le seguenti: “e degli altri dati personali di cui all’articolo 129, comma 1”.
A questo proposito dobbiamo ricordare che l’art. 130 del codice della privacy, come modificato dall’art. 20 bis, legge n. 166 del 20 novembre 2009, prevede che “in deroga a quanto previsto dall'articolo 129, il trattamento dei dati di cui all'articolo 129, comma 1, mediante l'impiego del telefono per le finalità di cui all'articolo 7, comma 4, lettera b), è consentito nei confronti di chi non abbia esercitato il diritto di opposizione, con modalità semplificate e anche in via telematica, mediante l'iscrizione della numerazione della quale è intestatario in un registro pubblico delle opposizioni”.
Chi ha avuto modo di seguire la riforma in materia di telemarketing, della quale abbiamo avuto modo di riferirne più volte, sa che tale riforma ha sostanzialmente modificato la normativa in materia muovendo dal precedente regime dell’opt in a quello attuale dell’opt out. Cioè se prima si presumeva che i cittadini non volessero essere contattati a fini commerciali da telefonate fin quando non avessero espressamente consentito a tali comunicazioni, per cui non occorreva alcuna attività per i cittadini al fine di sottrarsi all’invio di tali comunicazioni, adesso il regime è l’opposto, cioè si presume, per legge, che un cittadino consenta a ricevere comunicazioni commerciali a meno che non compia una attività positiva consistente nell’iscriversi al registro delle opposizioni tenuto dalla Fondazione Ugo Bordoni.
Orbene, con il decreto Sviluppo tale regime è stato esteso anche agli indirizzi postali, per cui gli operatori di marketing diretto potranno utilizzare anche tali indirizzi degli abbonati per inviare loro comunicazioni commerciali, senza alcuna necessità di chiedere il consenso all’invio, almeno fin quando i cittadini non richiedano l’iscrizione del proprio indirizzo postale presso il registro delle opposizioni.
Il governo in questo modo capovolge, anche per gli indirizzi postali, la normativa previgente che, secondo il Garante della privacy, era stata efficace nell’imporre maggiore rispetto per gli utenti da parte delle aziende. Tale normativa, evidentemente, è stata ritenuta troppo penalizzante per le aziende, e quindi si è ribaltato il regime consentendo alle aziende di inviare alle nostre cassette postali tutta la pubblicità che vogliono, almeno finché i cittadini non si iscrivano al registro delle opposizioni.
Il problema è che, come fa notare il presidente dell’autorità Garante per la privacy, il registro delle opposizioni “funziona con difficoltà e viene ampliamente violato dalle aziende”. “Molti utenti ci segnalano di ricevere telefonate pubblicitarie indesiderate anche se hanno negato il consenso”, chiosa Pizzetti.
Ma tale inconveniente dipende proprio dalla pessima, ci permettiamo di dirlo, normativa introdotta, che non impedisce alle aziende di marketing di contattare anche gli utenti che si sono iscritti al registro delle opposizioni, se il loro numero di telefono, e da oggi l’indirizzo postale, sono stati ricavati da altre font,i come potrebbe essere un qualsiasi altro albo pubblico, un contratto di fornitura di servizi, oppure semplicemente un modulo firmato in un supermercato in occasioni di offerte speciali.
A conferma di ciò proprio sul sito del registro si può leggere: “È importante ricordare che il Registro Pubblico delle Opposizioni mette l’Abbonato al riparo dalle chiamate indesiderate degli operatori di telemarketing che utilizzano come fonte dei propri contatti gli elenchi telefonici pubblici. L’iscrizione di un abbonato nel Registro non esclude il trattamento dei suoi dati per finalità di telemarketing da parte dei singoli soggetti che abbiano raccolto i dati – forniti consenzientemente dagli Abbonati – da fonti diverse dagli elenchi telefonici pubblici (per esempio tessere di fidelizzazione, tessere per raccolta punti, promozioni eccetera), purché ciò sia avvenuto nel rispetto della normativa vigente”.
Ciò vuol dire che un cittadino dovrebbe provare a ricordarsi a quale aziende ha fornito, casomai inavvertitamente, il consenso all’invio di pubblicità, e rivolgersi a quella specifica azienda per essere eliminato dal suo elenco, con la speranza che nel frattempo quell’elenco non sia stato ceduto a terzi. E questo perché l’azienda di marketing al momento della telefonata pubblicitaria è tenuta a indicare l’elenco dove è stato preso il numero, ma non è detto che ciò sia sufficiente a capire a chi effettivamente è stato concesso il consenso all’inoltro di telefonate commerciali, soggetto al quale rivolgersi.
Ci sembra quindi che da un lato il cittadino sia abbandonato a se stesso nelle mani dei marketers, dall’altro lo stesso Garante abbia strumenti per la tutela del cittadino decisamente ben poco efficienti. In caso di controversia non potrà fare che ben poco.
E così molti cittadini si sono ritrovati ad essere subissati di telefonate pubblicitarie nonostante siano iscritti al registro delle opposizioni, come del resto molti cittadini che non compaiono nell’elenco telefonico vengono contattati ugualmente, senza potersi difendere efficacemente. È ovvio che in tale caso se si provasse ad iscriversi al registro, il cittadino otterrebbe solo una laconica risposta di questo tipo:
“Non è possibile procedere con l'operazione richiesta in quanto la numerazione non risulta presente negli elenchi pubblici aggiornati: si ricorda che il servizio è riservato agli abbonati che hanno dato il consenso all'inserimento della propria utenza telefonica negli elenchi pubblici”.
A questo punto bisognerebbe prendere atto che tale nuovo regime è un totale fallimento che danneggia i cittadini, ma invece si preferisce estendere questo fallimento anche alla pubblicità postale.
In conclusione sembra davvero paradossale che proprio in questo momento l’Unione Europea decida di chiudere la procedura di infrazione in materia contro l’Italia. In verità bisogna ricordare che la procedura di infrazione era nata proprio in concomitanza con la nuova riforma, che modificava il precedente regime di opt in, più garantista per i cittadini, con quello nuovo dell’opt out. L’Europa consente l’utilizzo dell’opt out, tanto che è applicato in altri paesi come la Gran Bretagna, ma richiede delle specifiche tutele per i cittadini, che in tal caso non sussistevano perché, nonostante fosse previsto per il 2009, il registro delle opposizioni non era mai stato attuato, consentendo ai marketers di fare tutto ciò che volevano nella fase transitoria tra l’introduzione dell’opt out e l’attivazione futura del registro.