Nessun dominio è al sicuro. Gli Usa sequestrano anche quelli europei

operazione Cyber monday-TransatlanticCon un comunicato congiunto del 26 novembre 2012, ICE (Immigration and Customs Enforcement) e Europol annunciano di aver sequestrato 133 (o 132, i due siti portano cifre differenti!) nomi a dominio utilizzati per vendere online merci contraffatte a consumatori ignari.

Nell'ambito dell'operazione denominata Cyber Monday, funzionari federali hanno acquistato sotto copertura delle merci e dei prodotti che sono risultati contraffatti, e nel momento in cui i detentori dei diritti hanno confermato che i prodotti erano illegali è scattato il provvedimento di sequestro per i nomi a dominio.
Niente di nuovo, quindi, considerato i sequestri operati in passato, nell'ambito delle operazioni condotte da ICE, l'ufficio antimmigrazione americano. La prima volta avvenne nel novembre 2011, con l'operazione In Our Sites (IOS), poi di seguito vi sono state le operazioni Broken hearted e Save our children, entrambe configurate nell'ambito di IOS, come anche Cyber Monday.

Gli Usa si arrogano il diritto di sequestrare tutti i nomi a dominio che sono gestiti da ICANN, ritenendoli territorio degli Stati Uniti, quindi sotto giurisdizione americana. Infatti molti gestori di siti di filesharing hanno cambiato il nome a dominio spostandosi su domini non gestiti dall'ICANN al fine di evitare possibili confische.
Con l'operazione in questione, denominata per l'Europa progetto Transatlantic, gli americani hanno però operato sequestri anche per domini non gestiti da ICANN, ma prettamente europei, come i .as .be, .eu, .dk, .fr, .ro, or .uk. (ad esempio sono stati sequestrati i domini: chaussuresfoot.be, chaussurevogue.eu e eshopreplica.eu).
Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione di Europol, che è divenuta membro del Centro IPR http://www.iprcenter.gov/ (Centro dei diritti di proprietà intellettuale Usa), che grazie alle collaborazioni con 21 agenzie protegge la salute pubblica, la sicurezza e l'economia degli Stati Uniti. Insomma, ICE ha voluto chiarire che nessuno nome a dominio è davvero al sicuro!

Dagli scarni comunicati non è dato evincere se i soggetti titolari dei domini sono stati in qualche modo avvertiti, se hanno avuto la possibilità di difendersi dal provvedimento di sequestro, o se semplicemente sono accusati di qualche cosa.
Il dubbio non è peregrino visto che già l'operazione In our sites portò con sé vari casi gestiti in maniera non propriamente esemplare. Ad esempio Rojadirecta, che si vide sequestrato il dominio e mai restituito nonostante l'assoluzione da parte di un tribunale spagnolo dei gestori del sito da accuse di violazione del copyright. E soprattutto Dajaz1.com, sito palesemente lecito il cui dominio fu tenuto sotto sequestro per oltre un anno senza la formalizzazione di accuse nei confronti del gestore del sito, e poi rilasciato senza nemmeno una spiegazione. Solo grazie a EFF si è potuto appurare che il sito è stato tenuto sotto sequestro in attesa delle prove da parte dei titolari dei diritti di violazioni del copyright, prove mai pervenute.
All'epoca si poté quindi appurare che in alcuni casi ICE sequestrava siti senza alcuna palese evidenza di illiceità, ma solo sulla base di mere allegazioni dei titolari dei diritti. E in attesa di ricevere le prove della commissione di eventuali illeciti, dai titolari dei diritti, cioè le parti interessate in causa, il dominio veniva redirezionato visualizzando un banner che avvertiva che il gestore del sito era un criminale. Il titolare del dominio sequestrato, inoltre, non poteva nemmeno difendersi, perché alla richiesta degli atti gli si rispondeva che il disvelamento poteva compromettere le indagini.

Tra l'altro lo stesso comunicato congiunto fa sorgere qualche dubbio nel momento in cui precisa che i federali hanno comprato merci da venditori sospettati di vendere prodotti contraffatti ("counterfeit products"). Poi però aggiunge: "If the copyright holders confirmed that the purchased products were counterfeit or otherwise illegal...", con una certa confusione tra marchi e copyright. In realtà si tratta di due cose diverse (la pirateria non è un furto, ma una violazione del diritto d'autore), che però sono state sempre accomunate fin da quando nel 2010 è nata l'operazione In our sites. Questo perché tenere separate le due cose potrebbe rendere impossibile qualsiasi sequestro. Infatti, la contraffazione o violazione del marchio è insita nel prodotto, mentre invece ciò non accade con la violazione del copyright, che è determinata non dal prodotto ma dall'uso del prodotto. Cioè un prodotto copiato potrebbe essere del tutto lecito perché utilizzato ai sensi della normativa che prevede eccezioni al diritto d'autore (fair use). Per le violazioni del copyright, quindi, occorrerebbe valutare attentamente caso per caso (ed è una valutazione complessa, infatti in genere è demandata a sezioni specializzate della magistratura), laddove non è invece un mistero che l'industria del copyright tali differenze non le tiene in conto, rifiutandosi di valutare l'applicabilità delle eccezioni al copyright.

Il centro IPR non ha mai fatto mistero di voler collaborare con il settore privato, sostenendo che le forze dell'ordine non possono combattere da sole il "furto" della proprietà intellettuale, e in un'economia di mercato è l'industria privata che ha il maggiore incentivo per la protezione dei diritti intellettuali. Da ciò nasce il modo di procedere utilizzato in queste operazioni, in effetti una collaborazione pubblico-privato che vede l'amministrazione pubblica fungere da polizia privata dell'industria, e che purtroppo può portare facilmente ad abusi.
Eppure la strada intrapresa negli Usa, ma anche in Europa, è proprio quella degli accordi tra pubblico e privato
Insomma, le procedure che si volevano introdurre normativamente con ACTA, SOPA, PIPA, vengono applicate a livello amministrativo dagli organi di polizia.