Si moltiplicano gli studi sulla pirateria e, nonostante la maggior parte delle riforme per risolvere il "problema" sia improntata soprattutto ad un inasprimento della repressione (enforcement), l'impressione che si ricava da questi studi è che occorra ben altro.
Abbiamo già parlato dello studio di Robert Hammond, ricercatore dell'università del Nord Carolina, il quale ha incentrato il suo lavoro sull'incidenza della popolarità di un album musicale nelle reti di file sharing sulle vendite del medesimo album, concentrandosi in particolare sulle pre-release (gli album che vengono immessi e condivisi nelle reti di file sharing prima della pubblicazione ufficiale), cioè le "leak" dell'industria che sfuggono grazie a dipendenti o venditori.
Hammond giunge alla conclusione che un artista non deve aspettarsi una riduzione delle vendite a seguito della condivisione della sua musica in rete, precisando anzi che sono proprio gli artisti più popolari e venduti a beneficiare dell'effetto positivo pubblicitario della condivisione illegale in rete.
Quello di American Assembly, affiliato alla Columbia University, è un sondaggio che fornisce una visione delle abitudini di condivisione degli internauti americani e tedeschi. Questo studio rivela che i maggiori acquirenti di musica sarebbero proprio i cosiddetti pirati, che acquistano legalmente circa il 30% in più di musica rispetto a coloro che non scaricano nulla.
Lo studio della Northeastern University di Boston si concentra sulle forme di repressione della pirateria, dalla rimozione del singolo file fino al sequestro dei domini. L'analisi ha riguardato i principali cyberlockers (compreso Megaupload), siti tecnicamente definiti come "one click hoster", giungendo alla conclusione che le attuali misure antipirateria sono inefficaci, in quanto la rimozione di un file, oppure la chiusura di un sito, è un provvedimento solo temporaneo al quale segue velocemente l'immissione di altri file o l'apertura di nuovi siti di condivisione.
Un recente studio si è poi occupato dei download non autorizzati di musica e film in Norvegia. Anche la Norvegia è stata flagellata da una feroce lotta delle lobby del copyright al fine di introdurre nuove normative e misure repressive per le violazioni del copyright, culminata nell'emanazione di una nuova legge che consente il blocco dei siti a livello di Isp. Entrata in vigore il primo luglio 2013, questa legge consente ad ogni titolare dei diritti d'autore di monitorare la rete ed informare l'autorità delle violazioni ai propri diritti. Ci si aspetta, quindi, che nei prossimi mesi tutti i principali siti di condivisione, torrent e altro, siano presi di mira.
Proprio alla luce del quadro nel quale si inserisce appare maggiormente interessante questo recente studio di Ipsos, riguardante la pirateria tra il 2008 e il 2012.
Il lavoro mostra, infatti, che la pirateria di musica, film e spettacoli televisivi è letteralmente crollata dal 2008 al 2012. Nel 2008 riguardava 1,2 miliardi di canzoni, mentre al 2012 la pirateria scende al 17,5% del livello del 2008.
Dal 2008 al 2010 si è avuto un aumento della pirateria per gli spettacoli televisivi e i film, dovuto all'aumento delle banda delle connessione e quindi alla maggiore facilità nello scaricare file molto pesanti, ma anche per questo tipo di file si è avuta, poi, una decisa riduzione della pirateria.
Come si spiegano questi numeri visto che fino a luglio del 2013 solo pochissimi norvegesi sono stati perseguiti per violazioni del copyright? Secondo Olav Torvund, professore di diritto presso l'Università di Oslo ed esperto di diritto d'autore, la spiegazione più ovvia è che negli ultimi 5 anni è aumentata l'offerta legale: "non ci sono scuse per la copia illegale, ma quando si ha un'offerta a basso presso e facile da usare, diventa meno interessante scaricare illegalmente".
La drastica riduzione della pirateria, quindi, sarebbe dovuta alla nascita di servizi legali a basso prezzo e facili da usare, come Spotify e Netflix. Infatti il 47% degli intervistati ha dichiarato di usare Spotify e circa la metà di questi pagano il servizio premium. Il medesimo effetto si è avuto per i film, con una riduzione degli illeciti del 72%.
È chiaramente l'offerta legale che fa la differenza!
Un altro studio è stato commissionato proprio da Spotify, che però ha interesse a promuovere soluzioni di streaming per eliminare la pirateria. Comunque appare ugualmente interessante.
Lo studio si concentra sulla pirateria in Olanda, paragonandola a quella presente in Italia e in Svezia, ed evidenziano come la maggior parte dei pirati in realtà scarica pochissimo in percentuale, mentre una ristretta minoranza (10%) scarica più di 16 file, e quindi prende più della metà dei contenuti illegali.
Il lavoro mostra che il numero di pirati attivi in Olanda è diminuito enormemente, dai 5 milioni del 2008 a 1,8 nel 2012. Anche in questo caso si cita la popolarità di servizi come Spotify (avviato nel 2011 in Olanda) e YouTube per spiegare il calo della pirateria.
Il capitolo quarto dello studio è dedicato all'Italia, dove Spotify è stato lanciato solo a febbraio del 2013, e considera le differenze tra i due paesi: l'Olanda ha un'economia più solida e meno in crisi, l'Olanda ha una maggiore presenza di connessione a banda larga e il mercato digitale è sicuramente più avviato rispetto all'Italia. In merito al nostro paese, dove la pirateria appare più diffusa, l'obiettivo di "uscire dal tunnel" della pirateria potrebbe essere difficile, ma l'utilizzo di servizi legali consentirebbe comunque di ridurla enormemente.
Lo studio si concentra sui ricavi ottenuti dalla vendita di contenuti digitali, evidenziando come in Svezia (dove Spotify è presente da anni) il valore è di 11 dollari pro capite, in Olanda (dove Spotify è stato lanciato nel 2011) è 3,50 pro capite, mentre in Italia è solo 1 dollaro pro capite. Tali valori sono comparati a quelli del 2001 (quando la pirateria digitale era praticamente inesistente): 30 per la Svezia, 23 per l'Olanda e 9 per l'Italia. Questo per rimarcare i potenziali ricavi ottenibili dai servizi legali.
Ovviamente questi sono solo alcuni esempi di studi "non ufficiali", cioè che contraddicono il mantra dell'industria del copyright, per cui non citati dalle major nel momento in cui invocano una maggiore repressione contro la pirateria. I titolari dei diritti sostengono che si tratta di studi parziali e non rilevanti, utilizzando poi altri studi che spesso si presentano non molto indipendenti.
È interessante notare, però, come ogni nuovo studio, indipendente dalle major, confermi la tendenza generale dei vari paesi, e cioè che all'aumentare della offerta legale, quanto più è economicamente abbordabile e semplice fruibilità, tanto più si registra una diminuzione della pirateria. Di contro l'inasprimento della repressione non ottiene uguali risultati.