L'economista Robert Hammond, ricercatore dell'università del Nord Carolina ha pubblicato di recente uno studio in tema di pirateria. Questo studio si differenzia dagli altri pubblicati fino ad oggi, non solo per le conclusioni ma anche per l'oggetto. Infatti si è focalizzato sull'incidenza della popolarità di un album musicale nelle reti di file sharing sulle vendite del medesimo album. In particolare lo studioso ha incentrato il suo studio sulle cosiddette pre-release, cioè quegli album che vengono immessi e condivisi nelle reti di file sharing prima della pubblicazione ufficiale. Si tratta, quindi, delle cosiddette "leak" dell'industria, album che sfuggono grazie a dipendenti dell'industria o venditori che in qualche modo li ricevono prima della vendita.
Come evidenzia lo studioso, quindi questo è il primo studio che si occupa di questa specifica materia nell'ambito della pirateria, e di conseguenza risulta anche uno studio con dati più completi e dettagliati rispetto ad altri. Ad esempio lo studio Blackburn del 2006 (i cui dati sono stati ripresi da analogo studio del 2010) contiene solo dati sulla presenza di file all'interno delle reti di file sharing, non dei download, a differenza dello studio di Hammond.
La domanda alla quale l'economista ha cercato di rispondere con detto studio è semplice: un artista deve aspettarsi una riduzione delle vendite a seguito della condivisione del suo album piratato in rete? Secondo Hammond la risposta è no!
I dati su cui si basa lo studio vengono da un tracker privato (quindi accessibile solo su invito), ovviamente non indicato nello studio data l'illegalità del materiale condiviso, molto fornito ed attivo, al punto che in 4 anni ha prodotto oltre 66 milioni di download.
Lo studio si incentra, quindi, sul numero e le caratteristiche dei download degli album condivisi prima della pubblicazione ufficiale, confrontati con i dati ufficiali di vendita dell'album, cercando di scoprire se e quale sia la correlazione tra detta condivisione e le vendite.
Secondo Hammond esiste una correlazione nel senso che la condivisione di un album ha un effetto positivo sulle vendite, anche se, precisa lo studioso, tale effetto è minore rispetto alle altre attività promozionali (pubblicità, passaggi in radio, ecc...).
Lo studio mostra altresì che l'effetto positivo si evidenzia sopratutto con gli album di artisti famosi (quelli che hanno venduto almeno 2 album), mentre per quelli poco o per niente conosciuti non vi sarebbe quasi alcuna differenza.
Alcuni studi sulla pirateria giungono alla conclusione che il file sharing ha un effetto pubblicitario sugli album musicali, creando una sorta di "anticipazione". La pubblicità sarebbe positiva sopratutto per gli artisti emergenti, quelli che vendono poco, mentre la pirateria in genere danneggerebbe gli artisti più popolari, inficiando le loro vendite.
Lo studio di Hammond, invece, giunge a conclusioni contrarie, stabilendo che sono proprio gli artisti più popolari e venduti a beneficiare dell'effetto positivo pubblicitario della condivisione illegale in rete, e questo specialmente per gli artisti dei settori più venduti, come il pop o il country. Mentre la musica Indie e di nicchia in genere non subisce quasi alcun effetto.
La conclusione non è propriamente nuova, esistono altri studi indipendenti (come quello di Hargreaves) che raggiungono conclusioni simili, cioè che fondamentalmente la pirateria agisce come una sorta di pubblicità. In sostanza la pirateria offre gli stessi benefit di una campagna promozionale. L'effetto descritto nello studio comunque risulta piuttosto moderato, ma è comunque opposto rispetto a quello sempre sostenuto dall'industria del copyright che favoleggia di perdite miliardarie per colpa della pirateria.
In ogni caso si tratta di una analisi unica della pirateria sulle reti di file sharing, decisamente da leggere.