Anche se negli ultimi tempi sono ben altre le notizie che catturano l’attenzione dell’opinione pubblica, un argomento del quale sarebbe bene non dimenticarsi è la bozza di regolamento del diritto d’autore in rete, preparata dall’AgCom su delega contenuta nel decreto Romani.
Relativamente a tale provvedimento, negli ultimi tempi varie notizie apparentemente slegate tra loro si sono accumulate, ma forse occorre leggerle in un quadro più ampio e complessivo.
Dal blog di Fontanarosa e Palestini su Repubblica apprendiamo che il commissario dell’AgCom Nicola D’Angelo è stato rimosso dal suo ruolo di relatore del pacchetto di norme in preparazione dall’Autorità. E che di rimozione vera e propria si sia trattato lo apprendiamo proprio dal commissario, il quale sul blog di Stefano Quintarelli chiarisce: “Non mi sono dimesso. Sono stato sostituito. Chi fa affermazioni in senso opposto dovrebbe citare la fonte così capisco meglio come sono andate le cose. Nicola D'Angelo”.
Quale era la posizione del commissario D’Angelo in relazione al testo sul copyright? Lo possiamo comprendere leggendo le sue parole in un intervista che troviamo sul blog di Daniele Lepido.
Il commissario D’Angelo afferma: “Io so solo che ero relatore di questo provvedimento e che poi ho appreso di non esserlo più. A dire il vero credo però che non sia tanto importante chi sia o non sia il relatore, quanto che si abbia la saggezza di tutelare il diritto d'autore armonizzando questa necessità con i temi della libertà della rete”. Poi precisa quali sono i suoi dubbi sul testo regolamentare: “Sicuramente la chiusura per via amministrativa dei siti. A un'autorità come l'Agcom può sì spettare la vigilanza ma non la regolazione, che invece dovrebbe riferirsi sempre alla giustizia ordinaria. Altrimenti dove sono le garanzie delle parti, dov'è il contraddittorio?”
E poi, in merito alle sue idee in tema di diritto d’autore, chiarisce: “Rivedere l'assetto normativo primario e portare in parlamento la questione”.
Insomma è chiaro che il commissario D’Angelo era preoccupato per i temi della libertà in rete, e quindi era interessato ad un giusto equilibrio tra libertà e rispetto della rete. Il punto che ci permettiamo di sottolineare è quando evidenzia la necessità di portare in Parlamento la questione, ed anche la critica nemmeno troppo velata sulla possibilità che l’AgCom possa comportarsi da sceriffo della rete, arrogandosi l’accertamento degli illeciti che non gli spetta e che dovrebbe, invece, essere proprio dell’autorità giudiziaria, mentre l’AgCom dovrebbe limitarsi alla sola vigilanza.
In merito al primo punto è interessante la risposta all’interpellanza dell’On. Cassinelli e altri 40 deputati sulla delibera AgCom, che possiamo leggere nel blog di Marco Scialdone il quale ritiene che “la normativa in materia di diritto d'autore abbia bisogno di una forte revisione (andrebbe ad esempio ridimensionata la parte relativa alle sanzioni penali) e che il luogo a ciò deputato sia il Parlamento”. Proprio in merito a quel profilo il governo ebbe a sostenere, a mezzo del sottosegretario Giro, che è “il Parlamento stesso la sede più idonea per trovare la soluzione normativa all'annosa questione, dato che il tema centrale è la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali”, laddove ovviamente l’annosa questione è l’esigenza di trovare un equilibrio tra libertà della rete e tutela dei diritti. Ma, si afferma anche che il modello proposto dall’AgCom va esattamente nella direzione seguita dal Governo e dalle iniziative parlamentari, per cui l’AgCom diventa, osserva Scialdone, una sorta di succursale del Parlamento.
È ovvio che quand’anche l’AgCom seguisse pedissequamente le istruzioni del Governo (che non è il Parlamento, comunque), o percorresse la strada delle iniziative parlamentari, mancherebbe il momento imprescindibile per un paese democratico, cioè il dibattito nel Parlamento, dibattito che invece viene sostituito da una consultazione pubblica su un testo elaborato nelle chiuse stanze dell’AgCom.
Come abbiamo già avuto occasione di evidenziare, un dibattito su materie di tale rilevanza, su una normativa in grado di incidere profondamente sui diritti e le libertà dei cittadini, in altri paesi, come la Spagna, si realizza in Parlamento, in Italia stranamente si svolge presso un’autorità amministrativa, in spregio alla trasparenza.
E qui si innesta un’altra notizia che potrebbe anche apparire del tutto slegata dal contesto, se non fosse la coincidenza temporale con la rimozione del commissario D’Angelo da relatore, e le notizie apparse tramite Wikileaks sulle pressioni indebite dell’amministrazione americana presso i governi europei al fine di inasprire la normativa in materia di copyright.
L'Office of the United States Trade Representative, cioè il consigliere commerciale presso la Casa Bianca, ha inserito l’Italia nella black list dei paesi ad alto tasso di pirateria, accanto a Bielorussia, Bolivia, Brasile, Brunei, Finlandia, Grecia, Guatemala, Giamaica, Kuwait, Malaysia, Messico, Norvegia, Perù, Filippine, Romania, Spagna, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan, Vietnam, Colombia, Costarica, Repubblica Dominicana, Ecuador ed Egitto.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che gli USA avevano espresso un forte apprezzamento per la normativa elaborata dall’AgCom, ritenuta (bontà loro!) equilibrata. L’articolo della Stampa che da la notizia non manca di appuntare l’apprezzamento manifestato, nell’incontro con il presidente dell’AgCom, dal presidente della MPAA, l'organizzazione che rappresenta le sette majors del cinema Usa, per il pacchetto AgCom.
Il rapporto dell’Office of the United States Trade Representative in realtà non è altro che la sintesi della posizione in materia espressa dall’International Intellectual Property Alliance (associazione privata che rappresenta l’industria statunitense del copyright), dove sostanzialmente si rileva l’alto tasso di pirateria in Italia e, quindi, la necessità di incoraggiare il governo a produrre piani concreti per la cooperazione degli Isp, compreso l’implementazione della proposta AgCom sulla pirateria online (“Encourage government efforts to produce concrete plans for ISP cooperation and an effective remedies system, including finalizing and implementing the AGCOM proposal for addressing online piracy”), nonché la necessità di eliminare gli ostacoli legali per consentire alle aziende di recuperare gli indirizzi IP degli utenti (“Eliminate legal obstacles for rights holders to gather non-personally identifying IP addresses and, consistent with the European Court of Justice (ECJ) decision in the Promusicae v. Telefonica case, identities of infringers to take appropriate civil actions for the protection of their rights in the online environment”).
Pare abbastanza ovvio che il governo americano faccia proprie le valutazioni dell’industria americana del copyright che si spinge fino al punto di chiedere modifiche legislative in Italia per una maggiore tutele dei diritti d’autore, e per tali fini addita l’Italia come un paese di pirati. Purtroppo l’impressione è che il governo italiano segua a ruota ed assecondi queste istanze degli Usa, quasi fossimo un paese a sovranità limitata.
La legislazione italiana, si legge nel rapporto, non incentiva gli Isp alla cooperazione con i titolari dei diritti e viene correntemente interpretata dai giudici in modo da impedire ai titolari dei diritti di identificare chi viola le norme in materia di copyright (“Italian law currently does not incentivize ISPs to cooperate with rights holders with respect to material transiting their networks (the mere forwarding of infringement notices to potentially infringing subscribers is routinely refused), and has been interpreted by the Data Protection Authority and the courts so as to block rights holders even from identifying infringers for purposes of civil actions”).
Per essere chiari, stiamo parlando di controversie nelle quali la magistratura ha ritenuto prevalente il diritto alla tutela dei dati personali degli utenti, rispetto ai meri interessi economici delle aziende, come nel caso Peppermint o il più recente Telecom contro Fapav. Non è che i giudici hanno detto che è giusto piratare un film, quanto piuttosto che nessun privato, nemmeno se titolare di diritti d’autore, può sostituirsi alla polizia giudiziaria e alla magistratura e svolgere indagini che possono comprimere i diritti dei cittadini.
A questo punto sorge il dubbio se il rapporto di cui sopra, l’inserimento dell’Italia nella black list e l’incontro tra il presidente dell’AgCom e il presidente dell’MPAA abbiano potuto incidere oppure potranno incidere in futuro sulle decisioni relative al pacchetto AgCom.
In ogni caso il commissario D’Angelo è stato sostituito con altro commissario ex direttore della Fieg, e questa circostanza non fa ben sperare. Ed è per questo motivo che sette associazione dei consumatori, Adiconsum, Agorà Digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio, e poi la Femi (Federazione Media Digitali Indipendenti), l’Istituto per le politiche dell’innovazione, e lo Studio Legale Sarzana, hanno deciso di scrivere al Presidente dell’AgCom evidenziando le perplessità relativa alle scelte che si stanno prendendo nell’autorità in materia di diritti fondamentali dei cittadini, in particolare evidenziando la circostanza che tali scelte non avvengono in Parlamento come invece dovrebbe essere, evidenziando il fatto che mentre i rappresentanti dell’industria avrebbero avuto incontri con i membri dell’AgCom analoga opportunità non è stata data ai rappresentanti dei cittadini, e chiedendo quindi che sia adottata la massima trasparenza nelle scelte in tema di diritti fondamentali dei cittadini, e che siano pubblicati tutti gli atti relativi alla vicenda in questione.