Il decreto legislativo 151 del 2005 (la cui entrata in vigore è stata rinviata più volte, adesso al 31 dicembre 2009) attribuisce ai produttori la responsabilità di finanziare e gestire la raccolta e il trattamento dei cosiddetti raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), cioè i rifiuti tecnologici, i quali risultano particolarmente inquinanti. Tali rifiuti, frigoriferi, televisori e simili, rilasciano una notevole quantità di metalli tossici, e per questo con una direttiva del 2002 la Comunità Europea vietava lo smaltimento in discarica. Con il decreto del 2005 l’Italia ha recepito la suddetta direttiva.
Secondo il decreto i prodotti vecchi devono essere smaltiti nelle piazzole ecologiche predisposte dai Comuni, mentre in caso di acquisto di nuovi prodotti, quelli usati devono essere ritirati dai produttori al momento dell’acquisto del nuovo elettrodomestico. Se il negoziante si rifiuta di ritirare l’usato è passibile di denuncia ai sensi dell’art. 16 del decreto legislativo sopra indicato, che prevede una sanzione amministrativa da 140 a 400 euro per ciascuna apparecchiatura non ritirata o ritirata dietro compenso. Le sanzioni però sono al momento sospese, perché i produttori non sono riusciti a mettersi in pari con i tempi previsti dalla legge. Di contro le aziende possono chiedere un eco contributo per far fronte alle maggiori spese dovute allo smaltimento di questi prodotti inquinanti.
Il problema è che allo stato, mancando i decreti attuativi, le aziende possono già usufruire dell’eco contributo raee, ma possono rifiutarsi di ritirare i prodotti in mancanza delle autorizzazioni necessarie per la gestione dei rifiuti tossici, e non devono ancora versare i finanziamenti per la detta gestione.
Quindi, di fatto, sono principalmente i Comuni a farsi carico della gestione dei rifiuti raee, a spese dei cittadini, mentre molte aziende non ritirano (in alcuni casi perché non sono autorizzate a farlo) i prodotti usati, nonostante tale attività dovesse partire a febbraio del 2008, ma in compenso già intascano i soldi come se lo facessero. Attualmente sono state emanate norme che prevedono consorzi di privati che si occupino della gestione dei rifiuti raccolti dai Comuni, cioè il trasporto alle aziende di trattamento e il successivo trattamento.
Inoltre, secondo un’indagine di Greenpeace, i centri di raccolta non sempre rispettano le norme previste.
Come dire, è tutto a carico del cittadino, ma il servizio non è ancora adeguato. Al momento risulterebbero recuperati 17.000 tonnellate di materie prime, ma si può fare molto di più, se solo si promulgassero i decreti attuativi per la legge del 2005.
Quindi, volendo smaltire un vecchio computer, l’unica possibilità è di portarlo alle piazzole ecologiche predisposte dai Comuni, se il Comune le ha predisposte. Ovviamente nei Comuni dove sono presenti, esse sono poche, e quindi l’operazione è abbastanza disagiata per i cittadini. I decreti attuativi, invece, obbligherebbero le aziende produttrici a farsi carico di questo smaltimento, opportunamente finanziate per farlo, ovviamente.
Il ministro che si dovrebbe occupare di promulgare i decreti attuativi è il ministro dell’Ambiente, che ancora non si è attivato in tal senso, nonostante Greenpeace abbia più volte sollecitato il suo intervento.
Anche noi possiamo sollecitare il ministro Prestigiacomo a fare la sua parte, cioè promulgare i decreti attuativi per far partire finalmente il sistema di raccolta dei rifiuti hi-tech, e finalmente adeguare la realtà italiana a quella degli altri paesi.