La riforma della direttiva copyright è ancora in discussione, con i tempi che si dilatano per le numerose critiche che si focalizzano principalmente sull’obbligo di filtraggio dei contenuti, che la riforma sostanzialmente imporrebbe e sul nuovo diritto attribuibile agli editori.
Attualmente il Parlamento europeo discute su un possibile testo di compromesso con riferimento all'obbligo di filtraggio, testo del relatore Voss, che pare addirittura peggiorativo di precedenti proposte (un’analisi si trova sul sito della parlamentare Julia Reda). È interessante notare che il compromesso in questione ripresenta gli obblighi di filtraggio di cui all'articolo 13, mentre nel nuovo governo tedesco, il Partito Democratico Cristiano (il partito di Voss) sarebbe contrario a tali obblighi in quanto ritenuti sproporzionati.
Licenze
Il testo di compromesso prevede l’obbligo di ottenere le licenze per tutti i contenuti da parte delle App e siti web che offrono contenuti immessi dagli utenti. Tali piattaforme sono considerate come se effettuassero una comunicazione al pubblico, per cui finirebbero per essere direttamente responsabili dei contenuti immessi dagli utenti.
Nel caso in cui ottengano le licenze le piattaforme non commerciali sono esentate da responsabilità, ma non le piattaforme commerciali, che risponderebbero comunque dei contenuti degli utenti.
Filtri
Le piattaforme che ospitano contenuti e forniscono accesso a “quantità significative” di contenuti caricati dagli utenti (la proposta iniziale della Commissione recava “grandi quantità”), devono impedire il caricamento di contenuti protetti da copyright che i titolari dei diritti hanno identificato. Ovviamente ciò è possibile solo installando appositi software di filtraggio dei contenuti.
La proposta prevede che le misure di filtraggio non devono comportare alcun trattamento di dati personali (“should not require the identification of individual users”). Questo è l’unica tutela che il testo presenta per i diritti fondamentali dei cittadini. Nella pratica però si presenta problematica, poiché i filtri software inevitabilmente non sono perfetti e c’è il rischio che rimuovano contenuti legali. Per questo motivo gli utenti hanno diritto ad un meccanismo di ricorso (“complaints mechanism for the benefit of users whose content has been affected by the measures”). Cosa che finisce per essere in contrasto con l’obbligo di non trattare dati personali. Se i filtri non trattano dati personali come si fa a stabilire chi è che deve ricorrere per la rimozione di un contenuto?
Il compromesso sostiene che il controllo di tutti i caricamenti degli utenti per stabilire se sono identici all'opera protetta da copyright di un particolare detentore di diritti non costituisce un monitoraggio “generale” ma è “specifico”.
Questo perché la normativa europea vieta il monitoraggio generale (come è stato sancito anche da due sentenze della CGUE), ma lo ammette in casi specifici (Considerando 47 e 48 della direttiva eCommerce). Il considerando 48, in particolare, consente agli Stati di prevede “doveri di diligenza” al fine di individuare e prevenire determinati tipi di attività illegali. E questo è previsto anche nella direttiva IPRED (direttiva 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), che impone agli Stati membri di garantire che i tribunali possano emettere ingiunzioni nei confronti di intermediari per prevenire le infrazioni. Con la proposta di riforma della direttiva copyright, quindi, si tende a valorizzare il Considerando 48, ignorando che l’articolo 15 della direttiva eCommerce è chiara nello stabilire un divieto di controlli generalizzati, come quelli che si vorrebbero prevedere.
Esenzione per servizi cloud
Infine, la proposta di riforma prevede che l’obbligo di filtraggio non dovrebbe applicarsi ai servizi di accesso a Internet, ai marketplace online come eBay, ai repository di ricerca in cui i titolari dei diritti caricano principalmente le proprie opere, come i fornitori di servizi cloud in cui i caricamenti non sono accessibili pubblicamente (es. Dropbox, Google Drive, Microsoft Onedrive). Il testo reca: “which do not give access to the protected contente to the public and are use for private use”, cosa che potrebbe rendere l’esenzione non applicabile ai servizi cloud che consentono di linkare i contenuti esternamente.
Rimarrebbe però l’obbligo di licenza e il rischio di dover rispondere di contenuti illeciti.
Responsabilità degli intermediari
Nessuna modifica, invece, per il regime di responsabilità di cui alla direttiva sul commercio elettronico. Si afferma comunque che qualsiasi piattaforma che usi un algoritmo per ordinare le opere caricate in ordine alfabetico o fornisca una funzione di ricerca dovrebbe essere considerato come provider “attivo” e quindi responsabile delle azioni degli utenti.