Rinviata la class action pubblica

class-action2Il 15 gennaio 2010 è partita, ma solo formalmente, in Italia la class action nei confronti della pubblica amministrazione, strumento adottato dal nostro paese con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 198 del 20 dicembre 2009. Il decreto individua i presupposti per il “ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”, regolandone gli aspetti.
La normativa in questione ha subito varie modifiche, e le più recenti riguardano l’articolo 7 che stabilisce l’entrata in vigore del decreto medesimo. La formulazione originaria prevedeva un’entrata in vigore graduale e diversificata per le diverse tipologie di amministrazioni ed enti pubblici, e per i concessionari dei pubblici servizi. L’attuale norma, invece, invocando la “necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nella carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici”, nonché di “valutare l’impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori”, stabilisce che l’entrata in vigore del decreto, e quindi della class action contro la pubblica amministrazione, è rinviata fino all’emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Tali decreti dovranno essere adottati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro del’economia e delle finanze e di concerto con gli altri Ministri interessati.
Quindi, il decreto è entrato in vigore solo formalmente, e rimarrà inutilizzabile fino alla futura emanazione dei decreti presidenziali suddetti.
Il problema fondamentale, par di capire, sembra essere la difficoltà di prevedere le possibile conseguenze dell’azione riformatrice intrapresa di recente nei confronti delle inefficienze della pubblica amministrazione.


L’azione di classe, quando sarà applicabile, potrà essere promossa solo dai consumatori o utenti, o dalle associazioni o comitati di consumatori. Secondo le norme é considerato consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, mentre associazioni dei consumatori sono “le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti”.
Tali scelte in merito alla legittimazione a promuovere l’azione di classe appare limitativa perché sarà complicato stabilire se la fruizione del servizio da parte di una persona fisica avviene per fini estranei o meno all’attività professionale o commerciale. Inoltre, non si comprende la diversificazione, in quanto l’azione della pubblica amministrazione deve essere conforme al principio di legalità sia che il fruitore sia un mero consumatore, sia esso un professionista.

Vi sono limitazione anche relativamente alla legittimazione passiva, in quanto l’azione di classe può essere indirizzata verso i concessionari di pubblici servizi e le pubbliche amministrazioni, tranne le assemblee legislative (quindi Camera dei deputati, Senato, ma anche i consigli regionali e provinciali), gli altri organi costituzionali (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale), gli organi giurisdizionali (che sono soggetti solo alla legge, come stabilito nella Costituzione), le autorità amministrative indipendenti, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’esclusione di questo ultimo organo appare difficile da comprendere, proprio perché ad esso appartengono dipartimenti che svolgono un ruolo fondamentale nei rapporti con cittadino, come la protezione civile, il dipartimento della funzione pubblica e quello per l’innovazione e le tecnologie.

Il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni può essere presentato in caso di lesione diretta concreta ed attuale degli interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori. Tale lesione deve derivare dalla violazione di termini, dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non avente contenuto normativi da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nella carte di servizi o di standard qualitativi ed economici stabilità dalle autorità preposte al controllo. Questo ultimo aspetto è interessante perché consente di agire contro le amministrazioni o i concessionari di servizi pubblici anche qualora l’azione amministrativa sia conforme alle leggi ma non adeguata agli standard qualitativi o alle carte dei servizi.

L’azione di classe pubblica comporta, ovviamente, una valutazione del giudice amministrativo, che sarà chiamato a sindacare le scelte manageriali od organizzative compiute durante l’azione della pubblica amministrazione, però tenendo conto delle risorse strumentali, finanziarie ed umane concretamente a disposizione delle parti contro le quali si agisce. È facile presupporre che la difesa dei dirigenti sarà generalmente improntata alle carenze di risorse finanziarie e di personale, per cui il giudice adito facilmente potrebbe valutare che la pubblica amministrazione è nell’impossibilità di agire diversamente.
Oltretutto il ricorso non consente di ottenere alcun risarcimento del danno cagionato ai consumatori, per cui al massimo si potrà avere una sentenza che ordinerà alla pubblica amministrazione o al concessionario di porre rimedio alle disfunzioni lamentate entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria. Il tutto si risolverà in una sorta di pungolo verso l’amministrazione pubblica o il concessionario di pubblici servizi, con il costo dell’azione totalmente a carico del cittadino che presenta il ricorso.

Di contro segnaliamo che l’azione di classe verso le imprese è entrata in vigore, sia pure con varie limitazioni. La class action all’italiana è difficile da avviare, perché non può essere promossa dalle associazioni dei consumatori (si ovvia facendola promuovere da un cittadino iscritto ad una associazione), è economicamente rischiosa per chi la promuove, perché in caso di rigetto dovrà pagare non solo le spese del giudizio ma anche i danni “punitivi” all’azienda (mentre l’azienda, in caso di condanna, paga solo il danno relativo al servizio), ed è inapplicabile ai responsabili dei passati scandali finanziari.
Nonostante tali limitazioni alcune associazioni di consumatori già si sono mosse, intentando numerose azioni. Forse proprio la solerzia delle associazioni dei consumatori ha un po’ spaventato il Governo, che ha pensato di “frenare” l’azione di classe pubblica.
Rimane quindi il dubbio che la class action sia più che altro una farsa all’italiana, uno strumento di tutela dei consumatori, come sono ritenuti in Europa i cittadini, invece che un mezzo per tutelare i diritti civili nei confronti della discriminazione. Ancora una volta passa l’idea che i diritti siano monetizzabili, cioè possano essere violati, purché poi se ne risarciscano i danni, ovviamente in maniera inadeguata.