Router e albo degli installatori

RouterIl Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2010 ha approvato un decreto legislativo che prevede l’obbligo di iscrizione ad un apposito albo per gli installatori di router o dispositivi di rete, per cui un semplice cittadino che volesse installarsi da solo il router andrebbe incontro ad una sanzione tra i 5mila e i 150mila euro. Non è uno scherzo, ma l’ennesima liberalizzazione al contrario dell’Italia degli albi e dei monopoli, una notizia scovata da Stefano Quintarelli che ha un sapore decisamente paradossale.

Il decreto in questione è in realtà in attuazione della direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazione, ed in sintesi prevede che “gli utenti delle reti di comunicazione elettronica sono tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che realizzano l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità e ai sensi del comma 2”.

L’articolo 1 comma 1 lettera a), al numero 1) specifica che il decreto riguarda “le apparecchiature allacciate direttamente o indirettamente all’interfaccia di una rete pubblica di telecomunicazioni per trasmettere, trattare o ricevere informazioni; in entrambi i casi di allacciamento, diretto o indiretto, esso può essere realizzato via cavo, fibra ottica o via elettromagnetica; un allacciamento è indiretto se l’apparecchiatura è interposta fra il terminale e l’interfaccia della rete pubblica”.
Quindi, per semplificare l’installazione, l’allacciamento, il collaudo e la manutenzione di tutte le apparecchiature collegate alla rete pubblica, sia direttamente che indirettamente, come un router od uno switch, non potrà essere realizzata direttamente dall’utente, ma dovrà essere affidata ad imprese appositamente abilitate.

La norma precisa inoltre che “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro dello sviluppo economico, adotta, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto volto a disciplinare:
a) la definizione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali che devono possedere le imprese per l’inserimento nell’elenco delle imprese abilitate all'esercizio delle attività di cui al comma 1;
b) le modalità procedurali per il rilascio dell’abilitazione per l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica;
c) le modalità di accertamento e di valutazione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali di cui alla lettera a);
d) le modalità di costituzione, di pubblicazione e di aggiornamento dell’elenco delle imprese abilitate ai sensi della lettera a);
e) le caratteristiche e i contenuti dell’attestazione che l’impresa abilitata rilascia al committente al termine dei lavori;
f) i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1”.

Questo innanzitutto chiarisce che il decreto non dà effettivamente attuazione alla direttiva europea, ma rimanda la sua attuazione al decreto ministeriale che si dovrebbe essere emanato nel corso del prossimo anno. Inoltre, come è facile comprendere, allo stato tutti i comportamenti indicati (installazione, allacciamento, collaudo e manutenzione) si devono ritenere vietati fin quando non saranno specificate le situazione permesse, precisando quali sono i “casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1”. Ovviamente la valutazione sulla facilità dell’installazione che consentirà all’utente di provvedere autonomamente sarà fissata per decreto, ed è facile pensare quanto sia assurda tale impostazione, perché la competenza degli utenti è estremamente variabile.

Quindi, mentre la direttiva europea è stata emanata con lo scopo di liberalizzare un tipo di attività che può portare a limitazioni nella diffusione delle connessioni alla rete, di impedire fenomeni di monopolio di qualunque tipo in questo settore, ed abolire tutti i diritti esclusivi che ancora esistono in relazione all’importazione, all’immissione in commercio, all’allacciamento, all’installazione e alla manutenzione delle apparecchiature terminali delle telecomunicazioni per collegamenti via satellite, inserendo limitazioni solo in relazione ad apparecchiature non certificate e non conformi alle norme (cioè ritenute pericolose), per le quali è possibile impedire l’allacciamento alla rete, la norma italiana di recepimento di fatto stravolge il senso della direttiva realizzando un nuovo mercato chiuso, con tanto di albo degli installatori, impedendo di fatto l’installazione e l’allacciamento (cioè il collegamento alla presa) di apparecchiature del tipo indicato nel decreto a tutti. Pertanto, mentre la direttiva europea mira ad una liberalizzazione e ad aumentare la concorrenza del settore, il decreto legislativo sembra avere esattamente l’effetto opposto.

È pacifico che le aziende che necessitano di infrastrutture di un certo livello già si servono di aziende certificate con installatori qualificati, ma imporre un obbligo di tale tipo anche all’utente privato che compra un router per fini puramente personali, sembra veramente un eccesso che porterà soltanto ad aumentare i costi e quindi a disincentivare la connessione alla rete internet. Di fatto con tale decreto le aziende saranno obbligate a mandare un installatore a casa per l’allacciamento, e non sarà più possibile, come spesso accade oggi, comprare il router e allacciarlo alla rete (cioè inserire lo spinotto nella presa del telefono) personalmente, con ovvio aumento di costi e delle attese (per l’invio dei tecnici) per la connessione alla rete.

E non dovrebbe valere la considerazione che il decreto si riferisce alla “rete pubblica”, per cui essendo la rete Telecom (come quella degli altri gestori) privata, l’allacciamento a tale rete non comporterebbe l’obbligo di servirsi di installatori autorizzati.
Infatti, la norma parla di allacciamenti diretti od indiretti alla rete pubblica di telecomunicazioni, per cui anche la presenza di apparecchiature o reti frapposte tra il router e la rete pubblica comporta l’obbligo di servirsi di tecnici specializzati. Inoltre, gli operatori di telecomunicazione, pur essendo soggetti giuridicamente privati (e quindi anche le loro reti di fibra sono private), gestiscono comunque una rete pubblica di telecomunicazioni, come precisato all’articolo 1 comma 1 lettera i) del D.P.R. 318/97 (Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni) dove si chiarisce che per rete pubblica di telecomunicazioni si intende “una rete di telecomunicazioni utilizzata, in tutto o in parte, per fornire servizi di telecomunicazioni accessibili al pubblico”, per cui la sua “pubblicità” è dettata dall’uso pubblico e non dalla proprietà della rete, che è appunto privata.

Come giustamente chiosa Quintarelli, le leggi dovrebbero dire cosa è vietato, non invece precisare cosa è permesso impedendo di fatto tutto ciò che la legge non predetermina. Questo è un modo sbagliato di legiferare, perché ovviamente accadrà che sarà vietato l’allacciamento di apparecchiature di nuovo tipo immesse nel mercato, fintanto ché il legislatore non si renda conto, semmai lo farà, che tale restrizione non è in quel caso necessaria e quindi “liberalizzi” l’attività di connessione alla rete di quella particolare apparecchiatura, e le inserisca nell’elenco delle cose permesse.
Insomma, i nostri router devono essere installati e gestiti da “esperti” iscritti ad un albo, chissà, forse il nostro legislatore ritiene che siano pericolosi come le caldaie!