Sabam vs Scarlet: l’Europa bacchetta i fondamentalisti del copyright

Scarlet vs SabamCon la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia europea del 24 novembre 2011, si avvia alla conclusione una vicenda che avrà importanti implicazioni sull’intera Europa. Stiamo parlando dell’azione legale intentata dalla Sabam, l’equivalente Siae in Belgio, nei confronti del provider Scarlet. Il caso scoppiò nel 2004, quando la Sabam sporse denuncia chiedendo al tribunale di imporre al provider belga un sistema di filtraggio dei contenuti per impedire lo scambio delle opere musicali protette dal diritto d’autore sulle reti P2P. Nel corso del primo grado del giudizio fu presentata una perizia che attestava come un filtraggio fosse possibile ed altamente efficiente, in quanto già utilizzato da altri provider, nello specifico Verizon negli Usa che, a detta dei periti, adottava un software denominato Audible Magic. Detta perizia fu contestata dal provider belga in quanto ritenuta eccessivamente ottimista sulla possibilità di realizzare controlli del tipo richiesto. 

Il tribunale di Bruxelles nel 2007 pervenne alla condanna del provider Scarlet, imponendo così i filtri richiesti per impedire agli utenti di scaricare il repertorio musicale Sabam ed affibbiando a Scarlet una multa di 2.500 euro al giorno in caso di inottemperanza all’ordine. Scarlet ha provato anche a conformarsi all’ordine del giudice, senza alcun successo, per cui ha impugnato la decisione sostenendo che un filtraggio del tipo richiesto è tecnicamente impossibile, così attaccando la Sabam che aveva convinto il giudice di primo grado sul punto.
In realtà il provider Verizon ha negato qualsiasi implementazione del software Audible Magic sulla propria rete. Dopo numerosi tentativi Scarlet ha trovato che una soluzione di filtraggio del tipo in questione è tecnicamente (dal punto di vista tecnico il sistema di monitoraggio viene saltato semplicemente cifrando con password i file e allegando la password) inefficace (l’efficacia si fermerebbe al 70% con un del 30% di errore) su sistemi decentrati come quelli P2P (mentre è adottabile su sistemi centralizzati, come in effetti accade in YouTube).
Scartato l’uso di Audible Magic per inefficacia, Scarlet ha ovviamente rifiutato soluzioni che determinassero il blocco dell’intero traffico P2P (compreso Skype), in quanto avrebbero interessato file del tutto leciti.
A quel punto il giudice ha eliminato la multa imposta a Scarlet, che aveva raggiunto la cifra di 750.000 euro, e la Sabam si è anche dovuta scusare col giudice per aver fornito informazioni non veritiere. La Corte di Appello ha, però, preferito chiedere un parere alla Corte di Giustizia europea sulla compatibilità con le normative europee di una ingiunzione di un giudice nazionale rivolta ad un access provider per predisporre filtri preventivi per le comunicazioni elettroniche.

Nel mese di aprile 2011 ha fatto scalpore il parere dell’avvocato generale della Corte di Giustizia, il quale ebbe a sostenere che l’implementazione dei filtri richiesti dalla Sabam si presenta come una limitazione ai diritti previsti dalla Carta di Nizza, in particolare il diritto della segretezza delle comunicazioni (art. 7) e al diritto alla protezione dei dati personali (art. 8), in quanto implica il monitoraggio di tutto il traffico per riconoscere i file illeciti da quelli leciti, nonché alla libertà di informazione (art. 11).
Per questi motivo l’avvocato generale chiese alla Corte di dichiarare incompatibili con l’ordinamento europeo i provvedimenti ordinati dal tribunale di Bruxelles.
L’avvocato generale ha sostenuto che, così come prevede l’art. 52 della Carta di Nizza, le limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini debbono essere previste per legge, devono rispettare i contenuti essenziale dei diritti e delle libertà fondamentali ed il principio di proporzionalità, devono altresì rispettare l’interesse generale ed essere opportunamente bilanciate con gli opposti interessi in gioco.
Nel caso specifico, concludeva il suddetto parere, tutto ciò non si riscontrava nel Belgio.

Dopo 7 anni il procedimento vede un punto fermo importantissimo nella pronuncia del 24 novembre 2011 da parte della Corte di Giustizia europea (proc. C-70/10) che, recependo il parere dell’avvocato generale, ha ritenuto illegale il filtraggio imposto ad un provider senza la supervisione del legislatore nazionale.

Secondo la Corte europea è in contrasto col diritto comunitario, ed in particolare con la direttiva europea ecommerce, un provvedimento giudiziario che ordini ad un fornitore di accesso ad internet di predisporre, a sue spese, un servizio di filtraggio preventivo, illimitato nel tempo, di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi server (in particolare mediante l’impiego di software P2P) al fine di individuare e bloccare eventuali file piratati.
Inoltre, continua la Corte, tale ingiunzione può pregiudicare la libertà di manifestazione del pensiero e di informazione, poiché i filtri potrebbero non adeguatamente distinguere tra contenuti legali ed illegali. La Corte rimarca che la legittimità dei contenuti online dipende molto anche dall’applicazione delle eccezioni legali al diritto d’autore (fair use, ecc…), che differiscono da Stato a Stato. E, infine, non si desume da alcuna norma dell’ordinamento europeo che il diritto d’autore (anch’esso tutelato dalla Carta di Nizza) possa ritenersi un diritto intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto.

 
Quindi, la Corte con la detta sentenza ha stabilito che il copyright non ha un rango superiore rispetto ai diritti fondamentali del cittadino europeo previsti nella Carta di Nizza, per cui ogni limitazione a tali diritti non può essere attuata a mezzo di una ingiunzione di un tribunale, ma necessita di una legge di copertura che tenga conto dei diritti di medesimo rango, o di rango superiore, e contemperi e bilanci adeguatamente tutti diritti in gioco. Inoltre, le norme nazionali, che eventualmente prevedano la possibilità di imporre limitazioni ai provider, devono tenere conto della direttiva ecommerce che vieta l’imposizione ai medesimi prestatori di servizi online di filtraggi o controlli generalizzati sui contenuti immessi dagli utenti.
In tal senso, conclude la Corte, poiché l’ingiunzione rivolta dal tribunale di Bruxelles nei confronti di Scarlet impone proprio un filtraggio generalizzato ed indiscriminato, e quindi un monitoraggio attivo di tutti i dati che transitano per i suoi server, e quindi il giudice nazionale non rispetta l’obbligo di equo contemperamento tra i diritti di proprietà intellettuale e il diritto alla protezione dei dati personali e quello di libertà di informazione, tale provvedimento deve ritenersi incompatibile con la normativa europea e quindi illegittimo.
Un monitoraggio di questo tipo, aggiunge la Corte, sarebbe attuato anche in violazione della libertà di impresa del provider, in quanto imporrebbe a Scarlet di attuare un sistema complesso e costoso di monitoraggio, laddove tutte le spese del sistema sarebbero a suo carico.

Bisogna chiarire che la Corte non ha vietato in assoluto le misure per impedire la pirateria online, ma richiede che le ingiunzioni abbiano una copertura legislativa e che la legge nazionale che le prevede deve contemperare equamente i diritti in gioco. In particolare il filtraggio è illegale se c’è il rischio di un blocco anche di contenuti legali.
Inoltre, la Corte pone l’accento sulla diversità delle legislazioni nazionali che prevedono varie eccezioni al diritto d’autore, così richiamando l’attenzione sul fatto che qualsiasi filtro che privi un cittadino della possibilità di fruire di tali eccezioni deve ritenersi sproporzionato, e quindi illecito.
Pare una evidente risposta a tutti i tentativi, da parte dell’industria dei titolari dei diritti, di procedere al blocco indiscriminato di siti che anche solo in parte sono utilizzati per favorire la pirateria. Anche la cosiddetta Deep Packet Inspection si scontrerebbe con i dettami della Corte, proprio perché non consentirebbe di analizzare l’eventuale applicazione di eccezioni al diritto d’autore, e nel contempo la conseguente identificazione indiscriminata degli Ip sarebbe in violazione dei diritti degli utenti.

Tirando le fila degli ultimi provvedimenti dell’Unione europea, possiamo dire che la sentenza in questione era largamente attesa. Ricordiamo, infatti, che il Parlamento europeo ha già detto che i filtri antipirateria non sono strumenti appropriati, e che le leggi come la Hadopi (three strikes) devono ritenersi troppo rigide in quanto limitano eccessivamente i diritti degli internauti.
Infine pochi giorni fa abbiamo avuto le dichiarazioni del commissario europeo all’Agenda Digitale, Neelie Kroes, il quale ha sostenuto che il copyright non deve essere più un’ossessione, e che occorre svecchiare regole, equilibri ed attori. Forse è davvero arrivato il momento che i fondamentalisti del copyright ne prendano atto, sia in Europa, ma anche in Italia dove, nelle chiuse stanze dell’AgCom, ancora ci si ostina a portare avanti una delibera che si troverebbe sicuramente in contrasto con la sentenza della Corte di Giustizia europea.