Alcune case software da qualche tempo a questa parte stanno rivoluzionando il loro modo di "vendere" i loro prodotti. Una volta il software si vendeva con licenza perpetua, adesso non più. Già i classici programmi musicali, come Spotify e Deeezer, adottano la diversa soluzione dell'affitto mensile del servizio. Di recente anche altri prodotti, precedentemente venduti nel modo tradizionale, stanno adottando la medesima soluzione. Parliamo di Adobe, con Adobe Creative Cloud, ma anche prodotti di altre aziende, tipo Microsoft, hanno adottato la soluzione del software in affitto a tempo determinato.
Non si acquista più un prodotto, o una licenza del prodotto, bensì si paga il servizio. Con Spotify, ad esempio, non si acquistano le canzoni bensì la possibilità di ascoltarle. Ovviamente alla cessazione del periodo di noleggio del servizio, se non rinnovato, cessa il diritto di utilizzarlo, e quindi di ascoltare le canzoni.
La traslazione verso questo nuovo modo di "vendere" software può dipendere da vari fattori, come esigenze di flessibilità, oppure risparmio.
Quello che ci interessa non è, però, il problema tecnico quanto piuttosto evidenziare la differenza. Nel caso di un prodotto, pensiamo ad un libro, l'acquirente acquista il prodotto fisico per il quale vale il principio di esaurimento, o di prima vendita. Ciò vuol dire che nel momento in cui il prodotto viene venduto legittimamente, si esaurisce il diritto del titolare a controllare il prodotto medesimo, il quale potrà, quindi, essere ceduto, prestato, noleggiato o venduto dall'acquirente senza bisogno di ulteriori autorizzazioni.
Le case produttrici di software hanno, invece, sempre sostenuto che i programmi per elaboratore non fossero assimilabili ai prodotti fisici, ma dovessero essere considerati "servizi". E poiché le normative internazionali non prevedono l'esaurimento del diritto per i servizi, la conseguenza era che il software inteso come "servizio" non fosse rivendibile o comunque cedibile da parte del legittimo acquirente.
Questo fino a quando sono intervenute alcune sentenze, in particolare una del 2009 di un giudice americano e la sentenza del 3 luglio 2012 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che hanno chiarito come anche la cessione di un software deve essere intesa come "vendita" vera e propria. La Corte europea ha precisato che la distribuzione di un software implica il trasferimento di un diritto del tutto analogo a quello di proprietà della singola copia. La conseguenza è ovvia: anche la cessione di un software implica l'esaurimento del diritto, così legittimando il mercato del software di usato, che invece sarebbe del tutto illegittimo se un software fosse inteso come "servizio".
Della sentenza suddetta ne abbiamo già parlato, evidenziando quanto segue:
"La Corte precisa che si è in presenza di una vendita se si ottiene il diritto di utilizzare la copia "senza limitazioni di durata". È ovvio che la prossima mossa delle aziende sarà di realizzare licenze con durata temporale limitata.
Inoltre la Corte ha distinto tra servizio online e offerta di software online tramite download. Anche qui, è facile immaginare che la prossima mossa dei produttori sarà di fornire software solo tramite servizio (e non più download). Del resto ci siamo già incamminati da tempo in questa direzione, con il software in cloud".
Detto, fatto. Ormai è da tempo che le case produttrici di software offrono i loro prodotti in cloud, e adesso vediamo i primi software con licenza con durata limitata. Poi se si tratta di scelte dovute a marketing, a questioni tecniche, oppure semplicemente per "aggirare" la sentenza della Corte europea e impedire al consumatore di "rivendere" il prodotto acquistato, è un altro discorso.