Traffico di influenza e lotta alla corruzione

corruzioneEsiste una convenzione europea che attende da 11 anni di essere ratificata dall’Italia, ed è la convenzione internazionale europea anticorruzione, firmata dall’Italia nel 1999.
Il ritardo nel recepimento di tale normativa è inspiegabile, visto che sarebbe la panacea per combattere la corruzione, invece delle tante norme anticorruzione sbandierate ma sostanzialmente inutili. Tale convenzione, infatti, combatte il cosiddetto “traffico di influenza” (trading in influence), cioè, per essere chiari, punisce il comportamento di chi prende elargizioni (tangenti) per far ottenere a chi versa i soldi favori da un pubblico ufficiale, in sostanza funge da intermediario. Questo tipo di comportamento è punito in tutto il mondo, in particolare in Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Finlandia, Svezia, Norvegia e persino dal Portogallo e dalla Grecia, ma non in Italia.


Se la tangentopoli degli anni ’90 era caratterizzata dalla tangente che passava nella tasche del politico di turno, oggi tutto ciò non accade più, i soldi seguono strade più nascoste e passano nelle mani di intermediari, per cui il politico, che concede l’appalto, quasi mai riceve dazioni dirette, con l’ovvia difficoltà di ricondurre quella somma al tale appalto o favore. Insomma, chi firma l’atto contrario ai doveri d’ufficio non prende i soldi, chi prende i soldi non firma nulla. Oltretutto accade sempre più spesso che il politico venga ripagato non con soldi, ma con favori, una casa, un posto per un parente, un favore sessuale…
Da situazioni del genere nasce la direttiva europea che recepisce le convenzioni di Strasburgo del 1999 e di Merida del 2003. La normativa internazione punisce il traffico di influenze illecite, con pene fino a 6 anni per “chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale... ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale”.

La normativa europea si adegua, quindi, alle nuove forme di illecito commesse nell’ambito dei rapporti tra pubblico e privato, punendo anche l’intermediario privato. Tale norma venne auspicata anche dalla Cassazione che, in una sentenza del 2006, assolveva il giudice Squillante (caso Imi-Sir) solo perché “il caso in esame è inquadrarle nel ‘traffico di influenza’, di cui parlano la Convenzione penale europea del 1999 sulla corruzione non ancora ratificata nel nostro ordinamento”. Il giudice in questione non era coinvolto direttamente nella vicenda giudiziaria, ma era accusato di aver preso soldi per avvicinare un giudice civile, realizzando un pessimo affare per lo Stato, ma un notevole favore per dei privati.
Per fare un esempio tra tanti possibili, se un politico prende soldi oggi per concedere un favore tra 10 anni, questo comportamento adesso è difficilmente punibile, mentre lo sarebbe con la norma europea.

Lo stesso discorso vale per il reato di “corruzione tra privati” che, aggiunto al “traffico di influenza”, caratterizza il sistema che negli ultimi mesi sta emergendo dalle inchieste sugli appalti, e che le intercettazioni stanno portando a galla. Non dimentichiamo che, secondo i dati della Corte dei Conti, la corruzione in Italia costa 60 miliardi di euro l’anno, praticamente come due finanziarie.

Altra riforma veramente utile per combattere, seriamente, la corruzione, sarebbe l’introduzione del reato di auto riciclaggio, sollecitato anche dal ministro Tremonti nel 2008, che punisce colui il quale reimpiega i soldi frutto di un reato che ha commesso. Tale reato fu reclamato nel 2005 dal Fondo Monetario Internazionale, richiesto dal Governatore della Banca d’Italia nel 2008, ed invocato da due Procuratori nazionali antimafia. È un reato presente negli ordinamenti di molti stati, tra cui gli Usa, la Svizzera e la Francia, ma non in Italia, per cui il reimpiego dei soldi frutto di tangenti o di evasione fiscale continua a non essere reato, e nemmeno si prevede nel disegno anticorruzione del ministro della Giustizia.
Per la corruzione ci sarebbe molto da fare, ma evidentemente adesso interessa di più limitare le intercettazioni, cioè quello strumento giudiziario che, appunto, ha portato a galla il sistema di corruzione italiano.