In un periodo dove la delegificazione o comunque l'affidamento di funzioni paragiurisdizionali o addirittura legislative ai privati (le grandi aziende) sembra la strada intrapresa un po' da tutte le Nazioni, conviene osservare come funzionano le cose negli USA, un paese che è generalmente sempre molto avanti in situazioni del genere.
Abbiamo già parlato del dominio Dajaz1.com confiscato nel novembre 2010 nel corso di Operation in our sites condotta dal Dipartimento di Giustizia USA insieme all'anti-immigrazione (ICE) al fine di chiudere direttamente (e non tramite le autorità di residenza dei siti) i siti stranieri che diffondono materiale piratato in danno delle industrie americane. La legge COICA consente appunto al Dipartimento USA di emanare provvedimenti cautelari nei confronti di siti "dediti alla pirateria", sulla base della richiesta da parte dei titolari dei contenuti.
Nel corso dell'operazione furono sequestrati un altro centinaio di domini, come anche durante operazioni similari, ad esempio quella denominata Broken Hearted, messa in atto per proteggere i consumatori americani da prodotti contraffatti, e l'operazione Save our children contro i contenuti pedopornografici. In quest'ultima operazione ICE per chiudere un sito decise di chiudere il dominio gerarchicamente superiore e in tal modo chiuse per sbaglio (!) circa 84.000 siti che non avevano nulla a che fare con la pedopornografia. Danni collaterali!
Comunque, la caratteristica di tutte queste operazioni è stata la totale assenza di avvisi ai gestori dei domini posti sotto sequestro, i quali si trovarono i loro siti chiusi senza nemmeno sapere il perché, a parte quello che era scritto nel banner di ICE. Proprio per questo motivo furono espressi forti dubbi sulla legittimità dell'intera operazione.
Soffermiamoci però sul destino di Dajaz1, uno dei blog più popolari e seguiti di musica hip hop, perché Dajaz1 risultava pacificamente lecito, poiché le canzoni in esso contenute erano state concesse direttamente dagli autori. Infatti nel dicembre del 2011 il dominio è stato rilasciato. Quindi per circa un anno non è stato compiuto alcun atto in relazione alla posizione di Dajaz1 e dei suoi titolari. Vi era solo una bella pagina a pieno schermo che accusava il titolare del dominio di essere un criminale, e il dominio redirezionava altrove.
Ebbene, adesso finalmente sono disponibili gli atti del procedimento, grazie all'interessamento di Electronic Frontier Foundation e di Wired, dai quali si può evincere il motivo di tanto ritardo. Secondo le allegazioni, infatti, dopo che il dominio era stato sequestrato il Dipartimento USA ha ottenuto ben tre proroghe rimandando la decisione, e questo perché per lungo tempo è rimasto in attesa di una risposta da parte dei titolari dei diritti e delle associazioni di categoria, RIAA e MPAA. Pare ovvio ritenere che le domande alle quali i titolari dei diritti dovessero rispondere fossero relative alle evidenze di illeciti!
Le associazioni di categoria non hanno mai ritenuto di rispondere al Governo americano.
Dalla vicenda come si può leggere negli atti appare piuttosto evidente che il Governo americano di fatto si è comportato come la polizia privata dell'industria del copyright (ma a spese del contribuente) andando a sequestrare dei siti stranieri senza alcuna evidenza palese di illiceità, solo sulla base di mere allegazioni dei titolari dei diritti, e di contro i titolari, appena ottenuto il sequestro dei 130 siti (a tutt'oggi i siti sequestrati in tal modo dovrebbero essere oltre 750) non hanno ritenuto loro dovere nemmeno portare delle prove relativamente alla illiceità dei contenuti del sito. Di contro il titolare di Dajaz1 non è stato avvisato prima del sequestro, non è stato sentito, e per lungo tempo non ha avuto nemmeno accesso agli atti perché, come risulta dagli atti, il disvelamento degli atti avrebbero potuto compromettere l'indagine in corso!
Appaiono evidenti le storture dell'intera procedura e gli abusi perpetrati, laddove un Governo dovrebbe determinare prima di operare un sequestro se esistono almeno degli indizi in merito a contenuti illeciti, invece di fidarsi delle dichiarazioni delle aziende private, e in ogni caso risultando evidente l'errore avrebbe dovuto agire il più velocemente possibile per rimediare al danno fatto, invece di far passare oltre un anno, attendendo i "comodi" dell'industria del copyright.
Quel che rimane è una importante indagine criminale che si trasforma in una bolla di sapone e addirittura in un boomerang contro le istituzioni americane che sicuramente accuseranno il colpo.
Una situazione del genere chiarisce, semmai ce ne fosse bisogno, che un semplice controllo giurisdizionale non è sufficiente, ma occorre che per tale materia si abbia un processo vero e proprio con tutte le garanzie possibili per gli accusati, il diritto di ricevere comunicazione delle accuse, il diritto di rispondere compiutamente alle accuse rivolte e il diritto di avere un equo processo con contraddittorio pieno.
Consentire alle parti private, le grandi aziende, di ingerirsi in tali procedure porta inevitabilmente ad abusi, eppure la strada intrapresi è proprio quella degli accordi tra pubblico e privato, delle valutazioni sulla illiceità dei contenuti demandata esclusivamente all'industria del copyright e così via...