Videogiochi ed altri media: sì degli USA per i giochi violenti ai minori

Videogiochi violentiLa Corte Suprema degli Stati Uniti con una interessante sentenza ha bocciato, a maggioranza dei suoi membri (7 a 2), un decreto californiano del 2005 che vietava la vendita ai minori di anni 18 di videogiochi nei quali “le possibilità per un giocatore comprendono l’uccisione, la mutilazione, lo smembramento e lo stupro di una immagine di un essere umano”. Secondo la Corte una norma del genere è in contrasto col primo emendamento della Costituzione Usa, quello sulla libertà di parola (Free Speech), principio fondamentale che non cambia al mutare del mezzo di espressione utilizzato.

La vicenda nasce da lontano, precisamente dal 1999, epoca del massacro alla Columbine High School che, si disse, era una imitazione del videogioco Doom da parte degli autori della strage. I genitori e i politici si posero il problema se i videogiochi violenti fossero in grado di influenzare negativamente i minori, l’idea era che il videogame finisse per desensibilizzare il ragazzo abituandolo alla violenza, finendo egli per confondere realtà e fantasia.
Strano comunque che nessuno si sia posto il problema che è fin troppo facile negli Usa trovare un’arma da fuoco con la quale fare una strage!
In ogni caso nel 2005 un senatore della California propose una legge che rendesse illegale la vendita di giochi violenti ai minori di 18 anni. Verso questa legge fu presentata una inibitoria nel 2007, vari tribunali la bocciarono, e il 27 giugno 2011 su di essa si è espressa la Corte Suprema, nel senso sopra riportato.

Nella sentenza prevale l’opinione del giudice Scalia, ritenuto conservatore e tradizionalista, alla quale si sono uniti altri sei giudici, due i dissenzienti.
La Corte premette che anche i videogiochi, come del resto i libri, i film, ecc…, rientrano nella protezione del primo emendamento sulla libertà di espressione (Free speech), che ha il precipuo compito di proteggere i discorsi e le opinioni su tutto ciò che è di interesse pubblico. Però, continua la Corte, è difficile distinguere la politica dall’intrattenimento, anzi è anche pericoloso provare a realizzare tale distinzione, ecco perché anche i videogiochi, che comunque comunicano idee e messaggi sociali, devono avere tale protezione, in quanto i principi basilari della libertà di espressione non possono mutare se cambia il mezzo utilizzato per esprimersi.
La Corte precisa altresì che non risulta, dagli studi evidenziati, nessuna connessione tra l’esposizione alla violenza e possibili effetti dannosi sui minori, e in particolare non c’è dimostrazione alcuna che l’esposizione a videogiochi violenti possa avere effetti diversi dall’esposizione alla violenza di altri media come ad esempio la televisione o i libri.
Non è compito di un governo imporre restrizioni alla libertà di espressione, e se lo Stato della California non ha mai pensato di imporre restrizioni a libri, televisione e film, non è possibile chiedere tali restrizioni per i videogiochi che sono solo uno dei tanti mezzi di espressione.

Altro argomento respinto è che siano i genitori della California a volere tale tipo di restrizione dei videogiochi. Non tutti i genitori, precisa la Corte, sono preoccupati che i loro figli acquistino videogiochi violenti, ed è per questo che esiste la classificazione dei videogiochi, al fine di consentire ai genitori che si preoccupano degli acquisti dei figli di potere facilmente verificare i contenuti dei videogiochi, ed eventualmente vietarli. La Corte sostiene che non è possibile imporre la visione di alcuni genitori, quelli che ritengono pericolosi i videogiochi violenti, anche a tutti gli altri, che li ritengono invece degli innocui passatempi (harmless pastime).

Fin qui la sentenza, nella quale è interessante notare come si evidenzi l’assenza di prove scientifiche che dimostrino una possibile influenza di giochi violenti sui minori, nonostante spesso nei mass media, giornali e televisione, si dia quasi per acclarato questo legame. In realtà è anche piuttosto difficile giungere a conclusioni in materia, si corre spesso il rischio di invertire i rapporti di causa ed effetto. Al di là di ogni possibile argomentazione, conviene sempre tenere d’occhio i dati statistici, i quali indubitabilmente ci dicono che i reati commessi dai minori negli Usa sono in costante diminuzione, nonostante l’aumento esponenziale di videogiochi sempre più realistici al punto da potersi confondere con veri e propri film.

Di contro, secondo alcuni studi l’uso di videogiochi può essere addirittura positivo, in quanto influisce sulla capacità del minore di imparare a coordinarsi con gli altri, a fare gioco di squadra, infatti la quasi totalità dei giochi di guerra introduce la cosiddetta modalità cooperative che, se attuata in rete, comporta proprio la necessità di una collaborazione con altre persone reali per poter giungere a degli obiettivi specifici......In relazione alla violenza, invece, è molto più probabile che il videogioco violento possa servire da valvola di sfogo della fantasia, pura catarsi paragonabile all’effetto delle fiabe sui bambini, molte delle quali, come è noto, hanno uno sfondo horrorifico.

È sicuramente vero che alcuni media influiscono negativamente su alcune persone, ma generalizzare appare un errore, molto dipende dalla personalità dello spettatore. Una persona predisposta per l’aggressione sarà sicuramente influenzata, ma non necessariamente da un videogioco violento, quanto piuttosto dalla violenza che si respira ogni giorno nella realtà, e nei media che la riportano, tv e giornali compresi.
Sicuramente un uso massiccio e sconsiderato di videogiochi fa male alla personalità di un minore, ma allo stesso modo anche un uso massiccio della televisione ottiene il medesimo effetto, anzi probabilmente un effetto peggiore.
A questo proposito non si può non ribattere ad una delle argomentazioni dello Stato della California, secondo la quale i videogiochi sarebbero più pericolosi della televisione perché sono interattivi. In realtà è proprio la passività della televisione a fronte dei giochi, che rende forse la prima più pericolosa dei secondi. Di fronte alla tv un minore non sceglie, assimila passivamente tutto ciò che gli passa davanti, compreso la violenza, assuefacendosi ad essa. Invece, dinanzi ad un videogame il minore deve scegliere, il gioco lo costringe a partecipare attivamente e quindi ad elaborare i suoi comportamenti, dare un senso alle sue scelte, così creando ed attivando una propria coscienza critica. Quindi, se opportunamente assistito da un genitore che gli fornisce i criteri giusti di scelta, il bambino può crescere moralmente ed eticamente grazie proprio alle decisioni che prende giocando.

Meglio internet della televisione allora, ma i genitori preferiscono lasciare i propri ragazzi davanti alla tv, abbandonandoli ad orge di pubblicità di tette al vento e corpi perfetti, di prodotti da comprare assolutamente, col risultato che i ragazzi finiscono per essere insoddisfatti della loro vita, sempre più misera al confronto di quella plastificata della tv. Eppure nessuno ha mai pensato di vietare la tv ai minori.
E se proprio vogliamo essere precisi, ricordiamo che i due ragazzi che misero in atto il massacro della Columbine erano fan del film Natural Born Killers, infatti usavano l’acronimo NBK nelle riprese video delle loro azioni.
Il punto, allora, è che non si può in alcun modo delegare l’educazione del minore ad una tv, oppure ai videogiochi, ed è essenziale che il minore possa avere un approccio corretto a tutto ciò che, nel bene e nel male, presenta la realtà, con un genitore al suo fianco che possa fargli comprendere come valutare ciò che è bene e ciò che è male, e quindi scegliere di conseguenza.
In questa prospettiva non dimentichiamo che i videogiochi sono già classificati dall’industria, su base volontaria. Esistono infatti i giochi catalogati come AO (adults only), M (mature), ecc… Tale classificazione però è solo una sorta di consiglio ai genitori in modo da aiutarli nelle loro scelte e responsabilizzarli nell’educazione dei figli.

Ed è proprio in tal senso che si è pronunciata la Corte Suprema americana. Mentre la California argomentava che i minori hanno una protezione inferiore rispetto agli adulti, in relazione al primo emendamento, la Corte ha invece sostenuto che anche i bambini hanno diritto di usufruire di quella protezione, e quindi preferisce affidarsi più all’autorità dei genitori per quanto riguarda la crescita morale ed etica dei minori, piuttosto che a divieti imposti dall’alto.
In fin dei conti, se ci pensiamo, imponendo limitazioni ai giochi violenti per le conseguenze che hanno sulle persone, finiremmo per vietare anche giochi innocui. Pensiamo al caso della mamma che ha ucciso il suo bambino perché la aveva interrotta mentre giocava a Farmville

In conclusione il punto rimarchevole della pronuncia è, quindi, proprio dove la Corte precisa che il primo emendamento impone al governo di non limitare la libertà di espressione a seconda del mezzo espressivo, per cui se un determinato contenuto non è limitato in un media, ad esempio la televisione, allora non dovrebbe esserlo nemmeno negli altri, pensiamo ad internet, giusto per fare un parallelo con l’Italia di oggi, nella quale è sempre più forte la tendenza a colpevolizzare il media internet a prescindere.