Wikileaks, il banking blockade e la censura 2.0

wikileaks2Aprendo oggi la pagina principale di Wikileaks, il noto sito che da sempre pubblica documenti scottanti con i retroscena del potere, si può leggere un breve comunicato accompagnato da un video esplicativo.

We are forced to temporarily suspend publishing whilst we secure our economic survival. For almost a year we have been fighting an unlawful financial blockade. We cannot allow giant US finance companies to decide how the whole world votes with its pocket. Our battles are costly. We need your support to fight back. Please donate now”.


Il comunicato precisa che il sito sospende le pubblicazioni perché non ha più fondi sufficienti per proseguire le attività oltre la fine dell’anno. È quanto hanno sostenuto il fondatore Assange e il portavoce Hrnaffson anche in una conferenza stampa a Londra, accusando chiaramente il blocco finanziario imposto al sito come unico responsabile di questa sofferta decisione.

E’ di quasi un anno fa, infatti, la più grande operazione di disvelamento di Wikileaks, che pubblicò circa 250.000 cablo della diplomazia Usa, anche a mezzo di vari giornali come il New York Times ed il Guardian. Da quel momento si è scatenata una durissima rappresaglia contro Assange e la sua creatura.
Dal 7 dicembre 2010, prima PayPal, la banca virtuale, ha chiuso la porta in faccia al sito di Assange, sostenendo che non vi fosse stata nessuna pressione da parte del governo Usa, ma solo perché Wikileaks violava le loro regole. In realtà inizialmente PayPal aveva detto che la richiesta veniva proprio dal governo, salvo poi smentire in seguito.
Poi seguì a ruota Amazon, il fornitore di hosting, che chiuse i server in quanto il servizio “non può essere usato per attività che incoraggiano, promuovono, facilitano o istruiscono attività illecite”. Amazon però ha continuato a vendere numerosi libri contenenti informazioni classificate (libri con il testo dei Pentagon Papers) mai rese pubbliche, e le memorie non autorizzate di spie tra cui l’ex Phillip Agee e l’Archivio Mitrokhin dell’ex agente del KGB Vasili Mitrokhin.
Di seguito EveryDNS, società che si occupa della traduzione degli indirizzi in rete, eliminò WikiLeaks dai suoi server, impedendo quindi di raggiungere il sito, a meno di non conoscere l’Ip diretto.
Ed infine Visa e Mastercard (che insieme controllano il 97% del mercato mondiale delle carte di credito), in uno a Western Union e Bank of America, attuarono un blocco finanziario senza precedenti che continua ancora oggi.

È importante evidenziare che se Assange è stato coinvolto in indagini penali per presunti reati sessuali commessi in Svezia, per le quali è ancora agli arresti domiciliari in Inghilterra, contro il sito Wikileaks non si è avuta nessuna azione formale, nessuna incriminazione, nessun processo in nessuna parte del mondo. Anzi, nel gennaio 2011 il segretario al tesoro Usa ha chiarito che non era possibile giuridicamente agire contro il sito od inserirlo in una blacklist. Infatti, l’Espionage Act degli Stati Uniti non è mai stato usato contro una organizzazione dei media fin dalla sua nascita nel 1917.
Nonostante ciò le banche e i servizi finanziari hanno eretto un muro tra Wikileaks ed i suoi finanziatori (secondo Assange sono ancora circa 50.000), barriera che ha bloccato il flusso di denaro verso il sito al punto che da 10 mesi si è ridotto a zero. Secondo Assange la perdita è del 95% del capitale.
Wikileaks ha potuto ovviare al blocco dei server (spostando il sito in Svezia), ma non al blocco dei fondi, e adesso non ha più margini di manovra, per questo il sito chiude, anche se Assange precisa che dovrebbe essere solo temporaneamente, perché lo scopo è di concentrarsi nello scovare nuovi percorsi di finanziamento.

L’accusa di Assange e della Hrnaffson è chiara e forte, si tratta di un blocco antidemocratico, con evidenti implicazioni sulla libertà di stampa e la libertà di espressione, protetta negli Usa dal primo emendamento.
Molte organizzazioni internazionali, come Amnesty International, Reporters Without Borders, Article 19, negli ultimi mesi hanno espresso preoccupazione per questa operazione di blocco finanziario e infrastrutturale contro Wikileaks, considerata una forma di censura ed una violazione dei diritti umani.
Amnesty International ha sostenuto che qualsiasi azione penale basata in tutto o in parte sui cablo pubblicati da Wikileaks sarebbe incompatibile con la libertà di espressione, diritto riconosciuto a livello internazionale che limita il potere dello Stato per impedire la censura di informazioni rilevanti per il pubblico.
Article 19 osserva che non è mai stata avviata alcuna azione legale contro Wikileaks, per cui il blocco verso di esso deve ritenersi illegale, anche in considerazione del fatto che i provider non possono ritenersi responsabili delle azioni di Wikileaks, quindi non possono trincerarsi dietro la giustificazione di possibili rischi a loro carico (e qui possiamo capire perché molti Stati, compreso l’Italia, cercano di modificare la normativa che prevede l’irresponsabilità dei provider).
Anche l’Alto Commissario per i diritti umani presso l’ONU ha espresso le sue preoccupazioni, durante una conferenza a Ginevra, circa le pressioni dei governi sui provider per bloccare le attività del sito di Assange, accusando la potenziale violazione del diritto alla libertà di espressione.

È piuttosto sintomatico che, in momento storico di grave crisi economica, nel quale si accusa apertamente lo strapotere delle banche quale causa o concausa della crisi, si scopre che il modo più semplice per censurare un sito scomodo è quello di staccargli i fondi, un’operazione che si attua attraverso le multinazionali del credito. Siamo di fronte ad una moderna caccia alle streghe, dove il campo di battaglia va ben oltre i confini geografici di un singolo paese, ecco perché le multinazionali hanno maggiore capacità di manovra.
È quello che è avvenuto con la creatura di Julian Assange, visto che non era possibile attaccarla giuridicamente forse si è preferito una strada diversa, una strada che ha anche l’indubitabile vantaggio di non mettere in cattiva luce un governo tanto da poterlo accusare di censura.
Oggi scopriamo che non occorre nemmeno una legge ad hoc, basta esercitare una pressione su aziende private perché chiudano il rubinetto finanziario di un sito scomodo, portandolo progressivamente verso la chiusura. Siamo, forse, alle soglie di una nuova forma di censura, una volta caratteristica di un governo poco incline alle voci dissenzienti e critiche verso il potere, un governo che mostrava la sua faccia truce al mondo attaccando in maniera diretta gli oppositori. Oggi, non senza un certo sgomento, scopriamo che stanno nascendo ben altre forme di censura, che non si esplicano più tramite le forze di polizia, tramite le leggi, oppure con procedura amministrative, ma sono decisamente più subdole, non direttamente ascrivibili ad un governo: una censura 2.0.

Nuove forme di censura ma medesimi obiettivi: anche stavolta a repentaglio è la libertà di informazione.
Perché se Wikileaks ha commesso qualche atto illecito, allora tutti i giornali, i canali di informazioni, dovrebbero essere considerati allo stesso modo: Cnn, Bbc, New York Times, Guardian e tanti altri, che hanno pubblicato le stesse informazioni, e che ogni giorno pubblicano notizie senza, presumibilmente, chiedersi se ciò che pubblicano incide o meno sul governo in carica o su qualche politico. Quello che oggi accade a Wikileaks, domani potrebbe accadere a loro!

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