Yahoo: inibiti link a siti pirata

Yahoo!Da qualche giorno si discute della recente sentenza della nona sezione del tribunale di Roma che avrebbe sancito la responsabilità dei motori di ricerca per la presenza di link a siti con contenuti pirata, condannando in tal modo Yahoo. In realtà, a leggere bene le poche notizie diffuse in merito, si tratterebbe di un’ordinanza cautelare con la quale la magistratura inibisce a Yahoo la prosecuzione e la ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico sul film iraniano About Elly, mediante il collegamento a siti che riproducono in tutto o in parte l’opera stessa, siti diversi da quello ufficiale del film.
Nella vicenda è intervenuta la Open Gate Italia, società che segue le controversie sul copyright, in difesa del produttore del film. Già in passato abbiamo notato come la Open Gate avesse diffidato i principali motori di ricerca dal far “scaricare” quel film da siti web.
Al di là delle notazioni di scarsa rilevanza riportate in rete, sul fatto che il film parrebbe mai uscito nelle sale cinematografiche, e che il sito ufficiale italiano ha il dominio scaduto, la vicenda comunque presenta aspetti di un certo interesse, perché si tratta di un provvedimento inibitorio relativo ad un motore di ricerca per responsabilità da link illeciti. Quest’ordinanza verso Yahoo, di certo non il motore di ricerca più usato, potrebbe fungere da apripista per procedure giudiziarie nei confronti di tutti i motori di ricerca, considerando che link a materiale illecito sono sempre presenti su di essi, è del resto il loro lavoro è proprio indicizzare tutti i contenuti possibili. Dalle notizie in rete comunque parrebbe che il tribunale di Roma abbia ritenuto di non poter giudicare Microsoft e Google, anch’esse chiamate in giudizio, in quanto non soggette alla giurisdizione italiana bensì a quella statunitense.

Comunque il giudicante, in sede cautelare, avrebbe riconosciuto come i motori di ricerca non possano esercitare “un controllo preventivo sui contenuti dei siti sorgente a cui è effettuato il link”, ma nonostante ciò ha imposto ugualmente a Yahoo l’inibitoria sulla base della considerazione che, pur essendo stato posto a conoscenza della violazione del copyright, non avrebbe rimosso i link ai siti pirata.
Risulta, infatti, che la Open Gate avesse diffidato Yahoo a rimuovere i risultati della ricerca che puntavano a siti pirata, ma senza successo. La Open Gate avrebbe anche fatto notare che il sito ufficiale (quello con dominio scaduto?) non era tra le prime posizioni nell’indice di ricerca proprio in quanto scalzato dai siti con contenuti pirata.

Fermo restando che è difficile valutare il caso in questione in assenza del testo del provvedimento, giova ricordare che Yahoo, come motore di ricerca, è soggetto alla normativa europea ed italiana sugli intermediari della comunicazione. Da tale normativa si ricava che i responsabili dei contenuti illeciti sono coloro che li caricano, mentre gli intermediari della comunicazione sono generalmente irresponsabili.

Nel caso specifico i contenuti illeciti non sono ospitati presso i server di Yahoo, ma su di essi si trovano solo i link ai contenuti. Poiché la normativa in materia prevede l’assenza di un obbligo di sorveglianza sui contenuti, ed in considerazione del fatto che un controllo su tutti i contenuti presenti nell’indice del motore di ricerca è impossibile, come del resto avrebbe ravvisato anche il tribunale, in prima battuta non vi è alcuna responsabilità per il motore di ricerca o l’intermediario in genere.

La normativa, però, prevede a carico dei prestatori di servizi di comunicazione l’obbligo di collaborazione con l’autorità giudiziaria, e cioè l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria di aver ricevuto notizia di una violazione di legge fornendo tutti i dati in suo possesso al fine di identificare l’autore della violazione, e l’obbligo di rimuovere i contenuti se tale ordine viene dall’autorità giudiziaria od amministrativa. Nessuna norma, invece, prevede che il prestatore debba rimuovere i contenuti presunti illeciti in caso di richiesta da parte del presunto titolare dei diritti.

Una tale previsione, invece, è presente nella normativa americana, a fronte però dell’obbligo assunto dal titolare presunto dei diritti di risarcire i danni al terzo (l’utente del servizio online) in caso in cui venga rimosso un contenuto del tutto lecito. Tutto ciò non esiste in Europa, né in Italia, ma nella nostra normativa, invece, si rintraccia solo una responsabilità civilistica nel caso in cui il prestatore, “richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso, non ha provveduto ad informarne l’autorità competente”, situazione piuttosto diversa, ovviamente.


Per stabilire cosa si intenda per “conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole” si dovrebbe tener conto della possibilità o meno per il prestatore di valutare l’illiceità di un contenuto, valutazione spettante in realtà ad un giudice, e della necessità o meno di verificare l’effettiva titolarità dei diritti del richiedente la rimozione. Qui ci pare essenziale notare che il provvedimento del quale discutiamo, se quanto si è potuto comprendere sino ad ora corrisponde al suo effettivo contenuto, ponga non pochi dubbi.
E questo non solo per l’assenza di un obbligo di rimozione legato alla richiesta del titolare dei diritti, ma anche perché un provvedimento che inibisce a Yahoo la prosecuzione e la ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico sul film iraniano About Elly parrebbe non soltanto chiedere la rimozione dei link, ma anche obbligare Yahoo a sorvegliare il proprio indice al fine di evitare che tali link illeciti siano riproposti in futuro, con ciò obbligando il motore di ricerca ad un controllo preventivo che automaticamente renderebbe consapevole Yahoo dei suoi contenuti (un intermediario della comunicazione che controlla e valuta i contenuti non è più intermediario), e quindi paradossalmente corresponsabile di qualsiasi violazione commessa a mezzo dei suoi servizi, ai sensi della normativa sugli intermediari della comunicazione.
E, ricordiamolo, nel frattempo nessun provvedimento viene preso nei confronti degli effettivi autori dell’illecito, cioè coloro che hanno caricato in rete i contenuti piratati, per cui tali contenuti rimarranno online e potranno essere scaricati direttamente o indicizzati da altri motori di ricerca.

Messa in tal modo la questione, quindi, l’unico effetto realmente ottenuto è un semplice effetto mediatico dato dai titoli roboanti che parlano di “storica condanna” per Yahoo.
Siamo invece in presenza di un provvedimento d’urgenza che si limita ad inibire l’indicizzazione sul solo Yahoo dei contenuti pirata del film sopra riportato, poi in seguito si discuterà del merito della questione.

In realtà un motore di ricerca è essenzialmente neutro nella sua attività, portata avanti in maniera automatica, per cui una responsabilità per link non dovrebbe essere riscontrabile a meno che non si riesca a dimostrare in concreto la consapevole agevolazione dell’illecito, per cui i responsabili degli illeciti rimarrebbero esclusivamente i soggetti che immettono i contenuti in rete, ed è questi soggetti che dovrebbero essere colpiti. Ovviamente tutto subordinato alla prova dell’illiceità dei contenuti.
Agire nei confronti del motore di ricerca non ha alcun senso, sembra piuttosto un mettere lo sporco sotto il tappeto piuttosto che eliminarlo del tutto. E’ vero purtroppo che agire contro dei soggetti privati, che casomai risiedono in paesi molto lontani, non è facile e soprattutto è di sicuro antieconomico, ma non si capisce per quale motivo questo problema dovrebbe ricadere sui motori di ricerca (e quindi sui utenti che si trovano ad usufruire di un servizio ridotto) e non dai produttori di contenuti.

Adesso, in attesa di ulteriori sviluppi della vicenda, molti si chiedono se la prossima mossa non sarà, come dichiarato dalla stessa Open Gate, agire contro gli altri motori di ricerca, in primis Google, che ha una quota di mercato decisamente maggiore rispetto a Yahoo.

Anche Google, infatti, ha numerosi link a siti contenuti file piratati, anche se di recente ha iniziato ad eliminare dai soli servizi di autosuggerimento e autocompletamento alcuni risultati puntanti a siti talvolta usati dai pirati.
Come già detto, nel provvedimento in questione il giudice avrebbe già sostenuto di non poter imporre alcunché a Google e Microsoft, in quanto non sarebbero soggetti alla giurisdizione italiana.
Comunque, se dovessimo continuare su questa strada, sarebbe ovvio considerare che i motori di ricerca scenderebbero a patti con i grandi produttori, stringendo accordi con loro al fine di eliminare i contenuti che i produttori riterranno non opportuni, lasciando così a dei privati la facoltà di selezionare cosa è illecito e cosa non lo è. Si aprirebbe la strada ad una sorta di privatizzazione della giustizia, con i produttori che decidono cosa è lecito e cosa non lo è, e ne chiederanno la rimozione senza passare per un giudice al quale spetta stabilire, invece, l’illiceità di qualcosa.
La domanda è: cosa accadrà quando questi contenuti verranno rimossi anche se pienamente legittimi?.